1974 novembre 18 A Johann Cruyff bastano i piedi piatti

1974 novembre 18 – A Johann Cruyff bastano i piedi piatti

Una ventina d’anni fa il calcio olandese esisteva in Italia soltanto perché nell’Inter di Lorenzi giocava
Faas Wilkes, castano, secco, longilineo, gamba nervosa. Uno che, quando andava verso il gol, era
una girandola, dribblava in pochi centimetri, e alla fine di numeri da fantasista piazzava certe botte
da scottare.
Dopo anni di trascuratezza l’Olanda si è dedicata al football oltre che all’allenamento dei suoi mitici
frisoni, cavalli da traino, il manto quasi sempre morello. In poco tempo, ha espresso Ajax e Feyenoord
senza contare una Nazionale vice-campione del Mondo oltre che, ciò che più conta, un tipo di gioco
tanto allegro da fare dottrina.
Qualunque sia il suo momento, di sottosviluppo o di consolidamento, mai il calcio olandese è stato
cioè incapace di esprimere entità individuali di sesto grado superiore: negli anni ’50 Wilkes, negli
anni ’70 Cruyff.
Entrambi esportati: il primo a Milano, il secondo a Barcellona, entrambi specialisti nel provocare gol,
molti gol di piede proprio e molti suggeriti al piede altrui. Non a caso, riferendosi al calcio italiano,
Cruyff ha ricordato l’altro giorno: “l’importazione di qualche grande giocatore vi aiuterebbe a
cambiare mentalità più in fretta”. Quando parla di mentalità, Cruyff si riferisca appunto al gioco
parassitario e al giocatore a mezzo servizio, per buona parte inespresso nel suo potenziale.
Di Cruyff è stato detto e scritto tutto. La sua popolarità comprende il Mec e il resto dell’Europa. Da
noi potrebbe pubblicizzare un formaggino con presa persino superiore a quella di Riva o Rivera.
Amministrato dal suocero affarista, dal fiorino facile, Cruyff assicura che smetterà non appena sarà
riuscito a depositare in banca due miliardi e mezzo di lire.
La tentazione di leggere nei suoi occhi una sorgente di banconote è tanto forte da sopire a volte il
piacere di gustarne i piedi e soltanto quelli. Fra l’altro, piedi piatti, stando all’indiscrezione sulle quali
non potrei giurare ma in ogni caso piedi piatti che, invece che rendere difficile la corsa le danno un
tocco di velluto, grosse zampe di giaguaro a caccia.
Qualunque cosa si possa dire di quest’asso che gioca in ogni parte del campo fiutando sempre la
stessa pista, quella dei gol, ciò che più fa testo è un’osservazione tattica: quando si parla di calcio
olandese, si usano infatti gli aggettivi totale, collettivo; i sostantivi mentalità, allenamento, selezione.
Nessuno aggettivo o sostantivo che si rifaccia all’individuo in sé, all’atipico, all’arbitrio personale,
alla fantasia o all’istinto. Ecco, quest’ultima lacuna viene colmata nel calcio olandese da Cruyff. È
lui il giocatore “fuori regola”, quello che viene certamente servito dai valori collettivi ma quello anche
che trasforma quei valori in gesto solitario, in classe.
Cruyff aiuta a ricordare come il problema del calcio passa ovunque attraverso le strutture, attraverso
una “politica” di gestione, ma non riuscirà mai a pianificare i talenti naturali.
Alla fine di tutto, anche i gol vengono restituiti alle mamme. Solo queste ultime danno i Cruyff, a
tutti gli altri ci pensano le palestre. La crisi del calcio italiano, oggi è bruta perché sembrano in crisi
sia le mamma che gli allenatori. Non nascono assi e si insegna ai giocatori medi l’arte del poco.
Sarebbe la miglior serata del ’74 se mercoledì a Rotterdam, conteggiata da Cruyff e dall’atmosfera,
la nuova Nazionale cominciasse a balbettare la sua prima parola del domani: gioco.