1966 agosto E l’Inghilterra ride
1966 agosto (special Supersport)
E l’Inghilterra ride
Ha  riso  Sunderland.  Quando  ci  sono  occorsi  ottantotto  minuti  di  conati  e  di  tremori  per
piegare con certezza la resistenza delle mummie cilene. Ha riso Sunderland quando la spina
dorsale azzurra si è curvata come un giunco sotto il tallone sovietico. Ha riso Durham, delle
quotidiane, tapine conferenze di Edmondo. Delle ansie infantili, delle paure da educande. Ha
riso Middlesbrough. Si è sbellicata in una risata agghiacciante come un latrato, quando undici
soldati gialli, iniettati di rinunce, di castità e di fanatismo hanno umiliato l’élite presuntuosa di
un’Italia presuntuosa. Tutta l’Inghilterra ha riso. Ride ancora. Continuerà a riedere. Quanti
anni di silenzio riusciranno a restituirci la reputazione perduta nel bluff balbettato da Fabbri
Edmondo? E’ l’unico interrogativo di una storia senza eroi. Una pochade.  
II  cuore  della  «  coppa  azzurra  »  è  Durham.  La  scelta  è  stata  fatta,  qualche  mese  prima,  su
segnalazione-inchiesta  di  Tito  Bardigotta,  l’addetto  stampa  italiano.  Durham  è  attraversata  dal
fiume Teesdale. Ha una stupenda cattedrale normanna e l’Università è uno dei maggiori centri della
cultura britannica. Durham, logisticamente, è perfetta. Infatti, anche i russi si sono accampati nei
suoi silenziosi colleges. I campi dove si gioca sono il Roker Park a Sunderland e l’Ayresome Park a
Middlesbrough: Durham è piazzata a metà strada tra le due città. Era stata scelta per la… Scozia di
Law e di Baxter, eppure, anni fa, un poeta anonimo, la definì « mezza chiesa di Dio, mezzo castello
contro lo scozzese ». Invece di Law è arrivato Rivera. Ma la gente non ha fatto drammi. Anzi, è
incuriosita,  cortese,  ospitale.  L’Houghall  College,  dedicato  alle  facoltà  agrarie,  è  circondato  dal
verde,  dalle  rose,  dai  ragazzini.  Sempre  gli  stessi,  in  blue  jeans  e  capelli  lunghissimi,  chiedono
centinaia  di  autografi  per  commerciarli.  Gli  azzurri  firmano.  Qualcuno,  scocciatissimo,  rilascia
segni indecifrabili, firme false. Ho letto un « Mussolini », un « Mastroianni », uno « Stalin » e un
« Saragat », ma non faccio i nomi dei firmatari. Pascutti è il più intollerante di tutti. Ma non ha
torto. Continuano tutto il giorno, petulanti come cicale. A Fabbri nessuno chiede l’autografo. Anche
perchè  lo  si  vede  poco  in  circolazione.  Nonostante  le  cicale  comunque,  questo  ritiro  assomiglia
molto al paradiso. I giocatori sono soddisfatti: le pubbliche relazioni salve. La cucina è italiana, il
cuoco un italiano reclutato a Londra. La dispensa è ricolma di spaghetti portati dall’Italia: tanti da
poter  sopravvivere  fino  alla  finale!  La  distribuzione  delle  camere  deve  essere  stata  fatta  per  non
lasciar  filtrare  nessun  segreto,  nessuna  illazione  sulle  formazioni.  Sul  lato-Est  del  college  dorme
Fabbri. I più vicini a lui sono Fogli e Pascutti, poi Rivera e Mazzola, Barison e Bulgarelli. I più
lontani  Anzolin  e  Landini,  Pizzaballa  e  Riva!  Sono  gli  ultimi  di  quelli  sistemati  sul  lato-Ovest.
L’ultimissimo  è  Riva,  l’uomo  dell’assurdo.  Appena  dentro  l’ingresso  del  college,  a  sinistra  nel
corridoio,  c’è  un’aula  sistemata  per  i  giornalisti:  il  «  capo  »  parla  ex  cathedra.  Per  gli  stranieri
traduce Bardigotta. Alle spalle di Fabbri, in una vetrinetta accostata al muro, è rinchiusa una volpe
imbalsamata:  occhi  fissi,  vitrei,  diretti  in  faccia  ai  giornalisti.  Più  di  una  volta  osservo  che  le
espressioni  della  volpe  e  di  Fabbri  sono  stranamente  identiche.  La  prima  conferenza  dedicata  a
Pascutti. Il problema numero-uno ereditato a Copenaghen, qualche giorno prima. Un problema con
un’incognita: la caviglia.  
II bombardamento dì Pascutti
E’ domenica dieci luglio. Oggi pomeriggio, a Wembley, ci sarà l’inaugurazione della World Cup
‘66. Quassù sembra lontanissima. Comincia a piovere. Non smetterà mai nè la pioggia, nè il freddo.
« Vorrei che piovesse! — aveva detto Fabbri il giorno prima. — Il terreno è troppo duro, potrebbe
legare i muscoli durante gli allenamenti ». Quindi, tutto secondo i programmi. La caviglia di Ezio
Pascutti migliora. Da tre giorni si sta sottoponendo a bombardamenti di ultrasuoni presso il centro
medico del Roker Park a Sunderland. « Sono già abbastanza suonato! — sorride Pascutti. — Mi
mancavano gli ultrasuoni! ». Anche oggi, mentre tutti gli altri ascoltano la messa-lampo celebrata
da un sacerdote scozzese, sale sulla macchina di Franchi e se ne va. Fabbri vorrebbe evitare queste
trasferte.  Chiede  che  l’apparecchio  per  il  bombardamento  venga  acquistato.  Franchi  non  fa  una
piega e compera. In pochi giorni la federazione deve aver speso almeno due milioni per mettere a
disposizione del C.U. « l’ultimo grido » in fatto di apparecchiature mediche. Infatti, qualche giorno
prima che gli azzurri fossero giunti a Durham, era già arrivato per via aerea il celebre
«  Panthermal  »  ideato  dall’ingegnere  Giuseppe  Bear.  Una  specie  di  polmone  d’acciaio  per
vaporizzazioni  balsamiche,  riattivanti,  anti-fatica,  che  è  in  funzione  da  un  anno  all’Inter,  ad
Appiano  Gentile,  e  che  proprio  in  questi  giorni  Bear  ha  consegnato  al  Real  Madrid.  Il  primo  a
entrare  nel  «  Panthermal  »  è  stato  Fabbri.  Seguito  da  Bertoldi.  Qualcuno  ha  osservato:  «  Per
eliminare  la  fatica…  bisogna  che  la  fatica  esista!  ».  Tra  ultrasuoni  e  applicazioni  balsamiche,
l’ematoma di Pascutti si riassorbe. « Con la Russia, — diagnostica Fini — ci sarà di sicuro! ». Ma
la Russia è ancora lontana. E’ per l’ora del Cile che sta per scoccare. Ho parlato con Luis Alamos, il
direttore tecnico cileno, ma fa l’evasivo. Gli piace invece parlare di Herrera: « In Cile dicono che è
‘loco’, pazzo, io dico che è intelligente! ». Fabbri Edmondo invece, questo lo dico io, è nervoso.
Sento  che  l’ansia  sta  crescendo  in  lui.  Non  è  ancora  una  certezza  matematica,  ma  mi  sembra  di
scoprire un Fabbri che cede, scricchiola, frana. Anche fisicamente, mi sembra contratto. Ha il viso
tirato,  è  pallido,  gli  occhi  più  che  guardare  spiano  con  sospetto.  Tutti  e  sempre.  Cominciano  a
scoppiare  i  primi  incidenti.  Incidenti  di  una  banalità  estrema,  creati  dal  nulla,  ma  fortemente
significativi.  Il  «  Corriere  d’Informazione  »  ha  scritto  in  Italia  che  i  ras  della  squadra  vogliono
Leoncini  e  che  Fabbri  non  potrà  che  subire.  Il  C.U.  detta  le  immediate  rappresaglie.  I  giornali
italiani devono scomparire dal ritiro. Chi sarà sorpreso nella lettura proibita, sarà punito. I contatti
con  la  stampa  d’ora  in  poi  saranno  concentrati  in  un’ora  prestabilita:  dalle  undici  del  mattino  a
mezzogiorno. Un policeman setaccia alla porta. Tuona Fabbri: « Nel college regna la tranquillità
assoluta! Chi pensa il contrario è in errore! ». Sarà quindi in errore anche Artemio Franchi, il vice-
Pasquale,  dal  momento  che,  tre  ore  prima  di  rientrare  in  Italia  dopo  la  disfatta  con  la  Corea,
dichiarerà pubblicamente a Sunderland: « Avevo lasciato la squadra il primo luglio a Coverciano!
L’ho ritrovata il dieci luglio a Durham: mi sembrò allora di essere piombato in un altro mondo!
C’era  una  tensione  spaventosa  e  la  tensione  nasceva  da  Fabbri  ».  Proibì  i  giornali,  cacciò  gli
operatori di « Sprint », definendoli « la peste nei tacchini ». Proibì le interviste. « Qui si viene a
sapere tutto, — mi dice Mazzola — come la faccenda di Leoncini, ma non si può dire niente! ».
Comunque  Mazzola  se  ne  frega  e  decide  di  fare  l’intervista.  Sta  aspettando  una  telefonata  dalla
moglie  che  è  a  Chiavari,  e  allora  mi  fa  passare  negli  appartamenti  top-secret.  Fabbri  vede  la
macchina  targata…  Supersport  (un  incubo!),  ma  non  vede  me  e  Mazzola.  Dalla  finestra,  mentre
parlo con Mazzola, lo vedo girare come un pazzo per il college, seguito da Valcareggi. Finalmente
mi becca. Risparmia Mazzola, per ora, e si scaglia sul sottoscritto.  
La creatura di Pasquale
Per  quale  reato?!  Si  parlava  di  Russia,  di  Inter  e  di  Vinicio.  E’  una  bomba  innescata  Fabbri
Edmondo.  Quando  esploderà?  Non  lo  so,  penso  (purtroppo)  che  andrà  per  esaurimento.  Intanto
raccolgo sintomi preoccupanti. Uno: « Se è nervoso lui, come facciamo a rimaner calmi noi? ». Lo
dice Mazzola. Due: Paolo Barison, alla sola idea di dover sostituire Pascutti, impallidisce. C’è un
pauroso vuoto di personalità. Assenza di guida. Penso con nostalgia angosciosa ad Helenio Herrera.
Chi è quel disgraziato che ha permesso al Mago di andarsene a Londra come… giornalista?! Mah…
bisogna aver fede. Per ora speriamo in Fabbri. Edmondo dà a tutti il numero telefonico del college:
61351. « Se avete bisogno di saper qualcosa, chiamate, non disturberete ». Chiamare per che cosa?
Tanto, non dice mai nulla. Sulle prime si pensa che voglia fare pretattica su tutti i fronti, tanto per
mettersi à la page con Morozov, Alamos e Re, ma alla fine si scoprirà che non ha niente da dir
perchè  non  ha  nulla  in  testa.  E’  letteralmente  esaurito,  roso  da  un’esperienza  che  lo  schiaccia.
Povero Edmondo, la Coppa non è ancora cominciata e già fai intuire che non reggi al calore bianco
di un’impresa per grossi personaggi. Un giornalista scozzese che scrive per il « Daily Mail », Alex
Cameron,  gli  chiede:  «  Chi  vincerà  i  mondiali?  ».  «  L’Inghilterra!  »,  risponde.  «  Ma  vuol
scherzare?!  —  ribatte  Cameron  —  Lei  allena  l’Italia  e  dice  che  vincerà  l’Inghilterra?!  E’
inconcepibile! ». « Io non scherzo mai! » risponde secco il Commissario Unico. Bardigotta si vede
costretto ad ammorbidire la risposta, tanto più che Cameron ha sottolineato un concetto, tanto per
dire pane al pane…: « Io sono scozzese, quindi avrei piacere che l’Inghilterra non vincesse e che
l’Italia facesse grandi cose! Sarebbe l’unica maniera di giustificare la nostra débâcle di Napoli! ».
Fabbri però non parla inglese e insiste. Gli chiedono la formazione per il Cile: « Gli altri non la
danno,  perchè  dovrei  essere  io  l’unico  fesso  dei  mondiali?  ».  In  compenso  annuncia  che  martedì
sera, alle ore 21,30, ci sarà un ricevimento al Roker Hotel di Sunderland. Dovrebbe esserci anche il
Grande  Capo  Giuseppe  Pasquale:  il  cuore  ci  scoppia  dalla  commozione.  E’  venuto  fin  quassù
pensate,  in  quest’area  depressa  d’Inghilterra,  per  seguire  la  «  sua  »  creatura.  Non  la  Nazionale
s’intende! No, Fabbri Edmondo l’unico allenatore accreditato alla World Cup che abbia già in tasca
il  contratto  per  il  Messico!!!  Per  ora  i  sorrisi  si  sprecano  nello  stato  maggiore  italiano.  Per  ora.
Prima di… Caporetto, gli italiani vincono sempre le battaglie. E’ martedì dodici, oramai. Il tempo
vola.  L’ematoma  di  Pascutti  è  scomparso,  ma,  a  ventiquattrore  dalla  partita,  non  se  ne  parla
nemmeno: giocherà Barison. Fabbri comunque non lo dice. A Middlesbrough si gioca URSS-Corea.
Gli  azzurri  chiedono  di  vedere  la  partita  alla  televisione.  Concesso.  Fabbri  va  a  Middlesbrough.
Annota qualcosa di interessante. Che i coreani giocano in casa, perchè il pubblico inglese tifa per il
debole, per di più sconosciuto. Che la Russia ha il libero, il doppio centravanti e la coppia Jashin-
Voronin in tribuna. Che la Corea corre molto e corre di più nel secondo tempo. Ritorna al college
tra  l’indifferenza  generale.  Rivera  non  ha  notato  i  coreani.  E  Bulgarelli,  attraversando  la  sala  da
pranzo,  ha  scoperto  per  terra  una  dentiera  da  donna!  «  Non  c’è  pericolo  in  questo  ritiro!  La  più
giovane sembra Bette Davis! ». Si viene a sapere che arriveranno prestissimo dall’Italia le pellicole
di  alcuni  film  «  tranquilli  »:  i  giocatori  non  sanno  come  passare  il  tempo.  L’unica  distrazione  è
quella di osservare gli allenamenti dei russi: basta sedersi sulla staccionata che costeggia la strada: il
campo sovietico è proprio di fronte, al « Malden Castle Sports Hall and Playing Fields ». Senza
barriere.  Poi  c’è  l’altra  distrazione  concessa:  la  gita  al  centro  di  Durham.  Fabbri  (fa  il  furbino
Edmondo e crede di aver scoperto l’America) carica i ventidue nel pullman alle undici esatte, nel
preciso istante in cui i giornalisti sono ammessi nel college, e li spedisce al « sicuro ». La pubblica
opinione italiana può sapere tutto dei cileni, dei russi, ma non dovrebbe saper nulla degli azzurri e
dei… coreani. Per sapere qualcosa di « vero », gli umori, bisogna quindi cominciare a pedinare il
pullman e a disertare le conferenze-stampa, inutili e tediose. Tanto per rendere l’idea, il tono più 
clamoroso  è  questo.  Cronista:  «  Perchè  ha  concesso  ai  coreani  di  assistere  agli  allenamenti
dell’Italia? ». « La sportività è una cosa bella! ». « Lei andrà a vedere quelli dei coreani? ». « Mi
interessano le partite, non gli allenamenti! ». E sbagli, Edmondo.  
L’odio di Herrera
In Messico se puoi, vai a vedere allenamenti, come si preparano gli altri: magari imparerai a far
stare  in  piedi  i  giocatori  per  duecentosettanta  minuti  (in  tre  partite),  senza  esser  costretto  a  farli
riposare (leggi… Rosato, Salvadore!). Per la prima partita, per novanta minuti, lo sappiamo, ce la fai
anche tu. E infatti, con il Cile, vinci. E’ mercoledì. Il Roker Park di Sunderland non è esaurito. Ma
ci sono più di mille italiani e moltissime bandiere tricolori. E’ questo che conta per i « vendicatori di
Santiago ». Ci sono quattro « ex » in campo, quattro superstiti della storica carneficina arbitrata nel
‘62  dall’inglese  Aston.  Sono:  Leonel  Sanchez,  anni  trenta;  Albert  Fouilloux,  anni  ventisei;  Luis
Eyzaguirre,  anni  ventisei.  Per  l’Italia,  Sandro  Salvadore.  Finirà  con  Sanchez  e  Salvadore  che  si
stringono la mano e quasi si abbracciano. Strappati dalle influenze casalinghe e chimiche, i cileni
appaiono  pecorelle  remissive  incapaci  di  far  male.  L’arbitro  Dienst  si  allena  facile  per  la…
finalissima di Wembley. Gli azzurri segnano subito (è il decimo) con Sandro Mazzola che infila in
spaccata un Barison-cross, ma perdono subito il controllo della situazione. Il centrocampista Prieto,
l’erede  di  Jorge  Toro,  comincia  a  ingranare,  anche  se,  in  difesa,  il  Cile  sbanda  paurosamente.
Figueroa, lo stopper, compirà vent’anni in ottobre: si vede che gli manca esperienza. In porta non
c’è più Escuti, il portiere del ‘62, ma non c’è neppure Godoy, il titolare di ora. In allenamento si è
incrinata  una  mano.  Lo  sostituisce  Olivares  che  sfarfalla  spesso  e  volentieri.  Nonostante  ciò,  i
cileni,  con  un  paio  di  salvataggi  sulla  linea  (su  azioni  di  Barison),  reggono.  Gli  azzurri  soffrono
l’incubo  del  pareggio.  Sprecano  troppe  energie.  Eccetto,  beninteso,  Rivera  Gianni,  che  tocca  al
massimo quattro palloni utili. Dalla tribuna qualcuno gli grida: « Mascalzone! ». Ma la colpa non è
di Rivera. E’ colpa sua forse se non si regge in piedi? Se è stato portato via per « simpatia »? Se la
«  coerenza  »  di  Fabbri  giunge  fino  al  masochismo  autolesionista?  Non  è  colpa  sua.  Infatti..,  il
giorno successivo il C.U. dichiarerà: « La coerenza non significa cocciutaggine! ». Chiaro preludio
al  siluramento  di  Rivera  per  la  partita  con  la  Russia.  Comunque  Alamos  dà  tutta  la  colpa  della
sconfitta alla pioggia. E noi, dopo il respiro-Barison a due minuti dalla fine, tiriamo un bilancio a
macchie. Tarciso Burgnich è senza dubbio il più forte terzino in circolazione nel mondo. Giacinto
Facchetti, costretto a fare il difensore puro in odio alla tattica-Herrera bazzica già ai confini della
mediocrità. Rivera ci sguazza fino all’esile collo. Bulgarelli invece sfiora limiti d’eccellenza, ma
per lui è l’inizio della fine. Una distorsione al ginocchio sinistro getta (sapremo più tardi il nome del
responsabile  unico…)  un’ipoteca  tremenda  su  tutto  il  girone  azzurro.  Con  il  Cile  non  soffriamo
l’infortunio, perchè il centravanti Tobar si è strappato quasi subito i legamenti del ginocchio destro
sparendo  dalla  circolazione.  Ed  anche  perchè,  fortunatamente,  Alamos  non  scambia  i  terzini  e
continua a tenere il micro-Eyzaguirre sul macro-Barison e il macro-Villanueva sul micro-Perani.
« Ci avevo pensato! — confesserà dopo. — Ma non ho avuto il coraggio di farlo ». Chi invece ha il
coraggio… di mettere subito le mani avanti è Fabbri: « Se giocheremo sempre così, non andremo
molto lontano! ».  
I missili azzurri
Il « lontano » potrebbe essere proprio-sabato sedici, ancora al Roker Park, contro la Russia, questa
volta la Russia di Lev Jashin e di Valery Voronin. Il Cile, per arrivare in Inghilterra, era dovuto
andare  allo  spareggio  di  Lima  con  l’Ecuador  (2-1)!  La  Russia,  in  una  lunghissima  tournée
sudamericana aveva fatto sperare perfino i cileni (Alamos: « L’abbiamo vista giocare tutti: con la
Russia non ci sono problemi. Si qualificheranno Italia e Cile! »). Non dovrebbe essere impossibile il
pareggio, anche se Voronin mi dice: « Contro l’Italia ci saremo tutti e vinceremo! Fabbri ha lasciato
a  casa  l’uomo  migliore:  Corso!  ».  Per  inciso,  la  pubblicazione  ufficiale  della  World  Cup
Organisation,  un  opuscolo  in  carta  patinata  rossa,  porta  in  copertina  la  foto  del  Grande  Escluso
veronese in azione: come simbolo dell’Italia. Evidentemente, la World Cup Organisation non sa che
l’Italia non coincide con la Fabbritalia. Mario Corso a parte, cioè a Lignano Sabbiadoro, i giorni
pre-Russia sono costellati di nevrosi e di ombre tattiche. E’ arrivato, già prima del Cile, il Ministro
dello Sport, Corona. Adesso, è tra noi anche Giuseppe Pasquale. Il giovedì post-Cile è in « visita di
cortesia » al college di Durham. C’è anche Italo che parla cinque minuti con Pascutti, cinque minuti
con  Riva.  Il  fotografo  di  Supersport,  Lamberto  Londi,  sta  per  scattare  una  foto  di  Pasquale  che
osserva da vicino il volto tumefatto di Bulgarelli (casuale residuo cileno): piomba Edmondo alle
spalle e inveisce contro l’incauto (non Bulgarelli nè… Pasquale). Il fotografo replica pesantemente.
Franchi fa il « velo » e Fabbri, livido in volto, gira l’angolo. Deve avere il sistema nervoso quasi
distrutto.  Ogni  fatterello  è  pretesto  per  complicazioni  infantili.  I  giocatori  accusano  questa
situazione. Fabbri non è più preoccupato della squadra. E’ quasi « fissato » su se stesso, sull’’ansia
che gli cresce. Guarda ai mondiali come ad un orizzonte troppo vasto per i suoi occhietti. Nessuno è
in  grado  di  interpretare  le  sue  decisioni,  influenzate  come  sono  da  stati  d’animo  più  che  da
ragionamento. I giocatori non sanno più nulla. Passeggio per un’ora con Meroni e Pascutti per le
strade  di  Durham.  Non  li  riconosco.  Non  mi  sembrano  più  loro.  Incredibile.  Gigi  Meroni,
personaggio nato, dal baffo giù fino al calzettone arrotolato, non ha più una battuta, una parola, una
frase. « Cosa vuoi che dica?! », mi fa irritato. E’ la prima volta che non lo vedo disteso, beat. E’
immusonito,  logoro.  Pascutti  è  ancora  più  teso.  Mi  fa  una  promessa.  «  Dopo  la  partita  farò
un’intervista  su  tutto  quello  che  vorrai!  ».  Ma  ora  non  vuol  nemmeno  fiatare.  Rifiuta  perfino  la
macchina fotografica. Si schernisce: « Lo sai che Fabbri non vuole che facciamo fotografie! ».
« Anche le fotografie?! Ma cosa siete? Missili?! ». « Pensa quello che ti pare, ma lui ci ha ordinato
di non farle! ». La distensione, il clima di famiglia, il « club Italia », sono ormai a brandelli. Chiedo
se giocheranno. « Non so », a Non so », « Non si sa niente ». Hanno i nervi a vista d’occhio. Tesi,
nell’incertezza. Sanno che Fabbri non parla perchè non ha le idee chiare. Almeno Paolo Mazza, in
Cile,  aspettava  che  Giovanni  Ferrari  andasse  in  città  a  fare  le  spese  per…  riunire  i  giocatori  e
preparare la tattica! Fabbri è solo, ma non sa decidere. Si intuisce che giocherà Pascutti, perchè è il
medico, Fini, che in pratica « decide ».  « Tra giocatori — mi confida Pascutti — nessuno mai dice
nulla: sembra quasi che non ci si fidi! Comunque è lui che decide… ». Ma chi deciderà se mettere in
campo  Giacomo  Bulgarelli,  nonostante
la  freschissima  distorsione,  nonostante  lo  scarso
allenamento  (misteriosissimo  oltretutto,  svoltosi  un’ora  dopo  quello  degli  altri),  nonostante  la
soprattutto paura di forzare, nonostante soprattutto la disponibilità di un Juliano caricatissimo e in
forma. « Spero di giocare! — sospira Juliano. — Questa deve essere la volta buona! ». Ma quale
volta  buona  Fabbri  oramai  sbanda  per  la  tangente  e  rimetterlo  in  strada  è  impresa  proibitiva.
L’inconscio si scioglie al Roker Park. Riva, in tribuna, mi fa notare che con la Russia si può anche
perdere senza fare drammi. Tanto, c’è la Corea, che il giorno prima è riuscita a strappare un punto
al Cile, ma per miracolo, a sessanta secondi dalla fine. Riva è « nauseato » (parole sue) del viaggio-
premio  federale,  ma,  distaccato  com’è,  ragiona  freddamente.  Non  sa  che  quel  punto  giallo  è  il 
nuovo incubo di Fabbri, la nuova frontiera ossessiva: dal Cile alla Corea. Sono le ore quindici di
sabato sedici. Lev Jashin è già in campo, bombardato da alcuni tiri-prova. Malafeev e Voronin sono
i  più  precisi.  Sbuca  dal  sottopassaggio  del  Roker  «  l’Italia  numero  due  ».  Gioca  Pascutti,  via
Barison. Gioca Meroni, via Perani. Gioca Bulgarelli, non Juliano: la responsabilità di Fabbri assume
proporzioni gigantesche. Perché rischiare? In fondo, la partita decisiva è quella con la Corea. E’ con
la Corea che dovremmo mettere in campo la formazione più potente, fresca e « sana ». No, gioca
Bulgarelli. Lodetti sostituisce Rivera.  
La profezia di Mao-Tse-Tung
E il mediano? Non aveva visto Fabbri che la Russia è impostata sul doppio centravanti Banishevski-
Malafeev? Si pensa ad un doppio stopper: Rosato-Guarneri, ma entra in campo Leoncini. La partita
è povera di storia azzurra. L’Italia langue. Bulgarelli è punta (!) con la fascia bianca che gli spunta
sotto  il  ginocchio:  rendimento  al  trenta  per  cento.  Lodetti  naufraga  nel  mare-Voronin.  Leoncini
deve fare lo stopper. « Dovevo mettere Guarneri! », dirà il C.U., dopo. Meroni è isolato e non serve
(come  Perani)  al  centrocampo.  Il  Ministro  Corona  abbandona  Sunderland  disgustato.  Pasquale
fugge: annusa odore di esequie? Forse. Nessuno meglio di lui conosce Fabbri, il suo delfino. Se lo
abbandona  ora,  vuol  dire  che  lo  giudica  perduto  o  quasi.  Dichiara  che  lo  aspettano  «  impegni
ufficiali » in Italia, ma che impegni possono essere dal momento che la World Cup si svolge in
…Inghilterra?! Forse una battuta di caccia con gli amici?! E’ arrivato per il « matrimonio » (vittoria
con il Cile), sussurra Artemio Franchi, e lascia « me per il funerale » (…la Corea!). Mentre il « Club
Italia » si prepara nel caos totale alla battaglia sul… 38° parallelo, Valery Voronin festeggia il suo
ventisettesimo  compleanno,  al  Grey  College.  Il  Ministro  Nikonov  gli  concede  un  bicchierino  di
Vodka.  Gli  parlo  un  secondo:  «  L’Italia  è  molto  più  debole  di  tre  anni  fa,  quando  giocammo  in
Coppa Europa! E’ fiacca ed ha i nervi a fior di pelle. Mi diceva Jashin che non ha mai visto gente
tanto pallida in campo! ». Andiamo bene! Ma non è una novità. Il pallore è spuntato subito, alle
prime  battute,  sulla  faccia  di  Fabbri.  Ed  è  passato,  giorno  dietro  giorno,  sulle  guance  di  tutti.
L’italiano  si  sa,  non  è  tedesco  nè  inglese  nè  russo:  più  di  ogni  altro  ha  bisogno,  per  rendere,  di
subire iniezioni di temperamento, di carattere, di decisione. Iniezioni di… Herrera, tanto per non far
nomi. Fabbri dà… conferenze-stampa. Ma le dà anche il capo della delegazione coreana, trenta ore
prima dell’appuntamento a Middlesbrough. Si, perchè questa volta si giocherà all’Ayresome Park,
in un’aria piena di gas e di vapori industriali. Choi Dong Ho, sorretto da un’infrangibile logica
«  alla  Mao  Tse-tung  »  dichiara:  «  Batteremo  l’Italia!  Non  c’è  il  minimo  dubbio:  siamo  in  netto
miglioramento:  sconfitta  con  la  Russia,  pareggio  con  il  Cile!  ».  Gli  azzurri  invece  sono  in  netto
peggioramento. Su piano statistico. E su quello psico-tattico. Ci basta un pareggio per andare ai
« quarti », in base al gol-average. Ma tutto appare problematico. E’ come camminare su due metri di
neve  soffice.  Tanto  per  cominciare,  la  distorsione  «  russa  »  di  Tarcisio  Burgnich  è  «  grave  »,
inguaribile  in  tempo  utile.  Giocherà  sicuramente  Landini.  Dovrebbe  essere  l’unica  variante  della
difesa.  Si  aspettano  modifiche  sul  centrocampo-regia.  Lodetti  è  stanco,  Rivera  floscio.  Rizzo  e
Juliano mangerebbero sassi pur di giocare. Questo è buon senso. Ma Fabbri Edmondo non esiste più
oramai. E’ lontano, assente, scaricato, distrutto. Subisce influenze incontrollate. Un noto giornalista
gli  fa  pervenire  una  formazione.  Fabbri  reagisce,  non  confessa.  Rimane  l’anonimato.  La  stampa
inglese quasi diserta le conferenze. C’è atmosfera di « rubbies », di rifiuti. La gente ha voltato le
spalle agli azzurri. Oramai aspettano tutti di esplodere in una corale, tremenda, risata. Il tifo-Corea
si gonfia. Si va a Middlesbrough come ad una sagra. Le ultime ore al college devono respirare aria 
di inarrestabile tragedia. Dirà Franchi: « Avevano una paura terribile. Non sapevamo più cosa dire
ai giocatori: fino ad allora la tattica era stata di ingigantire la forza dell’avversario; con la Corea
rovesciammo tutto: ‘Sono dei brocchi i coreani! Se state tranquilli si vince facile!’ ». Franchi parlò
al plurale, avete notato. Oramai la gestione era « collegiale ». Fabbri, una frana: gli altri gli davano
una mano, almeno sul piano psicologico. Immaginate un Herrera, un Viani, un Pugliese ridotti in
queste  condizioni  a  poche  ore  dalla  sentenza  capitale?  Come  entra  in  campo  a  Middlesbrough
Edmondo Fabbri nega se stesso, il suo passato, quattro anni di lavoro. « La Nazionale è fatta! —
aveva detto un mese prima. — Ci possono essere solo due varianti: mediano d’attacco e l’interno di
punta! ». Contro la Corea, per i novanta minuti che valgono un « mondiale », Fabbri distrugge la
« sua » squadra, la sua formazione. Rimette il fantasma di Rivera, riconfermando la sua
« cocciutaggine ». E sconvolge la difesa. Fa « riposare » (testuale) Rosato e Salvadore per i quarti.
Manda  in  campo  (c’è  già  Landini…)  Janich,  Guarneri,  Fogli!  Mai  vista  in  una  partita  di
preparazione una formazione del genere! Davanti alla panchina azzurra, le cicche di Edmondo si
ammucchiano con un ritmo impressionante. Dopo mezz’ora, la gamba (sinistra!!!) di Bulgarelli si
torce  ancora!!!  E  Pak  Doo  Ik  umilia  Albertosi.  Va  in  gol,  segna.  La  squadra  di  Gianni  Rivera
affonda in un oceano di sfottò, di sberleffi, di urla ghignanti. I coreani sembrano tutti Pelé gialli: mi
viene perfino un dubbio: forse nell’intervallo si sono cambiati tutti. Quelli del secondo tempo sono
altri  giocatori,  freschi  riposati.  Sono  tutti  uguali,  chi  può  accorgersi  della  «  truffa  »?!  Nessuno!
Tanto, la « truffa azzurra » è gigantesca, indescrivibile. Gli inglesi ci guardano e sorridono. I tifosi
italiani  muoiono.  Due  si  gettano  contro  la  panchina  di  Fabbri,  scagliando  le  trombe  in  campo.
Vengono arrestati. Le bandierine tricolori finiscono nel sacco della spazzatura. Si sparge la voce
che la formazione è stata fatta da Rivera! E subito dopo che Fabbri è stato costretto a quelle scelte
perchè alcuni giocatori si sono rifiutati di scendere in campo: « Non ce la sentiamo! », avrebbero
detto. Quest’ultima rivelazione è degna di fede: la fonte è seria e controllata. Bulgarelli ha assistito
in  tuta,  dalla  panchina,  alla  indecorosa  ritirata  azzurra.  Nessuno  dei  nostri  piange.  Sono  come
intontiti, groggy, imbambolati. La droga-paura li possiede. Enrico Crespi, de la « Notte », va alla
porta dello spogliatoio per raccogliere le dichiarazioni di Fabbri. Il C.U. non si fa vedere. Manda a
dire  che  «  la  squadra  si  è  battuta  e  che  ritiene  determinante  l’infortunio  a  Bulgarelli  ».  Non
partecipa neppure alla consueta intervista a circuito televisivo chiuso. Il ridicolo è insostenibile. Ma
questa sconfitta, per Fabbri Edmondo e per i suoi opportunistici reggitori, è la somma di tutta una
serie di sconfitte concentriche:  
a)  Sconfitta  della  preparazione  atletica:  sufficiente  con  le  lumache  cilene,  inconsistente  con  i
russi,  assente  con  i  coreani.  Due  giorni  prima  del  via  ai  mondiali  si  era  detto  in  Italia:  «  La
preparazione atletica della squadra è perfetta ». In base a quali test?  
b)  Sconfitta  della  preparazione  psicologica:  su  questo  punto  è  inutile  ripetersi.  Il  quadro
neurologico  è  fin  troppo  completo.  Nessuno  al  mondo,  capace  di  intendere  e  volere,  potrà  mai
sostenere che la Nazionale italiana abbia avuto una « guida », una personalità influente…, un
« forgiatore di destini », come direbbe Mario Appelius.  
c)  Sconfitta  dell’«  impostazione-Rivera  »:  per  quattro,  interminabili  anni,  il  C.U.  ha  avuto  in
testa soltanto un nome, Gianni Rivera. Per lui ha fatto e disfatto formazioni ed esperimenti; per lui
ha trattato Mario Corso come un cane, peggio di un cane, a calci nel sedere; per lui ha ignorato le
soluzioni di ricambio che il campionato imponeva (Rizzo); per lui ha coniato dogmi che sarebbero
dovuti apparire intelligenti soltanto perchè avevano il pregio della coerenza, …nell’errore (« Corso e
Rivera non giocheranno mai assieme! »; « Il gioco di Corso non serve alla Nazionale », e via di
questo passo). Che cosa gli ha restituito il golden boy alla fine, in Inghilterra? Novanta minuti di 
pena contro il Cile; novanta minuti di… assenza coatta con la Russia, novanta minuti di fallimento-
bis con la Corea. Non è male, per un ragazzo tutto d’oro.  
d) Sconfitta della fluidificazione: ma c’è poi stata la celeberrima fluidificazione creata in
dispetto al catenaccio-herreriano! Di dispetti si muore, alla lunga. E nessuno è riuscito a vederla. La
fluidificazione di Fabbri è stata veramente una nota comica, esilarante, di tutta la World Cup. Con
Facchetti « consegnato » in zona, con Rosato incollato al centravanti, Sandro Salvadore, presunto
campione dell’« anti-Picchi » (il « vecchio » e « anacronistico » libero fisso dell’Inter) non ha mai
avuto il tempo, in tre partite, non dico di farla, ma nemmeno di pensarla la fluidificazione.  
e)  Sconfitta  del  calendario  federale  pre-mondiale:  «  Forse  abbiamo  sbagliato  anche  noi  a  far
giocare la nazionale sempre in casa! Ci siamo abituati a vincere le partite facili, non abbiamo fatto
esperienze vere e ci siamo illusi! ». Parole di Franchi.  
Serrata  in  questa  ragnatela  errori,  di  lacune,  di  insufficienze,  l’Italia  è  affondata  nel  bicchiere
d’acqua coreano. Sunderland sulle prime non ha capito. Alla fine ha riso. Tutto il North England si
è  divertito  a  ricamare  storielle  giallo-rosa  sul  cadaverino  azzurro.  Soltanto  l’ospitalità  ci  ha
risparmiati  dal  dileggio.  E’  partita  in  silenzio  la  Fabbritalia.  Alle  tre  pomeridiane,  dalla  stazione
ferroviaria di Durham. Nella dispensa del college sono rimasti cumuli di spaghetti intatti. E nella
sala medica, un « bombardiere » ad ultrasuoni ed una macchina anti-fatica!!! Per fortuna gli inglesi
non sanno che esiste.  
Il nuovo razzismo
La  delegazione  italiana  aveva  chiesto  che  le  venisse  risparmiato  il  raduno  degli  «  eliminati  »  a
Londra, ma, incontrate delle riserve, accetta a denti stretti. Prima di partire, Fabbri non vorrebbe
parlare,  ma  Artemio  Franchi  lo  spinge  fino  a  Sunderland.  Fabbri  è  irriconoscibile.  Mi  ricorda
Ofelia,  del  dramma  shakespeariano.  «  Riferirò  ai  miei  dirigenti  e  loro  decideranno  ».  E’  tutto.  Il
treno aspetta. Sono muti i giocatori, ma carichi di pacchi. Pullover, camice, dischi, berretti. Solo
Bertini azzarda: «Speriamo che la Corea vinca i mondiali! ». Gli altri sono assorti. Non pensano a
Londra.  Pensano  all’Italia.  Ai  pomodori,  alle  uova  marce  che  li  accoglierà  a  Genova.  Alle  urla
indimenticabili di « pellegrini! bidoni! traditori! ». Pensano al « club Italia », alla « famiglia
azzurra  »,  ai  sogni  di  Coverciano.  Pensano  agli  esclusi  dai  «  ventidue  »  con  invidia  e  rabbia.
Salgono uno dietro l’altro. Il treno si muove. Fabbri è con Franchi e Bertoldi. Bardigotta rimane. E’
tutto  dell’Italia.  I  treno  scompare  dietro  l’altissimo  cavalcavia.  Italy  come  back!  Per  gli  altri
comincia  la  World  Cup.  Dopo  lo  splendore  di  Wembley,  dopo  il  trionfo  della  Nazionale  di
Elisabetta,  si  ritorna  tutti  a  casa.  Come  passo  la  frontiera,  al  Gran  San  Bernardo,  ascolto,  leggo,
sento  cose  folli.  Salvadore  Sandro:  «  La  rovina  è  il  campionato:  due  mesi  fa  avremmo  battuto
chiunque! ». Pasquale Giuseppe: « Chi può sostituire Fabbri?! ». Frossi Annibale. « E’ tutta colpa
degli stranieri! ». Il Parlamento freme. Saragat invia un messaggio. Si aprono inchieste. Si scopre
che siamo esseri di razza inferiore. Che la sconfitta ha un nome: ossa esili e muscoletti! Ma come?!
Allora  aveva  ragione  Adolf  Hitler?  Albertosi,  Burgnich,  Pacchetti,  Salvadore,  Rosato,  Leoncini,
Barison, Rizzo, Riva, Bulgarelli non sono atleti? Pacchetti è venti centimetri più alto dell’ala
coreana ed ha perso anche nel gioco di testa!!! Bulgarelli è meno atleta di Prieto, di Sabo, di Bobby
Charlton?  Perani  è  più  fragile  di  Khusainov?  Rosato  non  regge  Pak  Doo  Ik?!  Ma  allora  Nereo
Rocco come avrà fatto a mettere in piedi il Padova dei panzer? Per fortuna un esperto, il professor
Margaria, ridicolizza l’alibi: « Roba da ridere la presunta inferiorità razziale! ». I muscoli ci sono, le
ossa anche: è sul temperamento che bisogna lavorare. Sull’abitudine a lottare. Sulla piaga  
dell’« imborghesimento », individuata da Herrera anche nella stessa Inter. Questi sono i vuoti. Ma
tant’è. Apro un settimanale d’attualità e leggo: « …Bisogna codificare i sistemi di preparazione ».
Ne  apro  un  altro,  settimanale  d’opinione,  politico:  «  …Il  Comitato  Olimpico  è  in  tempo  per
rimettere un certo ordine nel mondo del calcio, per rompere le egemonie, stroncare le speculazioni,
eliminare  l’inflazione  dei  prezzi  nel  mercato  dei  giocatori,  dare  una  figura  giuridica  precisa  alle
società, garantire un minimo di dignità a chi esercita la professione di giocatore ». E i gol chi li
farà?! Il Comitato Olimpico?! E’ la fine del mondo. Tutto questo perchè un Edmondo qualsiasi si è
squagliato a Durham come un gelato al sole. Ma chi, da Tarvisio a Ragusa, ha scoperto tutte queste
grosse verità « prima »? Durante i trionfi amichevoli? Durante quattro anni di Governo Pasquale-
Fabbri? What news, Willie? Sul fronte azzurro, nessuna. Oggi, come ieri. Come domani? Mah…
dipende da Coverciano. E da Pasquale.