1976 Dicembre 6 La Juve perde il derby

1976 Dicembre 6 – La Juve perde il derby

Mentre le azioni Fiat salgono del 20 per cento nella borsa dei titoli, la Juve perde un derbiciattolo e
si fa sorpassare in classifica dal Torino. La filiale calcistica della Fiat è l’unico ramo del Gruppo a
non aver positivamente risentito della più chiacchierata operazione finanziaria del dopoguerra. Il
denaro arabo non fa gol.

In ogni accordo che si rispetti esiste sempre una clausola segreta. In quello che per 360 miliardi ha
trasferito il 13 per cento della Fiat alla Libia, il top secret potrebbe riguardare (perché no?) proprio
la Juve! Ed è questo l’unico dettaglio che Gianni Maometto Agnelli non potrà mai confessare
perché i milioni di tifosi bianconeri sono disposti ad accettare tutto anche che a Mirafiori sventoli la
bandiera di Allah, ma non che venga riciclato in petrodollari un 13 per cento della Juve, vale a dire
uno Zoff o magari un Bettega.

Sarebbe davvero curioso che l’Avvocato, da sempre favorevole all’importazione di giocatori
stranieri in Italia, finisse per essere il primo ad autorizzare lo svincolo dei nostri pochi assi. Che ne
sarebbe della nazionale del povero Bearzot? E il sindacalista Campana non chiederebbe la
squalifica della banca di Libia per mediazione?

Scherzi del fantacalcio a parte, il petrolio non riuscirà a strappare alla Juve nemmeno un
Cuccureddu e la squadra continuerà a perdere i derby ma a restare un capitale tutto della famiglia
Agnelli, tanto più ora che sono maturi i tempi di una presidenza di Edoardo, figlio ventenne
dell’Avvocato cui il geometra Boniperti sta facendo da apripista.

In tribuna d’onore erano ieri numerosi gli agenti in borghese dei servizi di sicurezza agli ordini del
capo dell’antiterrorismo di Torino. Criscuolo detto “lo sfondatore”, in cappottino beige e coppola
marron. Proprio perché ammanigliata a” holding” finanziarie e ad un’Azienda di stazza mondiale,
attorno alla Juve si respira sempre un’atmosfera particolare. Non a caso Gianni Agnelli ha un
compiacimento rammentato l’altro giorno che anche Palmiro Togliatti era Juventino: come dire che,
sia pure dall’altra sponda, quelli di classe portano bianconero. Al derby era presente il fratello
Umberto che, assai deluso, si consolava ricordando Sivori e Charles.

Chissà, forse perché troppo coccolata e distratta da questo “Tripoli nel suol d’onore” degli anni ’70,
la Juve è arrivata al derby un po’ meno Juve, meno ricca e fascinosa del solito, meno protetta e
disinvolta di quanto ci si attendesse. Nelle sue pedate non s’è mai intravista la filigrana dei
petrodollari ma piuttosto lo scarso potere d’acquisto delle nostre lirette. E il merito di questo va
soprattutto al Torino che al sangue blu predilige l’aggressività, quel dinamismo che è secondo la
teoria di Lorenz necessario all’uomo quanto l’ossigeno.

Il Torino ha fatto raramente gioco ma sempre “pressing” e due gol rapinosi; la Juve non ha fatto mai
né il primo né il resto. I gol del Torino sono entrambi di testa, violento quello di Graziani, sadico
quello di Pulici, quest’ultimo capace di due pallonetti consecutivi a irridere prima Zoff poi
Cuccureddu. Graziani-Pulici, gemelli-gol del Torino, non hanno taciuto, mentre Bettega-Causio,
pirati della Juve, non sono mai riusciti ad arrembare. Il derby è stato quasi tutto in tali stacchi di
timbro e di protagonisti cosi da mettere in eclisse persino gli schemi.

In tale cornice, il pastore portava il nome belante di Agnolin, arbitro di Bassano del Grappa.
Nonostante la enormità degli appetiti agonistici, Agnolin non si è lasciato travolgere nemmeno
quando Benetti, più violentatore che Romeo, ha per mero slancio allungato il piede sulla gamba del
portiere del Torino Castellini. Nonostante la barella, la ferita e la distorsione, Agnolin ha sofferto

soltanto qualche incertezza e alla lunga ha rigovernato la partita in modo “rotondo” per usare un
aggettivo abusato dai bravissimi sommelier veneti del professor De Rosa.

Dopo il Derby delle vecchie glorie di San Siro, ho visto questo della razza padrona piemontese.
Esteticamente parlando non s’è visto un gran progresso, ma qui si capisce che gli ormoni non
mancano e ciò fa fondamentale differenza. Cerea scudetto, ciao.