1976 Dicembre 20 Vinta con dignità

1976 Dicembre 20 – Vinta con dignità

Pato Cornejo l’ultima notte ha rischiato di morire. Quasi due ore e mezza di doppio, il caldo, lo
stress della finale gli hanno come stretto improvvisamente il cuore. L’hanno portato alla clinica
Santa Maria, dotata di unità coronarica, e gli hanno riscontrato una pericardite. Per tre giorni non
potrà muoversi e per almeno un mese non potrà più afferrare una racchetta.

E’ un cileno puro Cornejo, la pelle scura e il sapore di oceano, nato come è a Lio LLeo, sulle rive
del Pacifico. La sua è la storia di un giocatore che ha messo su casa e qualche metro quadrato di
buona terra dopo aver per 32 anni fatto del tennis il suo unico mestiere: “La pallina – ripete Pato – è
stato il mio alimento”. Era raccattapalle e seguiva le traiettorie per imparare: il suo battesimo è stato
questo e oggi ha aperto una scuola di tennis della quale parla con orgoglio venato di misteriosa
malinconia, mentre la moglie Lupita tiene sulle ginocchia i due bambini.

La paura di Cornejo, il suo mal di cuore nonostante una struttura fisica di ferro, hanno calato sulla
Coppa Davis un velo di pathos dando anche la misura della fatica degli atleti. Tutto il resto, ai 35
gradi dell’ultima giornata, è stato cornice a quello che i quotidiani cileni chiamano “triumfo”
dell’Italia.

Un trionfo che non ha turbato Santiago dato che i giornali dedicano quasi tutto lo spazio all’altro
“triumfo”, l’essere riusciti a scambiare Corbalan con il biologo Bukovsky. “Ganamos”, abbiamo
vinto, ha dichiarato Pinochet aggiungendo che lo scambio ha dimostrato che l’Urss non coltiva
nessuna ideologia ma risponde soltanto ad una logica di potere. Si sono rifiutati di giocare a tennis
con noi – ironizzano adesso in Cile – e hanno invece accettato di trattare su nostra richiesta.

Le vie della politica sono più infinite di quelle del Signore anche se non altrettanto limpide. Noi
temevamo che questa Coppa Davis, soprattutto se perduta dagli azzurri, potesse finire come una
medaglia sulla divisa bianca di Pinochet e che rischiasse d’essere strumentalizzata dalla dittatura dei
golpisti. Incredibile quanto vero, il riconoscimento al regime non è venuto da quattro racchette
italiane e dai nostri reportages quanto da un mercato di coscienze, protagonista Breznev.

Meglio tornare al tennis. Panatta non aveva nessunissima voglia di giocare l’ultimo singolare. Ha
dovuto pagare il prezzo della popolarità e della cortesia con tre ore e trentanove minuti contro
Filiol. Non c’era una bilancia per pesarlo dopo i quattro set, ma sono certo che non sarebbe calato
nella stessa misura nemmeno con quattro saune finlandesi. Non a caso ha vinto anche il piatto
d’argento come miglior giocatore della finale e Filiol, da quel degnissimo gentelman che è, gli ha
stretto a lungo la mano.

Con i soli campionati internazionali di Roma, Panatta aveva incassato una trentina di milioni per
una settimana; vincendo la Coppa Davis ne ha guadagnati, come gli altri azzurri, la metà ma credo
che in questo momento non siano le lire ad occupargli il cervello. Anche i professionisti hanno un
cuore.

Quanto agli affari, la decadenza della Coppa Davis si riferisce ad una formula sempre più aggredita
dai tornei ma non attecchisce la sua presa pubblicitaria. Per sistemare in campo due frigoriferi e
quattro deliziose ragazze a stappare bottigliette, la Pepsi Cola ha pagato 50.000 dollari mentre la
finanziaria che ha monopolizzato i tabelloni di fondo campo ha sganciato quasi mezzo miliardo di
lire.

Il pubblico è stato esemplare anche se un po’ rumoroso. Nemmeno in Italia Panatta e Bertolucci
avrebbero forse raccolto gli interminabili minuti di applausi che hanno ricevuto dopo il decisivo 3 a
0 del doppio. Non è esistita traccia della orchestrata canea che accolse la nazionale italiana di calcio
ai mondiali del 1962. Se orchestrazione stavolta c’è stata, lo scopo era semmai tutto inteso a offrire
un’immagine di nazionalistico fair play.

L’autorevole specialista del “Boston Glob”, Bud Collins ha coniato tre anni fa questo aforisma :”Gli
inglesi hanno inventato il tennis, gli italiani lo hanno umanizzato”. Dietro i maestosi colpi del
bellissimo Panatta dell’ultimo singolare, la nostra squadra ha gestito questa finale con garbo e
dignità, senza prestarsi a nessun tipo di inghippo. Dopo mesi di polemiche anche aspre e di dissensi,
il nostro compreso, bisogna riconoscere che i giocatori hanno vinto due volte. Come tennisti e come
uomini.