1967 maggio 9 14 Il jet di Helenio

1967 maggio 9-14

Il Jet di Helenio
In crisi la preparazione per Lisbona

Lisbona, 25 maggio: finale di Coppa, dei Campioni fra Inter e Celtic. Lisbona è dunque distante
quindici giorni esatti: 2 ore e 40 minuti di Jet Caravelle. A quel volo, a quel Jet Helenio Herrera
aveva programmato di arrivare in una particolare situazione ambientale: il piano è fallito a Torino.
Perdendo contro la Juventus, l’Inter non ha soltanto rimesso in gioco lo scudetto « dei quattro punti
di vantaggio ». L’Inter ha sballato completamente la preparazione per la finalissima di Lisbona. La
preoccupazione di Moratti, la terrea delusione di Herrera si giustificano pienamente. Il piano era
ragionevole: mantenuto il vantaggio sulla Juve, Herrera avrebbe concesso sette giorni di riposo a
questi uomini: Corso, Mazzola, Bedin, Burgnich. Suarez e Facchetti, non sette, ma qualche giorno
altrettanto decisivo. Avrebbe giocato, contro Napoli e Fiorentina, un’Inter al sessanta per cento: con
Lendini, Soldo, Bicicli, Mereghetti, Dehò, forse ancora Vinicio. La situazione, con la sconfitta di
Torino, si è fatta, non dico drammatica, ma sicuramente difficile. I giocatori erano preparati
« mentalmente » e « fisicamente » a questa specie di smobilitazione temporanea in preparazione
dell’ultimo round europeo. Herrera, il medico Quarenghi, lo stesso Angelo Moratti lo avevano
promesso. Niente da fare. Herrera, in un’intervista concessami la settimana scorsa, negava
decisamente il presunto affaticamento dell’Inter. Herrera era arrivato addirittura ad una conclusione
per molti aspetti clamorosa: « L’Inter ha il pericolo del sotto-allenamento, non certo della fatica! ».
Se anche fosse esatta e controllabile l’opinione di Herrera, dopo Torino il discorso cambia
dimensione. Ho visto Sandro Mazzola uscire dallo stanzone dello spogliatoio. L’ho seguito per tutto
il lungo corridoio dello Stadio Comunale, fino all’uscita. Portava, con la destra, la solita sacca in
vinilpelle nera e azzurra, piena di maglie, tute e scarpe. Ogni due passi posava pesantemente la
sacca, mi guardava e si chiedeva, mezzo incredulo mezzo angosciato: « Ma come si fa?! Adesso si
tirava un po’ il fiato : allo scudetto non pensavamo più. Per la Coppa ci preparavamo come si deve!
Bastava un pareggio! ». La dimensione negativa dell’Inter, in questo momento, è proprio questa:
« essersi preparati al millimetro » — come ha detto Corso — « con grossi sacrifici, ritiro e partita,
ritiro e partita, senza mai andare a casa! E poi, quando sei sicuro di aver fatto quasi tutto,
improvvisamente ti accorgi di non aver ancora niente! Cose da pazzi! ». Lo stato d’animo di
Mazzola e di Corso è lo stato d’animo di tutti. Non è disfattismo, ma grave tensione. Nonostante le
premesse aut-aut, i premi-scudetto, Lisbona, il riposo a portata di mano, la quasi matematica
certezza dello scudetto, il vantaggio psicologico dei 4 punti, nonostante tutto ciò l’Inter ha perso.
Perchè?

Ho sentito rispondere a questo interrogativo con due soluzioni:
1) L’Inter ha risentito della fatica di Coppa (Bologna, spareggio con CSKA).
2) L’Inter ha puntato esclusivamente al pareggio.

L’ordine a Picchi

Non credo che la prima risposta sia esauriente. L’Inter non ha perso perchè ha ceduto alla Juventus
sul piano atletico: proprio nel momento in cui la Juve è andata in vantaggio, il rallentamento infatti
era comune alle due squadre. Sul piano individuale, prendendo a campione i centrocampisti,
distinguere chi fosse più « in condizione » (in quel momento) tra Del Sol e Bedin, tra Chinezinho e

Suarez, tra Corso e Leoncini, era quasi « questione di gusti », più che di sostanza! Se poi, al limite,
ci fosse stata comunque una scelta da fare, forse sarebbe stata favorevole all’Inter. Non è sul piano
del ritmo che l’Inter ha perso la partita, nè su quello della fatica pura. Non a caso il gol della Juve è
stato determinata da un errore isolato, quasi inspiegabile, dello stopper Guarneri: per il resto il
miglior giocatore dell’Inter. Se poi realmente la fatica del mercoledì di Coppa avesse tolto all’Inter
una percentuale di resistenza-lucidità, non sarebbe alibi per Helenio Herrera. Per coerenza infatti,
quando il Mago parla di sottoallenamento e di partita di Coppa equivalente (come somma-fatica) ai
due allenamenti « forti » del mercoledì e del giovedì, non può contemporaneamente riferirsi a
quella partita per giustificare eventuali défaillances. La prima delle due risposte alla domanda
« perchè l’Inter ha perso? », non è perciò soddisfacente.

La seconda (l’Inter ha puntato esclusivamente al pareggio) è più vicina alla verità della partita.
L’Inter ha rischiato di perdere nei primi 15 minuti (parata eccezionale, con scatto di reni all’indietro,
di Sarti su tiro di Leoncini); ha rischiato di vincere nella seconda metà del primo tempo. Ma nel
secondo tempo, la tattica dell’Inter è mutata visibilmente: nel secondo tempo, l’Inter non ha più
pensato a vincere, ha pensato soltanto a pareggiare. E con il pareggio, a consolidare lo scudetto,
rischiando il minimo. Non è stato Herrera a imporre nello spogliatoio questa variazione. Anzi
Herrera, dalla panchina, ha cercato di opporsi a questo mutamento. Me lo ha confessato proprio uno
dei tre personaggi del clan interista che stavano seduti con lui ai bordi del campo. Herrera
continuava a chiamare Picchi e a urlargli: « Centrocampo; centrocampo: più in su! ». L’ordine era
diretto a Picchi, perchè (ovviamente) lo trasmettesse; non (ovviamente) perchè dovesse trasferirsi
Picchi a centrocampo. Mi diceva la stessa persona seduta al fianco di Herrera, che il Mago
continuava a lamentarsi del progressivo arretramento delle mezzali nerazzurre. Basta questa
autentica testimonianza a confermare il sospetto che la « tattica del pareggio » sia stata una scelta
quasi inconscia dei giocatori, al novantanove per cento sicuri di riuscire a mantenere per altri… tre
giorni di gioco (con quell’attacco della Juve) lo zero a zero, che in fin dei conti, non
dimentichiamolo, significava… scudetto! I giocatori dell’Inter, inoltre, sapevano una cosa molto
interessante: la preparazione della Juventus, durante la settimana, aveva registrato alcuni episodi
che servivano soltanto a tranquillizzare… l’Inter. Era successo questo: martedì scorso, Heriberto,
dopo aver terminato l’allenamento abituale, quando oramai i giocatori stavano per andarsene, aveva
richiamato tutti, li aveva divisi in otto per parte e aveva fatto giocare una partita tiratissima. Era
proprio durante questa folle esibizione che si erano verificati i dolori inguinali di Castano e
Menichelli e le proteste feroci di Stacchini. Tutto un clima di tensione e di contrasti nel clan
bianconero dopo la sconfitta di San Siro con il Milan, aveva contribuito a dare ai giocatori dell’Inter
una discreta dose di tranquillità. Contenuta la Juve nei primi 15 minuti di aggressione; controllate le
operazioni per tutto il resto del primo tempo; è anche comprensibile (non dico giustificabile) che
l’Inter non abbia più voluto soffrire e si sia aggrappata al pareggio, convinta che tutto il resto era
« in più ». Le conseguenze tattiche di questa impostazione precedente e contemporanea alla partita
sono state, non clamorose, ma evidenti. Il nerissimo umore di Mazzola (dopo) è anche un umore
tattico. Mazzola si è trovato sempre più isolato. Domenghini arretratissimo (quasi terzino); Suarez e
Corso arretratissimi; Bedin addosso ai due: un giorno, quando Bedin « funzionava », Suarez e
Corso giocavano in verticale. Oggi, il « labirinto » inspiegabile di Bedin pone i due in orizzontale
(arretrato). Il risultato è sempre identico: l’isolamento di Mazzola che, a Torino, è stato progressivo,
anche perchè Cappellini sembra voler spesso ignorare di essere spalla, non punto di riferimento
numero uno. L’ossessione del pareggio (umanamente… comprensibile) ha tolto all’Inter alcuni metri
di « sicurezza ». Forse è proprio in quei pochi metri di paura che è maturato l’unico gol della Juve,

l’unico errore dell’Inter. Errore in due: Guarneri (colpo di testa all’indietro, troppo violento e
angolato); Sarti (manata scomposta che devia sul palo, poi su Favalli, in gol). Settanta per cento a
Guarneri, trenta a Sarti.

Il giudizio di Lo Bello

Anche Jock Stein, allenatore del Celtic di Glasgow, presente in tribuna, è stato d’accordo su questa
valutazione. E quando gli ho chiesto un giudizio sulla… Juve, mi ha risposto: « Il Celtic è più forte
della Juve! Ha più ritmo, più tenuta e tre uomini-gol! ». Dopo lo spareggio con il CSKA a Bologna,
Helenio Herrera trovò il tempo di preoccuparsi fin da allora del tappeto erboso dello Stadio LUZ di
Lisbona (« troppo soffice »). Ho l’impressione che del tappeto che taglia le gambe se ne sia già
dimenticato, dopo Torino. L’Inter che aveva saputo reagire al decadimento, soprattutto con il
temperamento, con la reazione polemica e con il superiority complex, è ripiombato nel clima
favorevole alle sue « costanti negative »: affaticamento psico-fisico, usura. Nello spogliatoio,
Concetto Lo Bello ha detto a Chiesa, dirigente accompagnatore: « L’Inter è stata sfortunata! ».
Anche la sfortuna fa parte dell’usura. Domenica prossima a San Siro, ci sarà Josè Altafini: a questo
punto, per l’Inter, anche a + 2 sulla Juve, tutto diventa « troppo soffice »! Non solo Lisbona, al cui
nome sorride soltanto uno scozzese tranquillo: Jock Stein!