1967 Giugno Heriberto chi è

1967, giugno

Heriberto chi è

Non è simpatico. Forse perché è troppo solo. Ha sorriso con denti bianchi e guance finalmente
allargate il giorno dello scudetto. Nello stesso giorno ha pianto. Venti milioni di telespettatori lo
hanno visto con gli occhi umidi. Imbarazzato. Ha riso e pianto nelle stesse ore per una ragione
unica. Ma quel giorno, il primo giugno scorso, Heriberto non era più solo. Stritolato da una folla
che voleva « toccarlo » soprattutto perché lo aveva sempre sentito lontano, solitario, distaccato.
Heriberto è troppo introverso per poter essere simpatico. Gli manca la radice greca della parola
« simpatia ». Pathos-con; pathos con qualcuno, assieme a qualcuno. Heriberto ha una tuta di
amianto fra sè e gli altri. Gli altri possono chiamarsi Menichelli, signor Rossi, l’uomo della strada o
il giornalista. Heriberto è unico. Non assomiglia a Rocco tutto immerso in una dimensione
furbastro-dialettale che lo marchia di una comunicativa straordinaria. Non assomiglia a Pesaola che
ha realizzato in sè l’incrocio più colorito del mondo: l’Argentina e Napoli. Non assomiglia a
Scopigno tutto diretto ad una interpretazione sofisticata e scettica dell’allenatore moderno. Non
assomiglia a Helenio Herrera, il primo a definirsi interprete-regista di uno « spectaculo » a recita
inesauribile. Helenio Herrera non assomiglia a nessuno. Anche l’intervista ad Heriberto nasce
fortemente caratterizzata. Ad un allenatore della Juventus si chiede come minimo di parlare di
scudetto. Sempre, qualunque sia la classifica. Figuriamoci quando la Juventus è a qualche punto
soltanto dall’Inter. Ma Heriberto non ama lo scudetto. Cioè la parola scudetto. Il pronostico
scudetto. Il ragionamento scudetto. La chiacchiera scudetto. Nulla. Heriberto lo scudetto lo chiama
« un fattore esterno alla partita », come i premi. Di denaro non si deve parlar mai, così di scudetto.
Heriberto non crea mai confronto, perché non nomina mai nessuno. I nomi e i cognomi non
esistono nel vocabolario del paraguajano. Polemiche sul tipo di quelle scatenatesi a suo tempo tra
Helenio e Carniglia, tra Helenio e il Pugliese, tra Helenio e Rocco, sono impensabili per lui. « Non
parlo degli altri ». Chiuso. Disprezza Cassius Clay. Le « lingue ». Un giorno, alla Birreria Mazzini
di Torino, il nostro direttore gli chiese qualcosa di Helenio: « Capo via! », gli rispose e salutò
fuggendo. E’ in Italia dal 1964. Personalmente, in tante interviste di spogliatoio e particolari, gli ho
sentito pronunciare una sola battuta polemica.

Fu a Bologna, se non erro, quando un giornalista torinese gli disse: « Lo sa che l’Inter ha vinto a
Venezia con due gol annullati da Sbardella al Venezia? ». « Tanto per cambiare! », tagliò netto
Heriberto. Una battuta. Sintomatica però. Forse con quella ebbe il coraggio di rompere il ghiaccio
che non aveva infranto nemmeno a Roma dopo il gol di De Paoli « sfuggito » a De Marchi. Rotto il
ghiaccio, sbalordí critici e amici quando, in piena bagarre per lo scudetto annunciò: « Voglio che i
miei dirigenti filmino la partita dell’Inter a Mantova! ». Da questo spiraglio per lui inconsueto può
darsi che esca in futuro un Heriberto meno introverso, meno controllato. Meno serio anche, ma
sicuramente più simpatico. Lo « spectaculo » in due è migliore. Quello di Helenio non toglie mai il
cartellone.

E’ fanatico. Se andasse a combattere lo vedrei tra i paras. Se entrasse in politica, sarebbe
massimalista, ultras. Da fanatico, è un po’ un mistero come possa avere tanto auto-controllo verbale.
Non un mistero per tutti. Un giocatore juventino venduto dalla Juve ad una squadra del Sud mi
raccontava un giorno: « Durante gli allenamenti Heriberto insulta tutti. Non ho mai sentito in vita
mia tanti insulti come da lui. Parolacce in spagnolo, roba da offenderti proprio. Eppure nessuno ha
il coraggio di ribellarsi. Io ho quindi una mia teoria: con noi, sul campo di allenamento, è

l’Heriberto vero, sincero, senza inibizioni. Fuori, con chi non è giocatore, con quelli che
naturalmente non può trattare si comprime per opportunismo, perchè sa che così gli conviene e non
può fare altrimenti. Ma il giorno in cui vincerà, il giorno in cui si sentirà forte, comincerete a
conoscere il vero Heriberto! ». E’ una teoria. Non ho aggiunto una virgola. Quando l’ex-juventino
mi ha parlato, era presente anche Ettore Puricelli, buon testimone. L’ aneddotica degli « ex » su
Heriberto è vastissima e curiosa. Va da alcuni episodi rocamboleschi finiti a cazzotti o quasi, alla
scoperta, durante una trasferta all’estero, di un Heriberto galante. E’ un’aneddotica che finisce
sempre con questo commento: « Guarda, è un pazzo! ». Ma pazzo Heriberto non lo è, anche se
come preparatore ha introdotto innovazioni da far urlare di raccapriccio. Sistemi equivalenti ad un
incitamento alla rivolta. Periodicamente giungono da Torino notizie di allenamenti-burrasca con
scontri tra Heriberto e giocatori, a turno, ma preferibilmente con quel giocatori (tipo Stacchini) che,
per una ragione o per l’altra, respingono il giogo. O li gioco, a secondo dei casi. Le notizie non sono
inventate. Ma Heriberto non le accetta. Ne rifiuta l’argomento. Con l’omertà di Catella, i « casi »
vengono insabbiati prima di dilatarsi: « Il professionismo — è il credo di Heriberto — ammette o il
licenziamento o la disciplina assoluta: non ci sono vie di mezzo ». Omar Sivori infatti voleva essere
una via di mezzo. Heriberto, chi è? Un preparatore, potrebbe essere la risposta immediata. Un
grande preparatore: lo ammettono anche i suoi detrattori. Ma che tipo di preparatore? Due episodi
direttamente controllati rispondono. Un giocatore si presenta al peso della bilancia dopo essere stato
due giorni in famiglia. Ha un etto in più. Multa. Subito dopo Heriberto chiama al telefono la moglie
del giocatore: « Lei è impazzita! Ma che cosa fa mangiare a suo marito? Se la cosa si ripete non lo
mando più a casa ». E distacca il ricevitore. Heriberto, da giocatore, era stopper dell’Atletico: un
infortunio alla gamba gli chiuse in anticipo la carriera. Dunque, mi raccontava qualche giorno fa
Giglio Panza, direttore di « Tuttosport », di aver assistito recentemente ad un allenamento di
Heriberto. Il paraguajano giocava contro i titolari effettuando interventi e tackle sull’uomo, mezzi
suicidi e mezzi omicidi. Giglio Panza gli chiese: « Ma se continua così gli salterà il ginocchio! ».
« Al massimo — rispose tranquillo Heriberto — starò ingessato qualche mese! L’importante è che
imparino a essere forti, atleti, senza paura ». E’ coerente. Tutto il suo fanatismo è coerenza. Nella
pagina successiva ho raccolto alcuni brani d’interviste rilasciate a « Supersport » in un anno circa. E’
un anno di coerenza senza clamore. Come piace a lui: « Alla Giuve si parla solo di lavoro, lavoro,
lavoro! » Ma la sua non è soltanto una coerenza di stile. E’ una infrangibile coerenza tecnica, tattica.
Tipico il caso-De Paoli.

Gigi De Paoli arriva alla Juve scoperto come un manifesto murale: « Farò una valanga di gol! ».
Dopo qualche partita le prime difficoltà. De Paoli: « Il movimiento non va! ». Heriberto assorbì.
Ma, forse per pressioni al vertice, la posizione di De Paoli mutò. Disse De Paoli: « Adesso mi
lasciano giocare come so: non posso cambiare a ventinove anni ». Alla lunga però Heriberto scoprì
Zigoni, ex-nemico. A Zigoni mancava, secondo lui, il gioco senza palla e l’altruismo. A forza di
urlare Heriberto si è alla fine dichiarato soddisfatto. Zigoni è stato anche preferito a De Paoli. E
oggi, De Paoli non è più intrasferibile. La coerenza di Heriberto Herrera, alla lunga, ha ricevuto
indiretta conferma. Dietro due occhietti minimi e una mascella di ghisa, Heriberto tiene ancora
chiusa molta parte di sè. Oggi, dopo lo scudetto, sappiamo solo qualcosa in più. Freddo come un
tecnico della NASA, paziente come un culturista, ha dimostrato alla lunga che quello di chiamarsi…
Herrera, come Helenio, era l’ultimo, non il primo e l’unico merito.

Un anno di coerenza

Lo specchio dell’anima è l’intervista. Soprattutto quando si tratta dell’anima di un allenatore.
Heriberto Herrera, molto per temperamento, un po’ per differenziarsi da Helenio Herrera, ha
costantemente imposto un tipo d’intervista anti-spettacolo, seriosa, compassata, controllata.
Intervistare Heriberto è come parlare ad un cervello elettronico: dati, fatti, possibilità. Nulla che sia
concesso all’improvvisazione, alla fantasia senza freni. In Helenio suona stonata la frase tipica,
convenzionale. In Heriberto sorprendeva la battuta. C’è stato comunque nel tempo, un
ammorbidimento dell’allenatore juventino. Il carnevale del campionato italiano non lo ha
profondamente intaccato, coinvolgendolo, ma lo ha sfiorato in progressione. Anche Heriberto ha
lentamente scoperto la libertà. L’intervista anti-inibizione. Per scoprire questo sottile progresso
verso la libertà di tipo nostrano, ma soprattutto per avere la precisa escalation di Heriberto fino allo
scudetto, abbiamo raccolto « un anno di Heriberto ». Poco meno di un anno di dichiarazioni testuali,
fedelmente riportate in diversi momenti dai redattori di « Supersport ». Nella prima dichiarazione,
Heriberto dice: « Non voglio parlare di scudetto! ». Ne ha parlato soltanto dieci giorni fa. Quando lo
ha vinto.

SETTEMBRE 1966

« Lei si giudica un asceta del calcio? »
« Se essere asceta vuol dire non improvvisare niente, io sono un asceta! »
« Quindi, anche il duello con l’Inter non sarà… improvvisato! »
« Quando giocheremo contro l’Inter! »
« Solo quel giorno? Lo scudetto è fatto di trentaquattro domeniche… »
« Noi non abbiamo programmi a lunga scadenza: affrontiamo ogni partita cercando sempre la
vittoria. Ma alla Giuve non si parla mai di risultati. Si parla solo di lavoro. Il conto finale lo
vedremo più avanti. »

« Un conto finale comunque ci sarà! »
« Ci sarà, ma io non ho mai detto che vinceremo lo scudetto: questo lo dicono gli altri, non io! »
« Perchè lei non lo dice? »

« Perchè lo scudetto è un fattore esterno alla partita! »
« Lei pensa di assomigliare a Herrera… Helenio? »
« Io non copio nessuno! Tutto quello che faccio, lo faccio per convinzione, non per imitazione.
Claro? »

SETTEMBRE 1966

« Che cosa hanno insegnato i Mondiali? »
« Che quella è la strada da seguire: e la Juventus è la squadra italiana che più si avvicina al

modulo di gioco delle più grandi squadre del mondo. Il nostro sistema è quello giusto. »

OTTOBRE 1966

« Qual è stata la critica più irritante che ha ricevuto in Italia? »
« Non ho mai fatto collezione di critiche. Una cosa sola non mi piace: io dico una cosa e lei ne

scrive un’altra! Se fanno questo, mi dispiace! »

« Lei crede sempre nel movimiento: è sicuro che la Juventus duri sul suo ritmo fino alla fine del

« Non accetto nemmeno di discutere questa cosa! Io lo dimostrerò con i fatti alla fine, non

campionato? »

adesso a parole! »

DICEMBRE 1966

« In una recente intervista Helenio Herrera ha criticato la Juventus per la posizione troppo

arretrata di Del Sol e Chinezinho: lei cosa risponde? »

« Potrei anche non rispondere, ad ogni modo rispondo con un’altra domanda: Suarez e Corso

stanno forse più avanti di Del Sol e Chinezinho? »

GENNAIO 1967

«Se deve incontrare l’Inter invece del… Lecco, il suo programma d’allenamento varia in

qualcosa? »

« La nostra preparazione non cambia mai: l’avversario non interessa. Io ve do solo la Juventus,
vedo i miei uomini la domenica in campo e mi accorgo chi ha bisogno di allenarsi più degli altri e
chi è più allenato e mi regolo così valutando i miei, uomo per uomo.»

« E’ da ciò che lei trae la sicurezza che la Juve non avrà un calo di rendimento, magari alla fine?»
«Noi non abbiamo mai avuto cali e non ne avremo nemmeno quest’anno: il rendimento della

Juve è sempre stato ” pianificato “. »

FEBBRAIO 1967
(alla fine del girone d’andata, dopo li gol di De Paoli annullato da De Marchi all’Olimpico)

« Considera positivo il girone d’andata? »
« Positivo sotto tutti gli aspetti: gioco, spettacolo, punti. I punti sono il prodotto fedele del gioco
e nessuna squadra può dire che abbiamo rubato. Non ho mai parlato di scudetto e neanche adesso ne
parlo: tireremo le somme alla fine del campionato. »

« Metà è già passato… »
« L’infortunio… contro la Lazio ci ha impedito di finire alla pari con l’Inter. Ma i tifosi possono
essere contenti lo stesso: è questo l’anno che la squadra sta giocando meglio! E mi pare che la
Juventus di oggi sia il frutto di trenta mesi di lavoro paziente, preciso e continuato. »

MARZO 1967

« Siamo più maturi ed esperti. E la esperienza, in un campionato lungo e snervante come quello

italiano, può significare tante cose. »

« Quante? »
« Può significare che allo scudetto si può arrivare attraverso tanti elementi, tra cui anche la

fortuna. E la Giuve finora non è mai stata tanto fortunata.»

APRILE 1967

« Il campionato non è finito! »

MAGGIO 1967
(prima di Juve-Inter)

« Chi dice che la preparazione è sbagliata, che siamo morti, vuol dire che non ha buoni
argomenti per scrivere qualcos’altro! La Juve è sempre la squadra più forte nel finale delle partite.
Se c’è andata male le ragioni sono altre: rassegnazione in qualcuno. Ma non è vero che siamo
stanchi. E proprio la partita con l’Inter dirà la verità e cioè che la Juve è ancora viva!»

MAGGIO 1967
(dopo Juve-Inter)

« La Juve doveva vincere tre a zero nel primo quarto d’ora. Ma in tutta la partita noi abbiamo
superato l’Inter come calcio moderno. Per comandare il gioco solo dieci minuti, l’Inter ha dovuto
cedere tutto il resto a noi che abbiamo dimostrato di non esser cotti come dicono! »

MAGGIO 1967
(dopo la vittoria della Juve a Vicenza e il pareggio dell’Inter con la Fiorentina)

« Adesso cominciamo a sperare nello scudetto. E se non proprio allo scudetto, almeno allo
spareggio. Le probabilità sono buone: ho sempre detto che la Juve non avrebbe mai mollato! Io non
mollo mai! »

2 GIUGNO 1967
(campionato concluso)

« Abbiamo giocato un grande campionato ed è giusto che lo scudetto abbia premiato la nostra
perseveranza. Il bilancio di tre anni è lusinghiero: preso in mano nel ’64 una Juventus senza gioco,
carattere e temperamento e siamo arrivati a togliere lo scudetto alla favoritissima Inter!».

Un anno di Heriberto: The End.