1976 febbraio 1 Innsbruck, tre anime

1976 febbraio 1 – Innsbruck, tre anime

Parlando della discesa libera sul settimanale” Neve Sport”, il grande Zeno Colò ha detto :”Chi
pensa di eliminare le disgrazie dallo sci e dalla libera in particolare s’ illude o fa demagogia. Si deve
cessare d’esser sadici nel preparare le piste, questo sì. Il pubblico vuole le emozioni? E
diamogliele, ma io sono certo che si divertirà di più a vedere come un atleta entra ed esce da una
curva a 90 allora che a guardarlo a oltre 100 su un muro senza difficoltà. Per la libera suggerirei
dunque qualche buca, porte frenanti a metà percorso, via tutti i tratti a mezzacosta. Maggior tecnica
e meno rischi dentro ai boschi”.

Qui l’olimpiade come spettacolo, come presa emozionale sul pubblico e, stando ai canoni di Zeno
Colò, come occasione di sottrarre lo sci alle strettoie della super specializzazione nel tentativo di
avere l’asso integrale, miscelato di coraggio e di tecnica piuttosto che monco nell’uno o nell’altra.
Perfino scegliendo un bosco o una curva l’olimpiade incredibilmente dosa un’ ideologia sportiva.

Sarà così pure a Innsbruck, anche se per smentire l’umanesimo di Colò e per ratificare invece
l’efficientismo degli specialisti.

Raccontando sul mensile “Sci” la non ancora conclusa leggenda di Toni Sailer, l’ austriaco che nel
Febbraio 1956 incantò Cortina d’Ampezzo, Serge Lang scrive:” Quando Sailer prese la direzione
della squadra austriaca nell’autunno del ’72, gli bastò far modificare gli scarponi e la loro posizione
sugli sci per trasformare in qualche giorno due buoni gigantisti come Zwilling e Klammer in
discesisti di prim’ordine”. Per il predecessore di Sailer, prof. Franz Hoppicher, Klammer era stato
una sorta di boccia persa.

Qui l’Olimpiade come scuola, come competenza, come sfruttamento dei talenti naturali.
L’Olimpiade come scienza e industria, dallo scarpone alle solette, con l’inalterato obiettivo espresso
vent’anni fa dal prof. Roessner:” Chi fa scorrere meglio gli sci sul pendio più lieve, questi è il
miglior sciatore”.

Nel 1970, Rudolf Eberhard ,direttore della Banca di Baviera e tesoriere delle Olimpiadi di Monaco,
valutò che la pubblicità fatta attraverso i Giochi al proprio Land equivalesse ad un budget di oltre 8
milioni di dollari. Quanto alle prossime olimpiadi di Montreal, l’economista Hudson ha previsto in
2,2 miliardi di dollari il surplus economico che deriverà al Canada dai Giochi senza contare i 500
milioni in divise straniere che i turisti convertiranno in dollari canadesi rafforzando le riserve della
Banca Centrale.

Qui l’Olimpiade come fatto economico, come investimento, come promozione, un set d’un miliardo
di telespettatori per soluzioni urbanistiche e architettoniche spesso al centro di dibattiti anche aspri.
Proprio ieri Milano ha battezzato il suo arcidiscusso palasport, la cui copertura è stata chiamata”
una racchetta da tennis appena incurvata”.

Pur nelle diverse dimensioni e prospettive, le Olimpiadi d’estate o d’inverno propongono in maniera
sempre più netta tre anime: l’atleta ,la scienza sportiva, l’interesse. E, in fondo, dalle idee di Zeno
Colò alle intuizioni di Toni Sailer corre un stesso fido di resistenza allo slittamento verso l’atleta
standard,l’atleta marchio di fabbrica, l’atleta ingoiato dall’organizzazione.

Paradossalmente ma non troppo perfino la denuncia di Karl Schranz(“ Sono tutti i professionisti”) e
il colpo al cuore del finto dilettantismo inferto dal caso Anzi -Besson sono alla lunga un modo di

rivalutare l’atleta, con i suoi rischi e i suoi conti in banca, Sottraendolo ad una S.p.a. olimpica tanto
più ipocrita quanto più finanziata.

Innsbruck ‘76 sarà bellissim,. oltre che per il risultati, per i fermenti che fin d’ ora gestisce.