1967 gennaio 9 15 Rocco e gli sputi…

1967 gennaio 9-15 (Supersport)

Rocco e gli sputi…

Non è affatto sensazionale sapere fin da oggi che, alla fine del campionato, Nereo Rocco se ne
andrà per sempre da Torino. E’ invece significativo che lo stesso Rocco me lo abbia ripetuto,
confermato e sottolineato dopo San Siro, dopo una delle più belle e dignitose partite che il Torino
abbia giocato in questi ultimi tempi. E’ la prova lampante che tra Rocco e il pubblico torinese la
frattura non è più condizionata ai risultati della squadra, ma è autonoma, viscerale, inguaribile. « Ho
passato tutti i campi d’Europa:…e devo finire la mia carriera coi sputi de Torino? No, me dispiasi,
ma non me la sento più. Piuttosto attacco la panchina al chiodo! ». E’ matematico che la prossima
volta, a giugno, Nereo Rocco non commetterà ancora una volta l’errore grave di lasciarsi
commuovere dai due elementi fondamentali del suo « antico » rapporto con Orfeo Pianelli: l’ottimo
trattamento economico e una collaborazione amichevole, più che gerarchica. Nessun contratto, per
quanto generoso; nessuna amicizia, per quanto sincera, può oramai pagargli quel viatico settimanale
di sputi che lo inseguono come un incubo inarrestabile.

Quando Enzo Tortora, durante l’ultima puntata de « La domenica sportiva », chiese al paron di
volgere un saluto-invito al tifosi granata in occasione del sessantennio di vita della Associazione
Calcio Torino, Rocco rispose dai teleschermi: « Fiducia, fiducia, fiducia…! »: sorridente, sornione,
beffardo. Con l’aria benedicente e liliale di un padre Mariano. Ho l’impressione che quella zoomata
televisiva non sia affatto piaciuta a Torino. Ma in ogni caso non è che possa aver appesantito una
situazione già gravemente compromessa. A Rocco non viene più risparmiato nulla. I capi d’accusa
che l’opinione pubblica gli contesta sono molti. Di non aver mantenuto le promesse di un rapido
inserimento nell’orbita dello scudetto (dopo l’exploit del terzo posto). Di aver imbrocchito la
squadra. Di aver sbagliato tutte le campagne di compra-vendita. Di essere sempre fermo ai panzer
padovani. Di essere incapace di uscire dalla dimensione di un accentuato provincialismo. Di
preparare la squadra secondo sistemi definiti « artigianali », soprattutto se confrontati con il rigore
scientifico di un Heriberto Herrera. E’ accusato in sostanza di aver fatto fallire il celebre « Piano
Pianelli » che si sintetizzava nella magica espressione « tre anni per uno scudetto ».

A questo punto, con un’opinione pubblica convintissima di conoscere fino in fondo i connotati e
il nome del colpevole, gli sputi, gli insulti, le persecuzioni, i lanci di monete, le minacce, nessuno
poteva più fermarli. Il divorzio è scontatissimo. Non si aspetta che la fine del campionato.

E’ dunque questo il momento di approfondire la situazione: di cercare la verità respingendo i
luoghi comuni. Di dare in sostanza a Rocco tutto ciò che è di Rocco. Contro il Milan che ritornava
dalle trasferte della rinascita (Juventus-Spal-Roma), Rocco è riuscito a mettere in campo un Torino
finalmente organizzato, intelligente, serio. Con Ferrini (marcatore di Rivera) combattivo e
orgoglioso; con Combin che sta riconquistandosi col sangue la reputazione perduta; con Meroni al
quale manca sempre e soltanto il gol per essere davvero grande. Questo Torino di Rocco non è stato
fischiato, né beccato, né maledetto per il gioco pesante. E’ andato anzi in vantaggio con un lancio
stupendo dl Combin a Simoni e con un altrettanto stupendo controllo e tocco-gol di Simoni; ha
subito il pareggio da un « numero» al volo di Gianni Rivera; ha poi avuto la palla del due a uno
(Varnier) e quella, incredibile, del tre a uno, con Gigi Meroni che ha saputo inventare un dribbling
eccezionale, facendo fuori tutti, stopper, libero e portiere e poi, quando già aveva mezzo braccio
alzato verso la tribuna… ha calciato fuori, a fil di palo. Alla fine della partita, mentre Rocco si
stringeva la gola: « Quel gol mangiato dal Gigi, lo go qua, è rimasto qua »; mentre, commentando

gli altri risultati, dondolava il testone alla sconfitta del Bologna: « El Bologna xe un anno si e un
anno… come noi! »; mentre, per una volta soddisfatto e sereno, assaporava l’ebbrezza quasi perduta
di sentirsi ancora qualcuno, il presidente Orfeo Pianelli dichiarava: « Dicono che il Torino non sa
giocare al calcio: contro il Bologna abbiamo giocato bene e abbiamo perso, contro l’Inter abbiamo
giocato bene e abbiamo perso, contro il Milan ancora bene e abbiamo pareggiato! Si vede che a star
vicino alle grandi impariamo anche noi qualcosa ». Pianelli era molto pallido e si vedeva che era
irritato. Il tono della voce polemico. Nel suoi occhi si leggeva un bersaglio dettato da amarezza e
dalla convinzione che il Torino venga sistematicamente sottoposto a critiche troppo severe, tanto
della stampa quanto del pubblico. Può essere che spesso si sia superato il segno, ma quando da una
gestione vengono posti pubblicamente dei traguardi e quando questi traguardi vengono falliti tanto
clamorosamente come lo sono stati dal Torino, le recriminazioni e gli atteggiamenti vittimistici
sono ingiustificati. Il Torino in questi anni ha vissuto di contraddizioni enormi, di conati, di
mancanza di coraggio. Per una politica dl sopravvivenza umile, il concetto di una amministrazione
ordinaria, « piemontese », sarebbe anche potuto bastare. Ma per una politica che era stata
annunciata di « grandeur », di rinascita nella tradizione, era questione di successo o di fallimento la
scelta di sistemi (finanziari e organizzativi) adeguati ai programmi.

Questo è il punto decisivo in tutti i discorsi che toccano il Torino. Ed è anche questo il punto
che, a mio parere, salva quasi globalmente Rocco. O che quantomeno gli riserva un grossissimo
alibi. « A marzo, — mi ha detto Rocco citando la testimonianza di Eugenio Conti che era presente
— io potevo firmare per il Milan! L’anno prima avevo detto no alla stessa richiesta fatta dal Gipo e
ho detto no anche questa volta! L’ho fatto perchè ero legato da amicizia con il presidente Pianelli:
solo per lui l’ho fatto, ma alla fine di questo campionato, me ne andrò di sicuro ». A marzo, è la
verità, a Nereo Rocco fu offerto il posto che sarebbe andato ad Arturo Silvestri. Non accettò e
commise un grosso errore di cui si è già pentito. Perchè è rimasto a Torino? Credeva che Pianelli
avrebbe potuto dargli tutto quello che non gli aveva dato nei due anni precedenti? Rocco, il suo
destino, gli sputi che lo inseguono, in un certo senso se li è voluti. Perchè non ha saputo dire no. Ma
le colpe, le colpe vere, profonde, non sono sue. Rocco è accusato di aver sbagliato acquisti, di aver
imbrocchito la squadra, di sperare ancora in giocatori come Fanello. Ma che cosa può fare questo
povero Nereo? Quando conquistò il terzo posto, Rocco andò da Pianelli e gli disse: « Senta,
presidente: se non vogliamo che questo traguardo finisca così, senza niente, bisogna fare un
sacrificio: spendere quattrocento milioni e darci quel qualcosa in più che ancora ci manca. Se non
farà questo, ci prenderanno a sputi, perchè tutto crollerà e li avremo illusi inutilmente ».

La lista dei giocatori di Rocco (letta anche da Viani buon testimone) era questa: Sormani, Sivori,
Altafini, Chinezhino, Barison… La Roma era ridotta all’elemosina: sarebbero bastati cento milioni
per prendere Sormani prima di tutti. E Sivori… Sivori disse a Rocco: « Ho l’agenzia assicurazioni:
vorrei rimanere qui a Torino ». Rocco propose perfino di andare direttamente da Gianni Agnelli a
trattare. Niente. Non ottenne nulla. Il Torino, senza quel qualcosa in più deluse, crollò un anno
dietro l’altro. Il Piano Pianelli falliva sul nascere, perchè quella che veniva offerta a Rocco era una
politica di sopravvivenza, affatto espansionistica. Per questo Rocco ha solo colpe parziali,
contingenti. E’ vero che si è smontato, è vero che è oramai distaccato dalla squadra e dall’ambiente,
è vero che ha mollato da un pezzo. Ma come non capire il suo dramma? Anche un pareggio a San
Siro gli può restituire la serenità: non subire gli insulti, il sibilare delle monete e il resto. Nereo
Rocco ha mollato, ma il Torino non gli ha mai dato veri ormeggi. Questa è la verità che va detta e
approfondita.