1972 Ottobre 5 Il dogma di Valcareggi e le torte in faccia

1972 Ottobre 6 – Il dogma di Valcareggi e le torte in faccia

Uno sciopero del personale a terra ritarda la partenza del Dc 9 dalla Malpensa. Il Club Italia
bighellona, tra cartoline e stanchi souvenirs, nella sala-imbarchi dell’aeroporto. Quando si sale sul
jet, il sole è già al tramonto. I giocatori non propongono il muso duro soltanto perché questa sarà
tenera trasferta, visto che i pedatori del Gran Duca Giovanni potranno al massimo recitare il ruolo
di diligenti comparse: qui in Lussemburgo ( dove scendiamo alle 20), gli spettatori-record sono al
massimo diecimila.

Il plafond tecnico del loro football sta tutto in proporzione con questo lillipuziano aggancio
popolare.

Chi conosce meglio di tutti i lussemburghesi è Gianni Rivera che, tra Coppa campioni e Coppette
varie, li ha già incontrati tre volte, in partite di clubs. “Nessuna delle loro squadre – spiega Rivera –
ha mai mostrato qualcosa di interessante, il livello è modesto. Possono disturbarci soltanto se
rinunceranno a giocare, facendo ostruzione e basta. Ma sarà nel loro temperamento una tattica del
genere?”.

Rivera sembra sincero quando fa il perplesso. Purtuttavia mi riesce assai difficile credergli fino in
fondo. Ho il sospetto che, tutto sommato, lo faccia per dare un appoggio a Valcareggi che continua
a credere in un unico dogma: “Nessun avversario è facile”.

Personalmente, dico che se non sarà facile nemmeno il Lussemburgo, allora è giunto il momento di
passare il calcio italiano tra i generi teatrali, reparto pochade, da torte in faccia.

Non per questo la trasferta va sottovalutata. Da quando la Nazionale ha infatti cominciato a mutare
pelle, ogni match, anche l’apparentemente più squallido, possiede credibilità.

Lo dimostrò l’amichevole in Grecia, la trasferta altrettanto amichevole all’Est e la recente
esperienza con la Jugoslavia. Anche perché, dopo il conformismo della formazione “messicana”,
ogni incontro sembra destinato a riproporre situazioni e giocatori nuovi.

Nuovi in che senso? Dopo una settimana di “gran rifiuto” della maglia numero 7, è stato Mazzola a
offrirsi ieri al “gran sacrificio”: finalmente schiacciato da una sensazione di ridicolo, Mazzola ha
deciso per Valcareggi di accettare quel presunto numeraccio. Rivera no, Rivera non ce l’ha fatta. E
così la filastrocca è finita con una dichiarazione intelligente di Sandrino, una dichiarazione che ha il
solo torto di arrivare un po’ tardi: “Qualunque sia il numero – ha detto la mezz’ala dell’Inter – resto
sempre Sandro Mazzola”. Appunto.

Con Mazzola n.7, Rivera non soltanto resta mezz’ala-regista come violentemente desiderava, ma
ottiene persino il n.10, il suo numero amato, quello dei generatori di calcio, idem Pelè.

Nelle recenti esperienze azzurre, Rivera giocò praticamente sul centrodestra e proprio da quella
zona tattica serviva i lanci tanto apprezzati da Gigi Riva. E’ però altrettanto vero che, nel Milan,
Rivera tiene il centrosinistra, abituato oltretutto a poggiare lo sguardo su un’ala sinistra vera, prima
Prati poi Chiarugi. Ora, ritrova dunque il suo cantuccio ideale, come stare a casa propria ad arrostire
castagne sul fuoco. Cercherà ancora la testa o il sinistro di Riva, ma più gomito a gomito, meno
lanci lunghi e, forse, più corridoi rasoterra, da ultimissimo tocco.

Ho trovato Gigi Riva di umore mai così sereno. Bettega ha gli occhi chiari di chi sente che la “sua”
Nazionale sarà quella di Monaco 74. Mazzola tiene la piega, come certi calzoni appena stirati:

nessuno più di lui si sente senatore e sempre capace di aprire o archiviare i dossiers della Nazionale,
Causio ( controllatissimo da Franco Carraro perché non parli…) ha l’aria di chi disprezza manovre
d’aggiramento, quelle che lo hanno mandato in panchina.