1976 febbraio 15 Oggi tocca agli angeli

1976 febbraio 15 – Oggi tocca agli angeli

Con il salto del trampolino di 90 metri, Innsbruck vedrà oggi gli angeli. Non i grandi angeli dipinti
nelle Annunciazioni medioevali e nemmeno gli improbabili angioletti color pastello, vesti rosa e
anni verdi un Altichiero all’oratorio di San Giorgio a Padova. Questi che atterreranno in piena
Innsbruck, da una rampa di città, sono atleti molto specializzati, pronipoti dei saltatori che volarono
giù dal primo trampolino artificiale di Norvegia. E’proprio il salto a fondersi con il fondo nella
leggenda della combinata nordica.

“Recordman del salto – scriveva nel 1911 l’illustrazione Italiana – fu salutato il norvegese Harald
Smith, riuscito a volare intrepido con un dislivello spaventevole, 43 metri”.

Quel poetico stupore ci ha lasciati almeno quanto il “dislivello spaventevole” che, quattro anni fa a
Sapporo dal trampolino di Kurayama, toccò i 111 metri.

Tra le migliaia di occhietti a mandorla, spuntavano le lenti dell’imperatore Hiro Hito: era presente
anche lui perché aspettava che a librarsi più lontano e con più stile fosse il giapponese Kasaya,
vincitore dal trampolino “piccolo” dei 70 metri.

Senza confessarlo, i pacifici sudditi del Sol Levante post – Hiroshima vedevano in quelle eleganti e
temerarie sagome la versione sportiva dei kamikaze: il bersaglio non era più una portaerei bensì una
medaglia. Ma, lungo la pista di lancio di Kurayama, quel giorno non spirava il “vento divino”: era
un vento frullo, d’arzigogoli e raffiche. Mentre stavano tutti a musetto in su pronti a gridare
“Banzai!”, un polacco dal cognome predestinato, Woiciech Fortuna, s’infilò nel refolo buono e
sembrò non raggiungere mai il punto critico della discesa. Era una riserva della squadra polacca ed
aveva soltanto 19 anni: con 111 metri di stacco entrata tra gli Dei di Scandinavia.

“Attimo, coraggio, applicazione, semplicità” ha chiamato Rolly Marchi il salto. Un allenamento da
condor, silenzioso e verticale. La ripetizione di mille ascensori e di mille rincorse verso il dente
della pedana, dove non è più possibile il ritorno e lanciarsi da uccelli è l’unico modo d’essere e di
ritornare uomini, gli sci a terra. Qualsiasi tipo di allenamento induce prima o poi alla noia, ma ci
può essere la noia dell’innaturale?

Dura una quindicina di secondi l’intero film del lancio e 4/5 d’essi in volo. Qualcuno come il
tedesco Aschenbach, che vediamo nella foto mentre vince a Innsbruck dal trampolino dei 70 metri,
tiene le mascelle ben strette in una sorta di museruola, casco, occhiali e gancio. Altri, come Kasaya
e Sapporo, sì librò nell’aria con la faccia scoperta e la bocca spalancata, ognuno imprimendo ai
propri slanci anche il carattere, più costruito nel tedesco dell’Est più “religioso” nel nipponico.

È doveroso che l’Olimpiade dell’inverno chiuda con il trampolino dei 90 metri perché in esso il
fascino delle cose straordinariamente diverse si unisce ad una tecnica severa, gli sci sullo stesso
piano e paralleli durante il volo, i piedi uniti, le gambe ad angolo acuto, l’inclinazione. Basta
toccare con un dito la pista o gli sci per vedere il proprio salto declassato nel punteggio.

Di lassù, gli angeli delle Olimpiadi daranno a Innsbruck e a milioni di telespettatori un saggio di
bravura e di pericolo. Anche per questo il trampolino è un misterioso appuntamento con la cultura
oltre che con lo sport. Sarebbe appropriato accompagnarne il rischioso rituale secondo note di una
suite di Grieg, il musicista dell’anima norvegese.