1975 luglio 30 Dibiasi ha fermato il tempo

l’oro. La sua è davvero una

1975 luglio 30 – Dibiasi ha fermato il tempo

Klaus Dibiasi ha colpito ancora: è ancora campione del mondo,
resta ancora l’unico a garantire per l’Italia del “nuoto” un impatto
con
favola della serietà,
dell’applicazione e della classe. Una favola che dura intatta nel
tempo, come se gli anni fossero tutti uguali, come se Olimpiadi e
campionati fossero sempre gli stessi. Per questo ricordiamo il suo
ennesimo exploit di Cali (oro dalla piattaforma, argento dal
trampolino) con un ritratto scritto dal nostro inviato a Monaco per le
Olimipiadi del ’72. Tranne che per la data, Klaus Dibiasi è sempre
lo stesso: un grandissimo campione, un bel personaggio.

Monaco, agosto 1972

I nuotatori o i pallanuotisti hanno l’acqua a una temperatura di
25,5 gradi. I tuffatori, nel blu fondo della piscina, hanno bisogno
che l’acqua sia più calda, a 28 gradi. Lì l’atleta di ghiaccio, Klaus
Dibiasi, si lancerà dalla piattaforma dei 10 metri per raccogliere
una medaglia d’oro. Gli riuscì già in Messico, quattro anni fa, e i
giornali locali lo indicarono sempre con l’appellativo di “angelo
biondo”.
E’ nato il 6 ottobre del 1947 a Solbad Hall, in Austria, e non
sarebbe potuto essere che biondo. Quando lo intervistano alla
televisione, la timidezza lo sopraffà e ne esce quindi un italiano
duro, povero di congiunzioni, balbettante. La gente pensa che il
suo nome è Klaus, che è nato in Austria e che vive a Bolzano:
pensa insomma che il bilinguismo gli appartenga come etichetta,
ma che in realtà sia “sudtiroler” dalla testa ai piedi.
italiano
La prima
perfettamente, morbidamente, senza sobbalzi: a chiacchierare
con lui non noti differenze di timbro e mi è parso infatti molto più
“Dibiasi” che “Klaus”, anche se a casa usa quella variante del
tedesco che è il dialetto bolzanino. Esce dalla Val di Non con il suo
cognome e nemmeno sa lui spiegarne il viaggio etnico: ricorda
soltanto che sono molti i Dibiasi napoletani.
Klaus ha cominciato a tuffarsi in una piscina quando era
ragazzino, a undici anni. Lo fece a forza di guardare il padre,
Carlo, tuffatore, decimo alle olimpiadi di Belino ’36, anche lui dalla
piattaforma. Suo maestro e allenatore è il padre, in un consorzio
tecnico-affettivo che lo stesso Dibiasi ha definito ottimale, “perché

invece, deforma. Parla

impressione,

lui mi offre la saggezza e, insieme, sfruttiamo il grande vantaggio
dello sport in famiglia”, famiglia che sta a significare la casa della
Bolzano Nuoto.
Calza zoccoli di alto sughero e cuoio bianco, traforato: 43 la
pianta. E’ alto un metro e ottanta, muscoli armoniosi, capaci di
costruire soprattutto una qualità: lo stile. La scheda che lo riguarda
indica 77 chili, ed esagera, perché è più asciutto, con 74-74 chili di
peso-forma.
Al villaggio o in piscina, indossa quasi sempre una maglietta grigia,
con la scritta “Swim-Gin” ed è uno dei migliori ricordi perché
significa “Ginnasio del nuoto”, nell’Arizona, dove Dibiasi imparò e
si allenò nel 1967, con la Nazionale. “Una piscinetta”, la definisce
lui, ma dove un grande preparatore, Dick Smith, inventa campioni.
Quell’esperienza in Arizona servì, un anno dopo, al tuffo d’oro di
Città del Messico, con un punteggio di 164 e 18, davanti a Gaxiola,
punti 154 e 49, che “giocava in casa” perché messicano.
Preparandosi a Monaco, Dibiasi ha eseguito anche cento tuffi al
giorno. Roba da rompere la schiena, dove attaccano i dolori
d’usura. Cento tuffi che vanno sempre fatti in concentrazione
perché basta che il braccio “scappi” un attimo per rimediare una
storta da entrata.
“La medaglia ti ripaga di tutto?” gli chiedo.
“E’ una gioia incredibile, perché è la vittoria più importante”.
“Più importante per quale ragione?”
“La rarità dell’avvenimento, ogni quattro anni”.
“Ha mai preso un tranquillante?”
“Mai”.
“Non ti porti dietro una paura indefinita?”
“Vista dalla tribuna, una gara olimpica diventa un fatto enorme: per
noi che siamo lì, a cercare di vincere, è una cosa normale, tra
amici che si conoscono benissimo”.
“A testa in giù, verso l’acqua, non ti assale mai la noia?”
“Mi accadde due anni fa, a Barcellona, perché era un periodo di
troppe gare, troppo vicine: soprattutto quando invecchi, hai
bisogno di più respiro.”
“Sì, ma la nausea del tuffo come tale?”
“Capita a volte d’inverno, quando cominci a chiederti ma perché
faccio i tuffi? allora avresti bisogno di un’assistenza psicologica,
ma per noi dei tuffi non c’è mai nessuno, siamo soli e, o ce la
facciamo da soli, oppure niente”.
“In Italia, il vostro è un destino di solitari…”

”Io e Cagnotto portiamo le uniche medaglie, magari d’oro (!) della
Federazione nuoto, ma per noi si fa poco o nulla”.
“Quanto tempo ti occorre per preparare una Olimpiade?”
“Praticamente, un anno, dedicando molto spazio alla ginnastica,
dura, perché tutti i segmenti muscolari siano ben tesi e interessati,
come accade per i ginnasti. Soltanto dopo, attacchi con i tuffi”.
Klaus Dibiasi ha occhi chiari, capelli ricci, basette discrete. E’
cattolico praticante. Non legge molto, fatta eccezione per le riviste
specializzate di sci, pesca subacquea e automobilismo, che sono i
suoi hobby. Possiede una Lancia HJ e, d’estate, pratica l’apnea in
Sardegna con i soliti amici, quelli dei tuffi. Non è fidanzato, non
ama il calcio, dedicandogli blanda attenzione soltanto quando
gioca la Nazionale. Si sente sereno e tranquillo, per usare i suoi
aggettivi. Fa una dieta normale, controllando soltanto la pasta:
beve un bicchiere di vino a pasto, mai birra. Qualcuno lo ha
definito logoro e Klaus si limita a dire: “Non credo”.
L’equilibrio psicologico che lo caratterizza diventa fair play in caso
di sconfitta. In Messico, dal trampolino dei tre metri, fu battuto dallo
statunitense Wrighton. Alla fine, Klaus sussurrò: “Il suo ultimo tuffo
è stato di una perfezione mai vista”.
Frequenta l’Isef di Roma ed è un po’ in ritardo con gli esami, ma
sta già pensando al futuro: “Non vorrei – spiega Dibiasi – buttar via
quattordici anni di tuffi! Vorrei poterli usare in maniera vantaggiosa,
insegnando: all’estero, nei Paesi d’avanguardia, li impiegano
perché aiutino i giovani”.
Ricchezza inossidabile di Klaus Dibiasi resta soprattutto
maturità.

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