1967 febbraio Il Bologna comincia domani

1967, febbraio, Special (Tuttosport)

Il Bologna comincia domani

Bernardini, Scopigno, Carniglia, Fabbri, Cadè, e… Gipo Viani: c’è tutto del Bologna. Il passato, il
presente, ma soprattutto il domani. C’è tutto: il vero e il falso, il buono e il cattivo. La base per ogni
discorso è comunque Gipo Viani. Viani, l’uomo al quale Renato Dall’Ara prestò venti milioni per
consentirgli di avviare la fattoria di Nervesa della Battaglia; l’uomo senza il parere del quale
Dall’Ara non faceva nessun acquisto; l’uomo che definisce Dall’Ara: « Un presidente paternalistico,
ma nel senso vero, intelligente della parola »; quest’uomo, Gipo Viani, guiderà da oggi la
rivoluzione silenziosa che dovrebbe dare al Bologna una nuova dimensione nello spirito della
« grande presidenza ». E’ stato l’ultimo gravissimo incidente automobilistico che ha condizionato
l’accordo Goldoni-Viani, ma la realtà è che da dieci anni il Bologna ha sempre posto all’ordine del
giorno, con minore o maggiore intensità, questa operazione. « Per raggiungere questo scopo (vivaio,
n.d.r.) — scrisse il presidente Luigi Goldoni in un comunicato ufficiale successivo all’assunzione di
Viani — ci siamo preoccupati di assicurarci il miglior tecnico per esperienza, serietà e competenza,
che fosse disponibile. E in questa ricerca abbiamo avuto la fortuna di trovare libero il signor
Giuseppe Viani che, appunto a nostro avviso, rappresenta il meglio che possa — sotto ogni aspetto
— desiderarsi nel campo della tecnica calcistica ». Questo ha detto Goldoni di Viani al momento
della stipulazione del contratto-biberon. La gente, lo stesso pubblico bolognese, non ha potuto fare a
meno di sorridere. Il pubblico infatti si è chiesto: « Ma allora, se è veramente quanto di meglio
possa offrire la piazza, è ragionevole che lo tengano a mezzo servizio? ». Il pubblico si convinse
che la « scusa » (importante) del vivaio era soltanto una scusa e nulla più. Un pretesto insomma per
non urtare la suscettibilità di Carniglia, per non sconvolgere l’assetto (bene o male) raggiunto dalla
Società-Squadra, fino alla fine del campionato. Ma nessuno ha creduto, e giustamente, che la
situazione potesse trascinarsi oltre queste esigenze di « politica interna ». In un paio di mesi Viani
ha già legato al Bologna tre squadrette-satelliti (il « Giorgione » di Castelfranco Veneto, il
« Nettuno » e il « Leon Boys » di Venezia), con contratti per il pescaggio di giovani assi, ma questa
non può che essere una branchia sulla quale il vecchio Gipo getterà di tanto in tanto un’occhiata da
supervisore. Il domani vero di Viani è il Bologna, la prima squadra: l’organizzazione della grande
società. Per questo il domani di Viani è anche il domani del Bologna.

Chi starà in panchina? Il passato può servire a capire qualcosa.
Bernardini. Fu il simbolo, con Dall’Ara, del « Bologna-fede ». Tecnicamente fortissimo, subì
però, durante la sua avventura rossoblù, aspre critiche: era accusato di « mania » del bel gioco, di
offensivismo inutile (quattro a zero subito dall’Inter…). Ad un certo punto si stancò… e il Bologna
fu davvero grande, da scudetto. Morto Dall’Ara, ebbe un campionato drammatico ed una Coppa dei
Campioni sfortunata: la faccia sbagliata di una monetina lanciata in alto con l’Anderlecht di Van
Himst e una buona metà dei giocatori psichicamente esauriti dal « campionato-doping », gli
chiusero rapidamente tutti gli orizzonti. Si dice che furono alcuni ras della squadra a volerne la testa
a tutti i costi. Resta comunque il fatto che il « dottore » è ora rimpianto da tutti. La dichiarazioni
nostalgiche di Bulgarelli hanno sorpreso qualcuno, ma altri, come Bovina, l’inseparabile ombra di
Bernardini, hanno dichiarato: « Mi sarei sorpreso del contrario: in tempi come questi, come non fa
un giocatore, siamo onesti, a rimpiangere il passato?».

Scopigno. Il pubblico italiano. conosce soltanto « uno » Scopigno: quello che fu del Vicenza e
quello che è del Cagliari. Per il pubblico, è come se la parentesi di Bologna non sia esistita: troppo

rapida, troppo ombrosa, poco chiara, perchè possa avere di quella apparizione fuggente una precisa
valutazione. Ci furono incomprensioni, antipatie ed anche interferenze indebite nei compiti di
Scopigno: interferenze che Scopigno rifiutò con sdegno sbattendo il contratto sul tavolo di Goldoni.
Solo adesso, l’opinione pubblica rossoblù si è resa conto che Scopigno (che voleva Viani seduto non
in panchina, ma dietro la scrivania, in via Testoni 5…) sarebbe potuto diventare alla fine l’uomo
giusto. A Scopigno è unanimemente riconosciuta una grande abilità psicologica oltretutto. Dove è
naufragato Carniglia? Proprio su questo piano.

Carniglia. L’anno scorso il Bologna fu secondo. A parte il fatto che Scopigno un giorno mi disse:
« La mia preparazione il Bologna se l’è sentita nelle gambe per tutto il campionato »; a parte questo
maligno rilievo personale del « filosofo » e ammettendo che Carniglia, sul piano della preparazione
sia positivo, rimane il fatto che anche a Bologna non si è saputo smentire: un anno e poi, in una
maniera o nell’altra, crolla. A questo punto, è già radiocomandato: non da… Schiavio che conosce il
Bologna (è la verità!) solo per interposta persona, ma da Viani s’intende. Il suo destino ora è nelle
mani di altri.

Fabbri. Nessuno sa che cosa ci sia tra lui e Carraro, il presidente del Milan. Si sa però che abita a
Bologna; che il suo ambiente è Bologna; che un giorno bramò l’Inter ma fu « tradito » da Moratti
per Herrera; che da quel giorno ha sempre sognato di diventare l’affossatore del Mago. Si sa della
Corea, di una carriera tutta da ricominciare. Si sa che, in caso di assoluzione nel celebre processo
federale, avrebbe preso il posto di Silvestri. Condannato, ha chiuso con il Milan o no? E’ la conditio
sine qua non per un discorso bolognese. Viani, di Fabbri, è sempre stato un estimatore e, dopo i
mondiali, fu uno dei pochi a « giustificarlo ».

Cadè. Passa per uno dei più preparati allenatori della giovane guardia. Da alcuni recentissimi
scambi di vedute, Viani ne ha tratto una grossa impressione. La situazione è semplice: se in questo
momento la società chiedesse a Viani di decidere da solo il problema, con nove probabilità su dieci,
farebbe questo nome. L’altra probabilità sarebbe riservata a Giorgio Ghezzi, che Viani considera,
nonostante il fallimento genoano, un ottimo preparatore. Nella scelta-Ghezzi, scarsamente
probabile, è però implicita la volontà di Viani di fare tutto da solo: in società e in squadra. La scelta-
Cadè invece implicherebbe, secondo noi (e sempre che Cadè accetti…), una delimitazione ai
compiti di Viani. Più per la società e meno per la squadra.

A parte i nomi che abbiamo fatto c’è chi ha parlato di Ballacci, chi di Pivatelli. Chi ha dato sicuro
Fabbri e chi ha rifatto il nome di… Scopigno! C’è anche chi crede che alla fine, un Carniglia solo
preparatore se la caverà sotto il protettorato di Nervosa. La situazione è quindi tutta da scoprire e da
discutere. Quello che è certo lo abbiamo detto subito all’inizio: il Bologna comincia domani. La
chiave del domani è oramai Viani: solo lui. L’infanzia (rossoblù) si sente già abbandonata.

Helmut, addio!

« Ho anche un cuore! » Ad Helmut Haller avevo fatto una precisa contestazione: « Qualcuno pensa
che tu abbia molto in comune con José Altafini; qualcuno pensa che la molla numero uno di certi
tuoi atteggiamenti verbali sia… il contratto: non tutti sono disposti a credere a quello che dici ».

« Loro credere, un ciorno! ».
Un giorno gli crederanno. Il giorno in cui farà salire sulla sua candida Mercedes la moglie
Waltraud, Karin e Jurgen. Il giorno in cui, con il braccio fuori del finestrino, saluterà gli amici che
hanno fatto l’abbonamento allo Stadio Comunale soltanto per vedere lui, il « grande Helmut ».

Helmut, addio!

Gli diranno, e qualche lacrima righerà abbonamenti infranti come cuori. Ci saranno anche i fischi
di quelli che avranno già dimenticato la pelle di aragosta rosa di Haller, quelli che si saranno sentiti
traditi. Lo fischieranno perchè non ha accettato di essere integrato fino in fondo, di buttare la pelle
di aragosta rosa per quella tutta rossoblù.

Il pubblico, i tifosi, saranno divisi: ma per nessuno sarà un giorno di festa. Quel giorno, « il
ciorno che loro credere », Bologna avrà perso un asso. L’asso più prestigioso dei suoi ultimi
vent’anni.

Perchè il Bologna perderà Haller? E’ poi tanto scontato che il Bologna perderà Haller? In
un’intervista di alcuni giorni or sono, il presidente Goldoni, a proposito di Haller, dichiarò: « Ora ne
ho avuto abbastanza: se si ripete un altro atto di indisciplina del signor Haller, se non riga dritto, dò
la mia parola d’onore che non lo cederò mai a squadre italiane, a nessun prezzo. Se vorrà, tornerà in
Germania a fare chissà cosa, magari l’allenatore ma non a giocare ». L’atto di indisciplina a cui si
riferiva Goldoni è, come tutti sanno, il permesso che Haller diede a Supersport di pubblicare alcuni
documenti personali che nessun regolamento nè tanto meno la Costituzione Italiana gli impediscono
di far vedere e di consegnare a chi meglio gli piaccia. Ma la questione non è questa. Quello che
importa è che, nonostante la multa di oltre un milione, nonostante la pubblicazione dei documenti
(ritenuta indisciplina), Il presidente abbia ancora una volta evitato la rottura clamorosa e definitiva
col giocatore: « Se si ripete un altro caso, ecc… », non è volontà di rottura, è volontà di tenere
aperta, nonostante tutto, ogni possibilità; di non impegnarsi con prese di posizioni forse impopolari
e in fondo ingiustificate. E’ volontà di non rompere, ma è anche una implicita confessione: « …se…,
dò la parola che non lo cederò… ». Come dire: « se invece stai tranquillo, ti cederò ad una squadra
italiana: che è esattamente quello che tu vuoi ». Questo è il punto. Se lo ha implicitamente
confessato Goldoni, ciò significa che anche la presidenza si è oramai rassegnata all’idea che Helmut
Haller se ne vada. Ad Haller una decina di giorni or sono, fece un discorsetto riservato anche Luis
Carniglia: senti Helmut, a giugno, non devi andartene; a giugno tu devi rinnovare il contratto: la
società è disposta a darti quello che non ha mai dato a nessuno; quello che non ha mai dato
nemmeno a te che dici di essere già il giocatore più pagato in Italia! Questa è la sostanza del
discorso che Carniglia ha fatto ad Hailer per conto terzi. Ma il « grante Helmut » non ha fatto una
piega. « Ho anche un cuore! ». Un giorno, molto tempo fa, ci trovammo ai campionati del mondo:
Hailer mi disse: « Sono professionista e faccio miei interessi: locico, no? Ma quando io leggere e
sentire che io voglio Inter o Milan per tanti soldi, allora io dico: ma cosa?! Io non posso guadagnare
di più di Bologna, perchè sono già pagato più di tutti in Italia: allora io non voglio andare per soldi.
Ma vita non è tutto soldi! ». Lo ha ripetuto a Carniglia che la vita non è solo soldi; gli ha detto che
nemmeno per cinquanta, per sessanta milioni potrebbe restare a Bologna. Di fronte ad episodi del
genere si rimane perplessi: i giocatori del Bologna sono stati accusati a più riprese di sfacciata
venalità. C’è anzi chi sostiene (e non è l’uomo della strada…) che il tarlo vero che rode il Bologna
sia proprio questo: l’aureo trattamento economico riservato ai giocatori dopo la conquista dello
scudetto all’Olimpico! Trattamento giudicato non proporzionale agli incassi e alla struttura della
società. Se dunque ciò è vero, fuori dubbio; se i giocatori sono pagati troppo e se sono attaccati
troppo alla busta-paga; come si può spiegare l’atteggiamento di Haller? Se fosse vero che tutte le
sue sparate non sono altro che una subdola manfrina in funzione-ingaggio, perchè Haller non ha
accettato di mettersi tranquillo fin d’ora sparando « Cinquanta »?! La risposta evidentemente, se
Helmut non è dr. Jeckill ed anche mr. Hyde, prescinde e supera il discorso finanziario. E’ vero:
Haller se ne frega dei soldi. Non di tutti i soldi, perchè è professionista fino in fondo, ma dei soldi
che gli offrirà il Bologna. Haller è tedesco ed ha figli che vuole crescano tedeschi: giusto! Ma non è

tutto. Troppe polemiche, troppi sospetti, troppi veleni. Un giorno, « quel » giorno, Haller spiegherà
tutto. Ma oggi sappiamo due cose soltanto: che quel giorno ci sarà e che Haller, oggi, vuole che si
sappia che lo fa per Karin, già in ritardo di sette mesi sul piano scolastico. Dicevo prima che
Goldoni è rassegnato, ma io penso che non tutti lo siano in società. C’è un uomo, Viani, che
potrebbe tentare a giugno l’impossibile. Tentare dico, perchè, conoscendo Viani e conoscendo le
mille incredibili strade che percorse per non perdere Altafini, sono sicuro che qualcosa farà. E credo
anche che non servirà a nulla: le sue energie gli converrà riservarle per fare del caso-Haller un
grande affare finanziario per il Bologna. Chi perderà Haller perderà (in clima di blocco-stranieri) il
più giovane super-asso in circolazione in Italia: il Bologna, costretto a rinunciarvi, si salverà con un
grosso affare. Con un grande scambio e milioni.

Solo così l’« Helmut, addio! » sarebbe meno drammatico. Solo così gli abbonamenti infranti

come cuori smetterebbero di piangere.

Bulgarelli: “Non ho tradito Fabbri”

Bulgarelli ha tradito Fabbri! Come è potuta nascere questa distorsione polemica che in molti hanno
accreditato ed alla quale in molti hanno creduto? E’ successo questo. Il Bologna non c’entra.
Incontro Bulgarelli a Milano, all’Arena, prima della partita contro il Milan. Esce dagli spogliatoi
dopo l’allenamento diretto da Carniglia. Dico a Bulgarelli: « Verrò a Bologna: vorrei conoscere da
te i motivi che ti spinsero a rilasciare le famose dichiarazioni che Fabbri fece pubblicare su “Stadio”
dopo i mondiali. A me francamente non è mai sembrata una cosa nè intelligente, nè opportuna… ».
« D’accordo — dice Bulgarelli —ci vediamo a Bologna: ti spiegherò ». Punto e a capo. Dopo
qualche giorno sono a Bologna, in casa Bulgarelli: ha soltanto mezz’ora di tempo, perchè ha già in
tasca il biglietto di una riunione di pugilato. Che cosa dice in sostanza?

1) Che ha rilasciato la famosa dichiarazione (la più grave tra l’altro con il vago sospetto di

« doping » messo giù confusamente e ingenuamente) soltanto per un senso di solidarietà, di
comprensione umana per un uomo con il quale aveva lavorato per quattro anni ininterrotti.
2) Che Fabbri non ha mantenuto le promesse sulla estrema riservatezza della dichiarazione
richiesta e sul fatto che non sarebbero state pubblicate sui giornali. Bulgarelli ha poi parlato del suo
personale atteggiamento post-mondiale in riferimento alla Nazionale ed ha concluso dicendo
un’ultima cosa.
3) Richiesto da me: « Quanto ha sbagliato Fabbri in Inghilterra? », Bulgarelli rispose: « Molto,
ma ha pagato ».

In base a queste tre dichiarazioni Bulgarelli è stato messo sotto processo e accusato da molti di

« tradimento ». Ma quale tradimento? Perchè ha detto che Fabbri era un « cadavere »? Ma cosa
doveva dire: che era tranquillo, beato, in forma, paffutello e disteso? Lo hanno scritto tutti che era
distrutto nel morale e abbattuto fisicamente: la sentenza federale ha addirittura parlato di
« leggerezza ». E adesso, perchè lo dice Bulgarelli, salta fuori il « traditore »? Ma smettiamola con
queste ipocrisie, con questi giochi di parole. Bulgarelli ha detto la verità e basta. La verità non è mai
« tradimento ». Ha detto anche che Fabbri non ha mantenuto la promessa di non pubblicazione:
anche questo, è stato confermato da altri sottoscrittori, è vero. Ha detto (e questo ha fatto boom) che
Fabbri, in Inghilterra, ha sbagliato molto. Ma vi sembra che sia una cosa tanto clamorosa? A noi no.
E’ la verità. Bulgarelli l’ha detta. Che Bulgarelli fosse un « uomo di Fabbri » che cosa significa: che
deve essere fesso forse? Rispondere: ha fatto tutto bene, è stato perfetto? Bulgarelli, anche questa è

verità, stima moltissimo Fabbri, sul piano tecnico e umano. Gli riserva tutta la sua competente e
immutata stima. Ma la stima non esige la menzogna come strumento di solidarietà. « Non ho tradito
nessuno! — mi ha detto Bulgarelli — Tantomeno Fabbri! ».

1967-68: esplode Nielsen!

Harald Nielsen, a fine campionato, non avrà più « nemici » nè veri nè finti. Luis Carnigna sarà a
Roma o a New York o nel Sud: il nemico « vero » quindi avrà una panchina lontana, lontana, molto
lontana. Il primo grande ostacolo psicologico paratosi violentemente sulla strada del danese sarà
stato rimosso. A Carniglia, Nielsen, non è mai piaciuto. Come calciatore, s’intende. Lo ha sempre
giudicato grezzo tecnicamente, scarsamente mobile, poco intelligente nello scaricamento. La
settimana della fuga-vacanza in Danimarca, Nielsen confidò ad un amico giornalista di
Copenaghen: « Non voglio più giocare con la maglia numero nove sulle spalle: sono marcatissimo e
non riesco mai a muovermi. Io voglio giocare all’ala: sono convinto che sarebbe l’unica maniera per
farmi rifare dei gol ». Carniglia ai desideri tattici di Nielsen non ha mai pensato. Nielsen, nella
circostanza assomiglia molto ad Altafini che, in occasione di un ritiro napoletano a Canzo, rese
pubblico il suo odio viscerale al catenaccio, al calcio italiano come espressione di difensivismo, e
pregò pubblicamente Bruno Pesaola di fare un esperimento. Usare Orlando come sponda, come
paracarro, come catapulta di rottura e mettere sulle spalle di Josè una nuova maglia. Solo che
Pesaola, con la sensibilità che gli è propria, ha cercato nei limiti del possibile di accontentare il
brasiliano dandogli un altro numero sulla schiena. Mentre Carniglia non ha mai cercato seriamente
di evitare la crisi di Nielsen che si è profilata fin dall’inizio corrodente. Carniglia, con insensibilità
incredibile, accentuava anzi il decorso della crisi. In più di un’occasione, e pubblicamente, ha
attaccato violentemente il suo centravanti. Non è un mistero che proprio queste feroci critiche
dell’allenatore provocarono la rabbiosa reazione di Nielsen. Reazione che gli costò più di un
milione di multa, ma che gli valse la simpatia (quasi) unanime del pubblico bolognese. Il dualismo
sotterraneo con Pace, dualismo ingigantito da Carniglia, è alla radice della fuga-vacanza. I dirigenti
in quell’occasione tentarono di calmare l’opinione pubblica con versioni di comodo, ma sappiamo
con certezza che prima di andarsene, Nielsen ebbe un colloquio da infarto con i dirigenti. Un
colloquio da aut aut. Il primo aut era vacanza, il secondo uno scandalo. Fu optato (saggiamente) per
il primo. A giugno comunque sarà il « nemico » di Nielsen ad andare in vacanza. Ma per sempre.
Anche il secondo « nemico », questa volta « finto », se ne andrà: non si sa dove, ma se ne andrà.
Il suo nome è Helmut Haller. Di professione asso, ma di fama boicottatore numero uno del danese.
Fino a che punto Nielsen creda seriamente a questa storia è incerto. Fino a che punto questa
montatura abbia magari creato ombre reali e profonde tra i due « big » è altrettanto incerto. Resta
comunque il fatto che, nonostante le smentite di Haller (« io sono amico di Nielsen… io passo palla
a chi vedo meglio… io formidabile ciocatore… io guadagno più di tutti… come faccio a invidiare
Nielsen? »), nonostante le accuse generiche di Nielsen non mi passano la palla, corro sempre per
niente: smarco ma non mi arriva mai niente »), tra Heller e Nielsen si è creato qualcosa. Magari di
impalpabile, magari di irreale, magari di insignificante come peso, ma in ogni caso una membrana
di sospetto. Anche il « nemico finto », a fine campionato, nove probabilità su dieci se ne andrà
spontaneamente. Saranno soddisfatti soltanto i denigratori ingiustificati di Helmut.

Via Carniglia, via Haller, non ci saranno più ostacoli nè psicologici nè di concorrenza per Harald
Nielsen. Il ’67-’68 sarà la sua grande annata. Alibi comunque non ne avrà più. E il pubblico saprà di
avere un centravanti finalmente tranquillo.

Tre storie rossoblù

Vastola appartiene al Bologna soltanto formalmente. Da quando infatti ha deciso di parlare
(attraverso il nostro giornale), da quando ha dato a Carniglia quel che è di Carniglia, si è
automaticamente messo al bando. E’ stato proprio lui a chiederlo pubblicamente: « Mi lasci in pace
fino alla fine del campionato ». E’ stata questa la conclusione drammatica ma scontata di un dissidio
che si trascinava da molto tempo. C’è gente che ha detto e scritto che tutto il torto è dalla parte di
Vastola. Racconto un episodio più di ogni altro istruttivo. Durante la tournée estiva in America,
Carniglia, rivolgendosi al giocatore (a New York), uscì in una frase del genere: « I milioni che tu
prendi sono trovati per strada: non sarai mica un giocatore di calcio tu? ». Ha avuto torto Vastola a
comportarsi con pieno coraggio e con grande dignità come si erano già comportati i vari Tumburus,
Nielsen, Haller? Non credo. I limiti della sopportazione non si possono mai valicare, nemmeno
pensando al buon conto in banca. Ma che significa obiettare che i giocatori guadagnano molto?
Guadagnano solo loro? Vastola aveva il diritto di parlare. Aveva tutte le ragioni per attaccare. Gli
hanno dato ragione tutti, Haller e Bulgarelli in testa. La sua carriera (ha ventinove anni) riprenderà a
giugno

Tumburus. Fu il primo a rompere con Carniglia. Fu il primo a reagire pubblicamente. Fu il primo
a infrangere il muro del terrore. Un incidente lo ha tenuto a lungo ai margini del Bologna, ma
Tumburus è un duro. Ha avuto pazienza. Ha resistito tra le riserve. Se fosse stato un « cocco » di
Carniglia avrebbe già ripreso da un pezzo: comunque non ha mai mollato. Proprio una decina di
giorni fa, Viani alla prima apparizione ad un allenamento della prima squadra confidò ad un amico:
« Ho visto un Tumburus eccezionale! ». Avrebbe potuto già giocare nella facile partita di Coppa
contro gli inglesi del W. Bromwich, ma non se ne fece nulla: resta in ogni caso fuor di dubbio che
tanta parte della colossale mediocrità della difesa rossoblù ha radici proprio nell’assenza prolungata
dello stopper. Se Janich è scaduto rapidamente di forma, se è apparso in questi ultimi tempi a
livello-coreano, la ragione è spiegata almeno al sessanta per cento: era Tumburus infatti che
risolveva i casi disperati, non tutti ma molti, dell’area di rigore.

Negri. Ho visto qualche giorno fa Carniglia allenare William Negri al campo della Virtus di
Bologna. Il portiere-di-Edmondo-Fabbri prima calciava verso Vavassori e poi, uscito Vavassori, si
mise in porta. Era in tuta. Si tuffava senza difficoltà, a destra e sinistra. Dava l’impressione di una
discreta riassuefazione. Sono passati dieci mesi dall’aprile dello scorso anno, a Firenze, quando
cadde male e si ritrovò in stampelle. Dieci mesi di sofferenze, di abbandono. Ad un certo punto il
pessimismo stava per travolgerlo: la carriera sembrava chiusa. Più recentemente, qualcuno disse che
sarebbe stato ceduto ad una squadra di serie B, dove con un muscoletto della gamba destra semi-
atrofizzato, ma con tanta esperienza, avrebbe potuto vivacchiare. Oggi invece Negri spera di non
essere perduto. Cadè ha detto che uno scambio con Zoff (più milioni per il Mantova) è possibile. Ha
detto che Negri potrebbe rigiocare ed essere utile alla sua vecchia squadra. Se Cadè ha detto questo,
vuol dire che Negri non è finito. La sua è una storia di speranze in mezzo a tanti « fleurs du mal ».