1968 giugno 4 Proibito illudersi

1968 giugno 4 (Il Gazzettino)

Per chi spera nel crollo di Merckx
Proibito illudersi
Lo afferma De Bruye che conosce l’iridato – Gimondi psicanalizzato e i sospetti del
retrobottega – Non è detto che una maglia rosa solo perché è straniera sia drogata

(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)
Marina Romea, 3 giugno
Dominik è un giornalista mezzo romagnolo e mezzo ligure, con due grosse lenti e tartaruga. E’
anarchico. In piazza Duomo a Vittorio Veneto, sta appoggiato ad una colonnina in pietra. Assorto.
La banda dei bersaglieri suona un vigoroso « Il Piave Mormorava… ». Torriani e il Sindaco
camminano assieme. Una stele in marmo bianco, firmata Diaz, aspetta una corona d’alloro. Esce dal
portale del Duomo. Portata da Merckx, tutto rosa, e da Balmamion, in tricolore. Dietro, Gimondi,
come incorniciato dall’ovale. Merckx guarda ai lati con uno sguardo perplesso. Non so se « ci sia »
o fino quanto. Dominik sale in macchina: « Io non capisco come si faccia a sentire un avvenimento
dopo 50 anni. Eppure qui si vede che la gente partecipa ». Un anarchico, ogni mattina, fa una doccia
arti-passato quando si ferma appoggiato al museo della Vittoria.

Due ore prima del giro, è partito Meneghini Antonio, anni 41, cinque figli, di Arzignano. Ha una
maglia rossa con un sacco di striscio e un cappello d’alpino in testa. L’anno scorso ha pedalato
mezza corsa, quest’anno vuol fare tutto il giro. E’ partito alle nove, lo abbordiamo a dieci chilometri
dall’arrivo. Il sole gli esce dalle mascelle. Ha lunghi denti d’argento, un’espressione metallica,
occhiaie stravolte.

— Perché fatica tanto?
« Passione », urla concitato ma felice.
— Ha bisogno di qualcosa?
« Si, grazie, saluti a tutta Arzignano e a tutti gli alpini ».
— Nient’altro? Non vuole che la tiriamo un po’? E’ vecchio, lo sa?
« Ma è passione, ho cinque figli, ricordatevi dei saluti». Anche il razionalismo di Dominik
barcolla: « Solo il Veneto è ancora capace di dare questi personaggi ». La circonvallazione di
Treviso. Non credo esista una città più gentile di questa. Passiamo dietro al Liceo Canova, il mio
liceo, quando non erano ancora nati i « cinesi ». Guardo se intravvedo la Cesira, integerrima bidella
miope che lasciava fumare soltanto nel vespasiano. Questa è una tappa « segnata ». Nemmeno se
forasse otto volte Merckx, accadrebbe qualcosa di serio. Le vetture-stampa puntano a tutta birra su
Chioggia. Un tavolo all’aperto, Gigi Garibaldi con molte vongole e una frittura che sa ancora di
mare. Sono i chilometri più piatti di tutto il Giro. Da Mestre a Marina Romea l’altimetro del
giornale di bordo segna metri… 1, al massimo 2.

Filippetto schiaccia acceleratore e clacson. L’altro giorno, verso Trieste, una vettura — non del
Giro — che s’era trovata nella bagarre, non ha potuto evitare un ragazzo di sette anni uscito
improvvisamente dalla mano della madre. Poi, a Tai di Cadore, la moglie del massaggiatore della
Germanvox (si chiamava Albina, 59 anni, venuta lassù per salutare il marito) fu travolta mentre
attraversava la strada. E’ una paura che abbiamo tutti. C’è gente che pare in preda a raptus suicida:
sta tranquilla per ore, poi arriva una macchina e allora clic, scatta tranquilla dall’altra parte della
strada. Non vorrei essere un agente di polizia, un carabiniere, nè Torriani.

Alfred De Bruyne è l’inviato della radio belga. Gli chiedo del caldo, se Merckx soffre il caldo.

« Questi si illudono — risponde — Eddy ha vinto un sacco di corse nel caldo. Eddy quando è in
condizione fisica non sente nè caldo nè freddo nè pioggia… Si illudono, come per la cronometro ».
C’è un grosso battage per tentare di far star in piedi il Giro. Zavoli, con la solita rarefatta serietà,
psicanalizza Gimondi. Vuol sapere tutto: anche l’ordine d’arrivo del Block haus. Un giornale della
sera milanese è uscito con un titolo a nove colonne allusivo. Vince tutto la Faema, anti-doping
eccetera eccetera. Balle, soprattutto balle. Non si vuole ammettere la superiorità espressa finora
dall’asso belga. Questa è la verità. Ci si arrampica in cordata patriottica sugli specchi, sui sospetti.
Anti-doping? Alla fine del Giro ci sarà il redde rationem. Non lo sa Giacotto?

Gimondi è più misurato, più intelligente di chi lo tortura per fargli dire: « Il Giro è ancora mio ».
Ma Gimondi non è H.H. e si fa torturare. Una situazione non contingente ma di costume. Chi « fa
cronaca » e basta arriva sempre dopo e peggio della Tv. Allora è costretto a rifugiarsi nel
retrobottega, nel bazar del pettegolezzo, dei flaconi, nelle alleanze. Qualche volta il bazar vende la
verità. Ma spesso la verità è solo tecnica, fatta di battito cardiaco, di pressione sanguigna, di fasci
muscolari, di equilibrio nervoso. E di forza.

La volata del « ciociaro » Sgarbozza è stata tirata sulla ruota di Goodefroot, con un rapporto 53-
12. Che cosa ci può essere nel retrobottega? Nulla. Ma Eddy Merckx non è Sgarbozza, il ciociaro. E
allora è tutto lecito, anche a chi passa per non-scandalista. Gimondi ha otto tappe a disposizione,
cronometro e rampe. Pensi a questa tesi ufficiale. « Posso escludere in maniera certa che in
laboratorio sia ancora stato elaborato un prodotto chimico che aumenti il risultato tecnico di un
atleta ». E’ la tesi del professor Margaria, fisiologo piemontese, di fama internazionale negli studi
sullo sforzo e sul doping. La « scuola Margaria » è combattuta a livello federale e dei medici
sportivi associati. Gimondi in queste otto tappe, ci pensi. Non è detto che una maglia rosa, soltanto
perchè è straniera, sia « drogata». Molte volte il rosa è soltanto il colore della classe. E Gimondi, lo
sa.

Questa, per me, è l’ultima tappa. Domani è tempo di nazionale, con Mozzala nella maglia di
Merckx, a Napoli. Ricordo l’aria del Garda, il primo metro Veneto, il primo metro di questo « giro
nel giro », la corsa del cinquantenario. Stamattina ho pensato che, andando verso il Po, avrei
attraversato di nuovo il « coffin ». Pensavo a righe lette tempo fa, di Guido Piovene. Le ho
ricopiate, così come stanno: « Mi chiedo poi che cos’è il Veneto per i veneti. Rispondo che la loro
terra per i veneti è una verità. Essa non ha nulla a che fare col sentimento nazionale, né per
associazione né per contrasto. E’ una verità in più, di natura diversa. Non è politica, né attiva, infatti
nel veneto non v’è traccia di separatismo. Ma esiste nel cuore dei veneti una persuasione fantastica
che la loro terra sia un mondo, un sentimento quasi un sogno di se stessi, che non hanno l’eguali un
altre regioni d’Italia, nemmeno quelle dove il separatismo ha attecchito. Il venetismo è una potente
realtà della fantasia, che non dà noie al Parlamento ».

Quando vorresti dire qualcosa, c’è sempre qualcuno che l’ha detta prima e meglio di te.