1968 settembre 2 Tutti per uno e contro uno

1968 settembre 2 (Il Gazzettino)

Tutti per uno e contro uno
Prigione azzurra perfetta per Eddy Merckx e tradimento di Rik Van Looy

NOSTRO INVIATO
Imola, 1 settembre
E’ campione del mondo 1968 il corridore recentemente minacciato di multa dalla propria società (la
Faema) per un supposto goliardismo di preparazione. E’ campione del mondo il corridore che
sembrava aver scoperto la Tv come distrazione definitiva. E’ campione del mondo la spalla, il
cervello di Eddy Merckx al Giro d’Italia, Vittorio Adorni, che tutti i pronostici davano tra i
protagonisti, ma nessuno tra i favoriti.

A quasi trentun anni (li compirà il 14 novembre) Adorni è stato capace di un boom che aveva
soltanto sfiorato nel 1964 al mondiale di Sallanches, quando fu secondo dietro l’olandese Janssen. E’
stato capace di un exploit tecnico che ha del sensazionale: ai « grandi », a tutti, ha dato un distacco
di dieci minuti! Non solo, ma, su un circuito di 277 chilometri, è scattato assieme ad altri sei
« desperados » dopo cinquanta e ha pedalato in solitudine gli ultimi 85. La media, superiore ai 37
orari, è significativa su un circuito non bestiale, ma sicuramente selettivo, nonostante il parere
contrario espresso ieri da Jacques Anquetil. I ritiri lo testimoniano abbondantemente.

Il boom di Adorni ha cancellato una lacuna italiana che durava da nove anni: il titolo del
professionismo su strada. Se a questo rilievo statistico si aggiunge il fatto che nei primi sei posti
dell’ordine di arrivo ci sono… cinque azzurri. Imola assume, tecnica mente parlando, un significato
da fantascienza. Nonostante l’orgoglio e il prestigio che si prova indubbiamente in queste momento,
non si può infatti dimenticare il clima torrido del le selezioni premondiali. Le contraddizioni, le
paure, i limiti di quei giorni.

L’uomo della strada, lo spettatore medio si chiede oggi: perchè? Perchè Adorni ha potuto vincere
un mondiale quasi in solitudine? Perchè ha potuto dare distacchi che nè Coppi, nè Bobet erano
riusciti nemmeno a sfiorare? Intendiamoci: Adorni non è mai stato una mezza tacca; nè un brocco;
nè una ballerina di fila. Si è fatto con gli anni la « fama del secondo », ma nel 1965, oltre ad aver
dominato il Giro d’Italia, diede ad un certo punto (come scrisse un collega) la sensazione di poter
vincere qualsiasi corsa.

E’ l’ultimo Adorni che giustifica, però, gli interrogativi dell’opinione pubblica, oltre la
soddisfazione senza riserve per la vittoria italiana. L’ultimo Adorni sembrava un corridore appagato,
imborghesito. Intelligente, supertattico, esperto, ma sostanzialmente in declino. Giunto sul
traguardo ha detto: « Ho corso con una carica spaventosa, quasi con dispetto, perchè da un po’ di
tempo mi trattavano o come la balia di Merckx o come uno che corre per hobby ma che in fondo ha
un sacco di altre cose a cui pensare ».

Il sottofondo psicologico va accettato testualmente. Ma va inserito in una situazione ambientale,
unica e forse irripetibile, che si è venuta a creare al quarto giro qui ad Imola. Nel momento in cui
Adorni e Van Looy scattavano insieme e si sganciavano seriamente (di un paio di minuti) la corsa
era finita. Si trattava soltanto di valutare la resistenza di chi era in fuga, alla distanza; l’eliminazione
progressiva dei mediocri. Ma, tatticamente, la fuga Adorni-Van Looy, entrambi con gregario,
poteva contare su un deterrente insuperabile. Questo:

1. La squadra italiana veniva bloccata. Non le restava consentita nemmeno la passività: anzi, era
impegnata tatticamente e moralmente, all’azione di disturbo, all’inazione attiva (nei confronti degli
stranieri).

2. Merckx e i suoi due gregari personali subivano lo stesso condizionamento della squadra
italiana. Con una differenza sostanziale, però, e cioè che l’Italia aveva un corridore vero davanti; il
Belgio, invece, soltanto il bluff Van Looy.

In fase critica, a noi è sembrato un vero suicidio la fuga di Van Looy. Per il Belgio s’intende, in
quanto ha letteralmente legato i pedali a Merckx. Un suicidio che non appare poi tanto strano se si
tien conto della rivalità (qualche giornalista di Bruxelles ha assicurato addirittura « odio ») che
separa Van Looy da Merckx. Sono tutti e due fiamminghi, ma Rik non ha mai accettato la
supremazia del nuovo astro. Non solo, ma anche tra il pubblico belga la corrente di simpatia è
ancora per l’idolo Rik. Non per Merckx, che ha quasi preso il… passaporto italiano.

Van Looy, nonostante i trentacinque anni, ha tirato, ha collaborato costantemente, è stato con
Adorni l’uomo della fuga. Ha resistito con le bave alla bocca dal quarto al tredicesimo giro quando
Adorni gli ha tirato le cuoia definitivamente, innestando un rapporto più agile. Al tredicesimo giro,
l’inazione totale del gruppo (dominato ovviamente dai belgo-italiani) tendeva a questa quota: circa
otto minuti di distacco. In quel momento, a cinque giri dalla fine, il superfavorito Merckx fu
liberato, finalmente, ma tardissimo per lui, dal nonsenso tattico di Van Looy. In quel momento la
passività, il boicottaggio di Gimondi, Motta, Bitossi e compagni toccò vertici di perfezione. Un
giuoco di squadra veniva realizzato quasi con crudeltà: si vedeva Merckx stretto in mezzo a quattro
maglie azzurre che gli tagliavano i cambi con i gregari, un minimo di intesa con qualche francese e
Altig.

La Rai-Tv, in Eurovisione, continuava a parlare di bagarre, di controffensiva dei belgi, di
pericolo per Adorni. In realtà, negli ultimi giri, il distacco dal gruppo, nonostante qualche stacco,
del resto solo in salita, di Merckx, aumentava fino all’incredibile tetto di dieci minuti.

Il mondiale di Adorni non può non inserirsi in questa prospettiva che sul piano individuale ha
reso accademica la presenza tanto di Gimondi quanto di Merckx. Se quanto diciamo non va
frainteso, si può concludere che il miglior gregario di Adorni è stato Rik Van Looy. E Adorni
ringrazia. Deve ringraziare, immediatamente dopo, ma questa volta sul serio, ad uno ad uno, tutti gli
altri nove azzurri: perchè tutti, da quanto è iniziava la sua fuga, sono diventati gregari con assoluta
umiltà e disciplina. Tutti, senza distinzione, hanno reso impossibile la vita a Merckx dal
quattordicesimo giro fino alla fine. E’ questo l’aspetto a nostro avviso più sostanzioso della giornata
tricolore.

In tempi di risse, polemiche, scissioni, il ciclismo italiano è stato protagonista di una vittoria

« collettiva » di grande prestigio e significato. Ha dimostrato che in vetrina c’è gente inutile ma che
nel retrobottega (stesso discorso valido per la pista) c’è gente silenziosa che lavora seriamente.
L’ottimismo del Ct Ricci (il settanta per cento) ha avuto ragione e Ricci si è ritrovato tra le mani una
vittoria della squadra.