1977 novembre 17 Il risultato ci accontenta, il gioco no

1977 novembre 17 – Il risultato ci accontenta, il gioco no

Nonostante sia emigrato in Germania, il pubblico lo supplica a
gran voce e Kevin Keegan, supercapellone, ringrazia Wembley
con un tocco di testa asciutto, come il becco di un picchio sul
tronco esitante di Zoff. E’ trascorsa una decina di minuti quando
l’Inghilterra comincia a vincere nettamente davanti al sorriso
compiaciuto del duca di Kent. Gli spettatori sono 92.500, l’incasso
440.000 sterline che al cambio di Londra sono oggi 719 milioni: è
record europeo e lo sarebbe del mondo se non fosse stato
superato a New York dalla partita d’addio di Pelé con i Cosmos,
oltre 800 milioni d’incasso.
I colleghi inglesi dicono che questa Inghilterra è tutta sbagliata e
piena di “illustri sconosciuti”, testuale!, come Coppel e Barnes.
Sarà anche vero, ma ho il forte sospetto si tratti di puzza al naso.
In realtà, è un’Inghilterra veloce, in costante proiezione, fedele alla
tradizione, di larga latitudine tattica, che schiera praticamente in
campo cinque punte. La qual cosa è impensabile per noi italiani e
diventa dunque logico che l’unico tourbillon che si riesca da parte
nostra a contrapporre sia quello, ahimè, delle… marcature!
Zaccarelli diventa la pallina impazzita della panchina di Bearzot.
Parte su Keegan convinto che il mattacchione se ne stia tranquillo
in retrovia ma deve ben presto rendersi conto che proprio Keegan
è il più avanzato dei dragoni di sua maestà. Per rimediare, Bearzot
sposta Zaccarelli sull’ala sinistra Barnes e affida Keegan a
Tardelli. Non è tuttavia finita qui e si arriva all’atto terzo: Zaccarelli
sull’ala destra, Coppel e Gentile su Barnes.
Meglio tardi che mai. Nel frattempo Zaccarelli ha marcato tutti, su
un arco di 180 gradi, il che risulta episodio piuttosto clamoroso. E
pensare che Helenio Herrera, ex mago, ha sempre sostenuto che
la rotazione delle marcature è rimedio peggiore del male dal
momento che frastorna i giocatori.
A proposito di frastornare, il primo tempo assomiglierebbe per noi
al neurodeliri se non ci fosse la deliziosa differenza-reti (e il
Lussemburgo…) a impedire lo scollo psicologico degli azzurri.
Palle-gol alla mano, in tutto il primo tempo l’Italia ne costruisce
soltanto una e mezza, prima con un affondo in area di Bettega e
poi con un destro rasoterra di Graziani. Il fatto è che Antognoni,
presunto rifinitore, vede sfrecciargli il pallone come un satellite
artificiale che lo taglia sistematicamente fuori. Inoltre, sia Benetti
che Zaccarelli sono troppo preoccupati a contenere i destri-gol

dell’agile Coppel e del bestione Brooking per trovare anche il
tempo di imbastire un centrocampo come si dovrebbe. Alla faccia
delle demagogiche bugie sui nuovi moduli, eravamo stati facilissimi
profeti nel prevedere catenaccio nostro e forcing loro. Anzi, c’è da
dire che all’Italia riesce difficile anche il contropiede.
A tale difficoltà contribuisce certamente anche un gran impatto in
elevazione che apre un gran taglio nella fronte di Graziani.
Sanguinante e stretto in una fasciatura dal sapore eroico, Graziani
(è soltanto il 12′, si badi!) dà sempre l’impressione di una certa
titubanza, troppe volte esitante e imbarazzato. Da parte sua,
Zaccarelli piglia in faccia un colpaccio da Neal: in tribuna, a Gigi
Radice non resta che osservare con raccapriccio ai maltrattamenti
che riguardano esclusivamente il suo Torino! D’altra parte, chi è
senza peccato scagli la prima pietra e gli azzurri non sono in grado
di farlo. Certi sgambetti di Benetti sono infatti un po’ pesanti, tanto
che le ammonizioni paiono automatiche. Meno giustificato invece
l’immediato barrito che sale al cielo dal pubblico: “Animals!” urlano,
ma di animaletti ne conosciamo purtroppo di tante razze.
Per tutto il primo tempo la partita è vibrante, accesa. In un paio di
occasioni l’Inghilterra sembra maturissima per il 2-0. Una volta, su
uscita buca di Zoff,
la
scellerataggine di sbagliare; un’altra volta è Zoff a chiudere in
uscita, di pieno corpo. Dopo qualche ansia, il portierone friulano è
rinfrancato e lo dimostrerà anche nel secondo tempo.
Durante l’intervallo Bearzot toglie via Graziani, parecchio in
difficoltà per la ferita, e lo sostituisce con Claudio Sala. L’Italia si
accorcia ulteriormente verso Zoff e cresce la sua propensione al
triangolo stretto. Bearzot
temeva nei giorni scorsi un
misteriosissimo “vuoto” all’inizio della ripresa, ma non si nota in
questo senso granché di speciale. Il motivo del match resta
sempre lo stesso anche se Antognoni riesce una volta in
contropiede a battere un destro di grossissimo calibro a una
spanna dal palo. E il motivo è come sempre un’Inghilterra tutta
sbilanciata in avanti, mentre agli azzurri non rimane che stringersi
in area, in un valzer di stinchi, rimpalli e calci da barricata.
La Nazionale di oggi non fa che ripetere la Nazionale di
Valcareggi, solo che nel ’73 gli inglesi patirono una jella mortale
nelle conclusioni a rete e furono alla fine irrisi da Capello.
Stavolta sono perfino un po’ meno arrembanti ma certamente più
precisi. Zoff impedisce da campione, a pugno aperto e ferreo, il gol
fatto allo stopper Watson e non ce la fa invece a intercettare in

inglesi si dividono equamente

tre

uscita il dolce quanto imprendibile rasoterra concluso di piatto
destro da Brooking (segnò contro di noi anche a New York). E’ il 2-
0, meritatissimo per tensione agonistica e superiore spinta degli
inglesi. Sarebbe da poveretti trovare a questo punto il pelo
nell’uovo e obbiettare nei dettagli.
Non abbiamo mai condiviso in questi giorni l’euforia di chi aveva
interpretato il 6-1 sulla Finlandia per trasformarci in campioni del
mondo a tavolino. Troppo rispetto nutriamo da sempre verso il
calcio inglese per sottovalutare anche un’Inghilterra come questa,
messa su all’ultimo momento, senza
troppa coesione, con
parecchi giocatori solitamente esclusi dal giro. I valori del tempo, le
“scuole” hanno un loro peso reale e anche nei momenti di crisi
sono pur sempre dei punti di riferimento.
Inghilterra a parte, il risultato ci sta bene, questo sì, dal momento
che adesso, per il meccanismo della differenza reti, ci basterà
vincere con il Lussemburgo, anche vincere con un solo golletto di
scarto e la cosa, a Roma il 3 dicembre, non dovrebbe risultare
proprio un’impresa disperata… Per il resto, in termini di gioco, le
conclusioni sono molto più precarie e meno avveniristiche. Ci sono
occasioni, e Wembley, l’affascinante Wembley lo è stata, in cui
non riusciamo proprio a uscire dalla passività. Gli altri hanno più
ritmo, più potenza, più confidenza con il gioco d’attacco e agli
italiani non rimane che esprimersi secondo la solita logica. In
questo senso, e nonostante le buonissime intenzioni, Bearzot è più
figlio di Rocco che di Bernardini.
Dopo il 2 a 0, la partita ha vissuto un momento particolarmente
battente e in certa misura drammatico. Gli inglesi hanno tentato
l’ultimo affondo verso il 3 a 0 che avrebbe obbligato l’Italia a
vincere, a sua volta, per 3 a 0 contro il Lussemburgo. La difesa
azzurra ha mostrato tensione e affanno, a ciò contribuendo anche
il cambio molto ravvicinato di tre giocatori. La stanchezza di
Latchford, la caviglia scassata di Keegan e uno strappo alla coscia
destra di Facchetti, hanno obbligato le due panchine a tre fulminee
sostituzioni. Cuccureddu per
l’Italia, altre due… punte per
l’Inghilterra, Francis e Pearson.
Nonostante il tono concitatissimo degli ultimi minuti non è però
cambiato più nulla e l’ultimo fischio dell’ungherese Palotai è stato
accolto come una vera liberazione da Bearzot che ha lasciato il
campo sotto braccio a Zoff. Nessuno dei due sembrava
particolarmente soddisfatto. E’ vero che con questo risultato
abbiamo quasi entrambi i piedi in Argentina, per il mondiale ’78,

ma è altrettanto vero che questo 2 a 0 nel tempio di Wembley è
psicologicamente un notevole passo indietro. In un certo modo
abbiamo recentemente perso a Berlino, in un altro modo abbiamo
perso a Londra: contro i due simboli del calcio nord-europeo, in
amichevole o sul serio, non c’è stato niente da fare.