1974 luglio 7 Il Brasile esce a testa china

1974 luglio 7 – Il Brasile esce a testa china

Polonia – Brasile 1 – 0
MONACO 6 luglio
Henry Kissinger è entrato in tribuna d’onore, qualche metro sulla nostra sinistra, incrociando il più
raffinato sorriso che gli Stati Uniti abbiamo esportato in Europa: quello di Grace Kelly. La principessa
di Montecarlo indossava un tailleur chiaro; portava occhiali, foulard e orecchini di rubino. Per la
stretta di mano sono impazziti i flash dei fotografi. Ed è stata la loro unica vera occasione perché
questa finale di seconda mano ha scosso lo stadio dal torpore soltanto al match-ball di Gregorio Lato.
Entrando in area a falcata bassa, meglio di un setter, Lato ha infilato rasoterra, nell’angolo dentro del
portiere brasiliano, il gol che vale per la Polonia il terzo posto e per il 24enne tornitore meccanico di
Malbork il ruolo di migliore goleador, con sette reti, del mondiale ’74.
Il calcio polacco ha così ottenuto quanto voleva: la conferma di un ciclo, dopo l’oro olimpico e dopo
l’eliminazione dell’Inghilterra. Un ciclo che ha ancora tempo di esprimersi, a cominciare
dall’imminente Coppa Europa e che sta uscendo sulla pallacanestro internazionale: lo conferma la
richiesta del Bayern di Monaco per tesserare Deyna, senza contare la grande impressione che hanno
lasciato in tutti Lato e Gadocha.
Difficile che i polacchi diventino giocatori da copertina. Impossibile che si facciano “personaggi”
come accadde alla stirpe dei divi d’occidente. Il loro è un mondo refrattario all’idolatria, coltivato
come all’ombra del dilettantismo di stato.
Nessuno può, d’altra parte, disconoscere il contributo dato dalla Polonia alla dignità del Mondiale.
Al modernismo oltre che alla dignità perché c’è qualcosa di tipicamente loro e chi ci rimane sul
taccuino. Per esempio il tipo di cross.
Dall’out sono specialisti gli olandesi e a ruota i tedeschi. Ma Olanda e Germania Ovest sono meno
battenti della Polonia. Quando un polacco, terzino o centrocampista o attaccante, esegue un cross, il
suo piede picchia infatti con durezza, il più duramente possibile. Ne escono cross di una forza unica,
fatti apposta per chiamare alla deviazione in acrobazia, una deviazione per la quale occorre avere, di
testa o di piede, coraggio ed allenamento.
Attorno alla metà degli anni 60’ Alf Remsey ripudiò il cross della tradizione inglese; tolse le ali vere
dalla nazionale sostituendole con Ball e Peters, due Domenghini di oltremanica. Con quella
amputazione, Ramsey cancellò dalla nazionale una dei marchi più originali. Sono ora i polacchi
proprio la squadra che segnò l’anno scorso la fine di Ramsey, i nuovi cultori di quei cross all’inglese.
Il football è pieno di questi curiosi intrecci.
Polonia-Brasile è diventata una partita dal ritmo serio soltanto nell’ultima mezz’ora quando tutti si
sono messi in testa che i tempi supplementari sarebbero stati un supplizio, dopo sette match in meno
di un mesetto.
Perciò è stato tutto sommato tranquilla anche la partita di Aurelio Angonese, obbligato ad ammonire
soltanto un giocatore “Kasakov, Gloekner e Angonese – mi hanno detto alla fine il grande Pedro
Escartin – sono stati secondo me i migliori arbitri di questo mondiale. E anche l’inglese Taylor è
molto bravo! Vale molto di più dello scozzese Davidson: non capisco perché abbiano tanto criticato
la designazione alla finalissima di domani”.
In un match svoltosi quasi sempre nel silenzio, a conferma che soltanto la lebbra del risultato riesce
ad eccitare la folla, ha vinto la folla meno immalinconita e più energica nell’ultima mezz’ora. Ha
perso invece il Brasile persino patetico nel suo ruolo di campione declassato e quasi scocciato di non
potersi sottrarre a tale formalità.
In assenza di qualcosa che lo interessasse veramente, il brasile ha tentato di lasciare un’eredità di
stile. Un tacco di Jairzinho, un sonoro palo di Valdomiro sullo 0 a 0, una finta di Rivelino, un

palleggio di Ze Maria. Ma nemmeno questa intenzione gli è riuscita. “Troppo stressati dall’Olanda”ha
commentato Valcareggi per giustificare Zagalo.
Non credo che il pubblico di Monaco si ia reso pienamente conto di cosa significasse per il Brasile
questa partita. Zagalo è già da oggi un ex commissario tecnico, mentre i due campioni più campioni
hanno sicuramente giocato l’ultima partita di un mondiale: Rivelino ha 31 anni, Jairzinho quasi 30;
troppi per sperare, con l’usura tipica del calcio dei tropici, di essere ancora sul set tra quattro anni in
Argentina.
Jairzinho ha cercato il dribblig plurimo senza che almeno uno gli sia riuscito. Rivelino ha crossato
con una compostezza commovente: lo oriundo di Campobasso non ha più la grinta che gli esce con
una scarica dai baffi. Anche nella faida con l’Olanda, è stato l’unico a conservare sangue freddo ed
un certo fair-play. Si è capito lontano un miglio che Rivelino non credeva a questo Brasile: così è
lentamente affondato anche lui con gli occhi fieri, ma umidi.
Per l’ultima partita, il Brasile ha fatto fuori Paulo Cesar Lima, giudicato abatino dalla commissione
interna. Abbiamo così visto in campo un giocatore di lineamenti stranissimi: capelli crespi e biondi,
la corporatura di un danese, la pelle di un mulatto, Ademir, del resto pure lui senza il midollo di un
Rivelino o di un Francisco Marinho.
Quest’ultimo ha rifilato un paio di calcioni quasi con allegria. Ha giocato sullo stesso standard di
sempre, da terzino e ala sinistra, tentando con grande dispendio di energie di virilizzare l’attacco del
Brasile.
Questo terzino sinistro è una forza della natura. Ha gli occhi selvaggi tanto che i colleghi di Rio
dicono di lui che è “loco”, matto. La sua morfologia, i suoi polmoni, sono da manuale. Le sue
sgroppate sui corridoi esterni resteranno una delle cose più belle di questo Brasile costretto da oggi a
ritentare un’operazione che, soltanto un mese fa, Mario Zagalo credeva possibile: dimenticare Pelè,
togliere la cicatrice con un innesto di tessuti nuovi.
Il “dopo-Pelè” è cominciato ma è cominciato a luci basse, con un quarto posto. All’orizzonte di Rio
de Janeiro salgono i fantasmi di “orey” di Jerson, di Tostao, di Carlos Alberto, di Clodoaldo. Anche
al terra più fertile d’assi ha bisogno di futuro. Uscendo a testa china dall’Olympiastadion di Monaco,
il Brasile ha mostrato di aver capito tutto.