1969 febbraio 7 « Dolce vita» dei giocatori

1969 febbraio 7 (Il Gazzettino)

Inchiesta: la verità sulla crisi del Padova

« Dolce vita » dei giocatori?

Le dichiarazioni di un rappresentante dei tifosi – Il precedente di Rocco – Assenza di ritiri
prepartita – Autocritica al vertice e appoggio del pubblico: la salvezza è possibile

(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)
Padova, febbraio
Un tecnico che osserva spesso, e da vicino, gli allenamenti di Humberto Rosa ci ha detto: « Come
preparatore, Rosa è più forte di Rocco! ». Il Padova non è che finisca cotto le partite: il ritmo lo
tiene, dal primo al novantesimo minuto. Solo che, con un training basato sul « fondo » e non sullo
« sprint », la squadra marcia costante ma con la « ridotta ». Quando Rosa punta sui dromedari, è
costretto a dare velocità-di-crociera. Non ci sono santi. E’ anche in questo senso che l’inserimento
(ragionato non demagogico) di giocatori più freschi, diventa necessità. Con qualche giovane in più,
attorno alla « diagonale » Sereni-Fraschini-Vigni, l’allenatore può anche sprintare. Finita cosi in
basso?

Ma i tifosi, quelli dei Clubs organizzati, condividono questa impostazione? Abbiamo parlato con
Franco Dal Gesso, anni 35, impiegato all’aeroporto; presidente del Club ‘Alé Padova’. « Noi
crediamo — ci ha detto — che non ci sia altro da fare che appoggiarsi sui giovani, perchè i vecchi
non stanno più in piedi ».

— Chi per esempio?
« Gilardoni, non va, tanto per fare un esempio ».
— Rosa si lamenta, dice che lo avrebbe ricostruito come fece Rocco con altri celebri matusa, ma

che glielo avete distrutto voi, moralmente.

« Noi personalmente no! Perchè noi dei Club, anche se magari non siamo d’accordo, non
fischiamo, non becchiamo nessuno: sappiamo che, con quei sistemi, non si fanno gli interessi della
nostra squadra ».

— Ma voi, tifosi in un certo senso ‘governativi’, come giudicate Rosa?
« Attualmente la situazione è ancora triste, ma noi siamo convinti che Rosa salverà la squadra,

come la Società si aspettava. Ha troppa passione per non riuscirci ».

— Perchè allora la squadra è finita così in basso?
« Anche se ora, con qualche cambiamento, si va già un po’ meglio, noi crediamo che il difetto

numero uno stia nei giocatori: non si impegnano come dovrebbero, da professionisti ».

— Lei fa un discorso tecnico e basta?
« No, parlo soprattutto di disciplina ».
— Ma come fa a dirlo?
« Noi li teniamo sotto controllo; loro non si accorgono, ma noi, un sacco di gente, sa e vede dove

vanno alla sera e fino a che ora ».

crisi?

— Ma non dovrebbe essere a Società o Rosa che si preoccupa anche di questo aspetto della

« Sì. Noi infatti diciamo che l’unico difetto di Rosa è proprio questo: fidarsi troppo, aver poco
polso, non sbattere fuori squadra chi sgarra. Noi sappiamo dove nasce il poco impegno di qualcuno,
non di tutti ».

— Beh, questo è chiaro.
Ricordiamo un servizio che facemmo un anno fa nell’appartamento milanese di Nereo Rocco.
Era praticamente il succo della sua carriera, una lunga intervista; e perciò la titolammo « Rocco
story ». Quando toccò il capitolo-Padova, il Paron ci spiegò testualmente:
« Padova mi è rimasta qui dentro, — e appoggiò la mano sul petto — è stata qualcosa di più di una
panchina. Attorno alla squadra c’era tutta la città. Io mi alzavo, andavo a prendere il giornale e
trovavo per strada lo spazzino o il lattaio o il ragioniere che mi sussurrava: guardi che ieri sera ho
visto il tal giocatore con la faccia sbronza, il tal altro con una signorina che non era sua… parente.
Tutti mi aiutavano, la famiglia nasceva anche da questo ». Quando si parla di indisciplina (sul piano
professionistico, beninteso), il tasto è delicato ma non va ignorato, perchè molto spesso nasconde la
pista giusta.

Chiediamo a Rosa: « C’è una altra accusa: lei non avrebbe polso, non controllerebbe

sufficientemente i giocatori fuori campo ».

Rosa risponde no: « Io troppo buono? Io che non ho polso? Tutt’altro. Per temperamento io cerco

di spronare i miei giocatori ».

— Il punto non è questo; a noi risultano alcuni casi che « scottano ». Rosa si fa muto, non apre
più bocca. Proprio giorni fa un settimanale ha riportato un’intervista dell’ex-Morelli nella quale il
giocatore dice « un giorno feci quasi a cazzotti con lui. Rosa può fare l’allenatore solo a Padova. Ai
suoi giocatori insegna solo a fare le botte ». Idiozie. Rosa non è Steve Klaus. Anzi chi è
dell’ambiente gli contesta esattamente l’opposto.

Dietro la denuncia dei tifosi c’è parte di verità: 1) esiste qualche carta d’identità non proprio
tranquilla; 2) la mancanza di ritiro prepartita ha aggiunto il resto. Rosa ammira Scopigno, la sua
liberalità, il responsabilizzare i giocatori, dando a ciascuno la libertà che merita un professionista
con tanto di contratto. Rosa in teoria ha ragione, ma solo in teoria.

Se è vero infatti che la Società avrebbe dovuto già togliere di mezzo qualche elemento
discutibile sul piano disciplinare, è altrettanto vero che l’allenatore avrebbe potuto prendere « in
proprio » l’iniziativa. Noi condividiamo l’impostazione di Scopigno, ma non in assoluto. Bisogna
guardare all’ambiente, alla maturità dei giocatori a disposizione, ad un sacco di fattori particolari
(temperamento, situazione familiare ecc.): ne può uscire l’esigenza di un diverso sistema, senza
gridare allo scandalo! Padova non è né Sodoma né Gomorra. Soltanto una Società come tante altre,
che ha problemi delicati, ma né nuovi (lo ha ammesso anche Rocco, no?), né esclusivi. Ricordiamo
l’Inter, il Bologna, l’Atalanta, il Napoli, lo stesso Lanerossi con (l’estinto) « club del pokerino ».

I nomi non servono, anche perché la maggioranza porta coscienza pulita. Ma non si deve
chiudere un occhio, tanto meno due! Ogni allenatore, ogni Società (soprattutto quando non si fa
selezione rigorosa, « informata », al momento della campagna acquisti) prima o poi si trova di
fronte a casi di pseudo-professionismo. Ma bisogna tentare di risolverli, magari drasticamente,
invece di assorbirne il veleno quotidiano. La gente ha ragione di non essere soddisfatta. Quando
parla di « scarso impegno » si riferisce alle gambe colpevolmente molli o al cervello annebbiato per
motivi-extra.

Rosa ci aveva detto: « Ho bisogno della collaborazione dello spogliatoio ». Dimostra
intelligenza. Ha bisogno, aggiungiamo noi, che dirigenti e opinione pubblica gli diano una mano.
Perchè chi sgarra si senta con le spalle al muro, isolato. Non serve la caccia alle streghe, ma battere

sul tasto giusto: chi prende ingaggio, stipendio, premi o gettoni di presenza, ha il dovere giuridico-
morale di dare la contropartita. Proprio in questi giorni Helenio Herrera ha messo al bando con
ferocia Sirena, Ferrari e Cordova, perchè il primo pensa troppo a laurearsi, il secondo si è curato
male una nevralgia, il terzo va troppo stesso in… « licenza » a Napoli. Non dice nulla?!

Il Padova ha una classifica agra. Ma è sintomatico che Cardin, Rosa e il capo-club siano
d’accordo su un punto soltanto: « la salvezza è ancora possibile ». Ottimismo facile,
controproducente? Risposta per ora impossibile. Ma si può anche dire che il parco-giocatori non è
così sinistrato da rendere matematica la retrocessione. A parte la « diagonale » di garanzia, a parte
Bergamo, c’è gente ancora fresca, alternative giovani almeno per le partite in casa. E gente esperta,
per i match in cui serve. All’inizio del campionato Rosa non ha confessato che sperava in un buon
campionato?

Abbiamo chiesto al presidente di ‘Alé Padova’: « Difetti di Rosa, dei dirigenti: ma come
giustificate… le gradinate semivuote? ». Ha risposto : « Purtroppo è vero! Persino all’assemblea del
nostro club sono mancati l’altro giorno 15 soci. Si è drammatizzato il momento. Anzi, se permette,
vorrei fare un appello perchè non molliamo proprio ora, quando il tifoso serve il doppio ».

Nonostante errori (da rimediare) né Lovato né Cardin né Rosa meritano linciaggi. Con i tempi
che corrono, una società di provincia è hobby o professione da trauma. E’ però obbligatoria
un’autocritica al vertice. C’è da aver paura quando « nessuno turba più la pace generale esprimendo
un’opinione divergente; e le convinzioni proprie vengono in ogni caso formulate solo con estrema
circospezione ». Perchè allora è conformismo, silenzio. E agli errori non si rimedierà mai più.
Nemmeno, tocchiamo ferro!, in serie C. Il Padova, per salvarsi, non deve aver paura della verità.

Il neo-allenatore dopo l’incontro con i giocatori
« Ragazzi spaventati »
Nel ritiro di Sirmione ha parlato con tutti – Discreta fiducia

Telefonata-lampo all’hotel Olivi di Sirmione. Nel ritiro del Lanerossi, Ettore Puricelli, già ieri
presentato alla squadra. Ha accettato l’incarico in un momento drammatico. Quali sono state le sue
prime impressioni: « Guarda, mi è sembrato che questi ragazzi siano spaventati dalla situazione, che
abbiano i nervi a fior di pelle. Credo che anche per questo non siano riusciti a dare quello che
possono dare ».

— Un problema psicologico?
« Sì, bisogna ridare fiducia, quella che io ho, nonostante la classifica proibitiva ».
— Con chi ha parlato?
« Con tutti! Ho voluto sapere tutto, rendermi conto di ogni situazione, anche quelle che hanno

qualche aspetto non chiaro. Ci siamo riuniti assieme e si è parlato ».

Puricelli era in tribuna a San Siro nella partita perduta al 77. Su quel match, ha aggiunto:

« Perdere a San Siro è stato il colmo. In quel momento, con l’Inter che oramai aveva il fiato di mia
nonna, non si poteva perdere. Bastava stare calmi ad aspettare, calmi ».

— E tatticamente parlando?
« Bisogna tentare di fare un gioco più rapido a centrocampo. Ma l’importante è mettersi a pane e

acqua, fare il proprio dovere. Sono giocatori maturi, seri: ma chi non lo sarà, stop, ha finito ».

Oggi, primo allenamento col « Puri ». Una svolta ritardata, per « paralisi » del Consiglio
d’Amministrazione. La salvezza è difficilissima: lo era già per Berto Menti, figuriamoci ora per il

neo-allenatore. E, a proposito di Menti, da galantuomo qual è, sarà il primo a tifare per il collega
che lo ha sostituito.