2005 gennaio 23 La pressione dal basso

2005 gennaio 23 – La pressione dal basso espressa dalle primarie
Altro che riformismi, sceneggiate, litigate a getto continuo e chiarimenti sempre più oscuri. Una vera e
propria rivoluzione sta investendo la politica, che con tutta probabilità da oggi non sarà più la stessa.
Come primo effetto i due schieramenti cosiddetti bipolari, o di qua o di là, o con me o contro di me, o
per fede in Berlusconi o per odio di Berlusconi, sono ridotti a grandi ammassi di groviera. Ogni giorno
più bucati al loro interno, roba da esposizione casearia. Poco più di dieci anni fa crollarono a furor di
popolo i vecchi partiti della «prima Repubblica»; adesso sono minacciati a furor di autodisaffezione i
partiti della «seconda Repubblica». Fino all’altro ieri, in presenza di un trenta-quaranta per cento di
elettorato incerto, era quasi un dogma sia per il centrodestra che per il centrosinistra puntare al centro a
caccia grossa dei voti moderati. Contrordine compagni e amici, anche il moderatismo della casalinga
media accusa lo stress, non passa più per scontato e sicuro vincente. È nato un partito spontaneo: il
radicalismo, tutto rivendicazione e poco segreterie politiche, più di scontro aperto che di dialogo
tattico, cioè l’esatto contrario del moderatismo. L’atto di nascita indica la Puglia, ma in poche ore ha
cessato di essere un fatto locale. Anche se nasce a sinistra, si fa sentire a trecentosessanta gradi. Una
rivoluzione a onda lunga, quasi che di punto in bianco saltasse fuori un’Italia sconosciuta, imboscata
dalla melina e dai teatrini di partiti vecchi, nuovi e risuscitati. Sembrano tornare tutte assieme la base
più militante, le minoranze più motivate, la politica dal basso estremo, la partecipazione ma
intransigente, una inedita società civile che vuole scegliere, non solo contare qualcosa e votare sotto
dettatura. È il vento delle «primarie», che gli americani vivono come una pacifica tradizione tanto dei
democratici quanto dei repubblicani ma che da noi ha fatto un esordio ciclonico. A mio parere gli
elettori non si accontenteranno più di leggere nomi stampati dai rispettivi partiti sui tabelloni dei
corridoi dei seggi elettorali; si sono stufati. Difficile un indietro tutta per buonismo di partito. Rotto il
muro dell’assuefazione, pretenderanno sempre di più di scegliere tutti candidati del proprio
schieramento, dal leader politico ai governatori di Regione, dai consiglieri ai sindaci, a cascata, prima o
poi compresi i parlamentari, chissà. A occhio e croce prenderanno gusto a sbaraccare il monopolio di
apparati grandi e piccoli, di mediazioni a tavolino, a Roma come a Venezia, dalla Puglia alla
Lombardia. Se non sarà una rivoluzione questa, non saprei dire che cos’altro sia. Di sicuro un incubo
per un sistema che ha in Mastella il Napoleone della politica di corridoio e delle poltrone di potere. Era
fatale che il ciclone partisse dal centrosinistra. Diviso com’è ma «unito» dal solo no a Berlusconi,
lascia straripare da tempo una voglia irrefrenabile di contarsi-scontrarsi al proprio interno tra sinistra e
centro. Il centrosinistra non ha due anime. È due cose in una. Il signore della conta continua non può
che essere Fausto Bertinotti, ostile a Blair e gemello di Zapatero, ora omaggiato come «politico
dell’anno» ma in realtà picconatore dell’anno. Rifonda Rifondazione comunista in «sinistra europea»
anti, ristruttura di brutto il convenzionale centrosinistra, ne radicalizza i rapporti di forza, sfida voto su
voto lo stesso Prodi nelle primarie di centrosinistra per scegliere l’antiBerlusconi. Ma a centrosinistra
nessuno minaccia «andiamo da soli» alle elezioni regionali e/o politiche come si usa ogni giorno nel
centrodestra, vedi Bossi e Alleanza nazionale. Nello schieramento al governo gli «unti del Signore»
alla Berlusconi non si contano più, da Bossi a Fini fino a Casini, garante della sovranità limitata di
Follini. Con tanti culti separati del rispettivo leader, il vento delle primarie è uno choc dal basso che
trova del tutto impreparato e disarmato il centrodestra. Ma per niente immune, e i segnali sono già forti
nello stesso Veneto. Stanno cambiando rapidamente un sacco di cose anche perché il sociale batte
rabbiosamente la politica, o meglio, fanno politica un incentivo alla famiglia, un ticket sanitario, la
difesa del lavoro, l’azienda come fabbrica del benessere sociale. Il resto è scenografia elettorale. Non
per niente fra settanta giorni si voterà sulla carta per le regionali che di fatto saranno invece politiche al

cento per cento. Formigoni non fa misteri lombardi: dice 2005, pensa 2006. In Veneto, la prima battuta
del presidente Galan sull’avversario Massimo Carraro è stata: «Antipatico, se ci vai a cena non lo voti
più». E Carraro promette berlusconianamente che farà diventare il Veneto «la California». Ma allo
stringi stringi sarà un aspro scontro politico per il consenso sociale. Le nuove pulsioni dal basso
rendono di ora in ora il consenso più esigente e meno preconfezionato. Partita tutta politica anche a
Nordest. Voto regionale, peso tutto nazionale.
23 gennaio 2005