2000 marzo Se i Veneti vanno al mare

2000 marzo ? – Se i veneti vanno al mare
Silvio Berlusconi vuole vincere. Si dirà che tutti vogliono vincere, verissimo; però lui di più, nessuno ci
conta quanto lui. L’homo berlusconianus è più che mai vincente o non è: «I bambini sognano di
diventare come me», diceva al momento di entrare in politica, e aggiungeva: «Le mamme mi amano
perché offro loro le telenovelas». A quei tempi, sette anni fa, Achille Occhetto andava in Tv e, a chi gli
domandava che cosa pensasse della privatizzazione della Comit, rispondeva: «Non so che cosa sono le
azioni». Sapete tutti come andò a finire, una passeggiata per il cavaliere, ovviamente. Dopo sei anni di
Scalfaro, di Dini, di Prodi e di D’Alema, Berlusconi non ne può più, è un’attesa contronatura la sua.
Dopo Mediaset, sogna Italiaset, il ritorno a Palazzo Chigi, ma per riuscirci non può dar retta alle
paturnie di Fini, Casini e Buttiglione. I tre ragionano da gregari, ma Berlusconi si è stufato di pensare
alla squadra. Oramai pensa più che mai in proprio, da leader che si gioca tutto: per questo ha
strangolato il Polo. Il Polo è defunto quanto l’Ulivo. Il Polo era competitivo, ma non vincente, e
dunque a Berlusconi non bastava più. I sondaggi e le elezioni europee gli dicono da tempo che, se
Forza Italia cresce Alleanza Nazionale arranca mentre i centristi servono soltanto ad arrotondare. Se
non ci rendiamo conto di questo retropensiero, non si capisce niente di Berlusconi né del suo
arrembaggio. Per andare sul sicuro aveva bisogno almeno di Bossi; per cautelarsi al 100 per 100, cerca
Pannella. Reinventa alleanze sfasciate, ritrova clienti difficili, ma è sicuro di non poterne fare a meno
per vincere le regionali, tanto per cominciare. Il resto verrà, c’è sempre tempo. Certo, possono accadere
cose dell’altro mondo. Il 29 gennaio, ad esempio, Pannella e Bonino chiedono a Berlusconi di sostituire
di brutto la candidatura di Galan con quella di Brunetta, ma in queste ore potrebbe benissimo accadere
che proprio i radicali diventino i garanti, in carta bollata, della passeggiata elettorale di Galan. Se lo
conosco, Galan avrebbe forse preferito – per continenza – limitarsi all’alleanza con Bossi, ma tant’è,
deciderà Berlusconi per tutti. Come dicono i forzisti piemontesi: «Siamo un esercito sabaudo trasferito
in politica e facciamo quel che Berlusconi ci chiede di fare». Di fronte a una così allargata «grosse
koalition», le possibilità di Massimo Cacciari sarebbero ridotte pressoché a zero. Gli resterebbero due
armi: la forte immagine personale e l’astensionismo che potrebbe colpire questa inedita «Viribus
unitis» moderata. In ogni caso, e anche se non lo volesse, Cacciari è condannato a «dimenticare» la sua
coalizione. Per non partire battuto, può soltanto fare una campagna ultra-presidenzialista, tutta fondata
sul patto personalizzato con gli altri elettori. Alle Comunali del 1993 a Venezia, Gianni De Michelis si
presentò agli elettori con lo slogan «Non promesse ma contratti». Acquistò alcune pagine di pubblicità
sui quotidiani, firmando per così dire accordi con le categorie economiche. Non dico che Cacciari
debba reinventarsi «contratti» regionali, ma più Berlusconi affolla la «grosse koalition» più l’ex
sindaco di Venezia sarà spinto a scommettere tutto su se stesso. La sua squadra conta molto meno della
squadra di Galan, questo il punto. Sintomatico il caso-Tremonti. Ex socialista, ex Patto Segni, Tremonti
è uno dei più affermati tributaristi italiani, specializzato se ricordo bene in operazioni di ristrutturazione
societaria. È stato ministro delle Finanze, è un massacratore di Visco, è il cantore delle partite Iva, è
l’esponente di Forza Italia che più ha lavorato per l’accordo con la Lega. Da professionista, ha studi a
Milano e a Roma: quando diventò ministro, nel 1994, denunciava al fisco quasi due miliardi, terzo in
graduatoria dopo Berlusconi (14) e Giuliano Ferrara (2). Se vince Berlusconi nel 2001, sarà
matematicamente ministro dell’Economia. Non mi pare tipo da farsi paracadutare part-time nel Veneto,
come assessore senza portafoglio, con compiti da costituzionalista. Credo piuttosto che il suo nome sia
stato fatto circolare per un gioco di specchi e di immagine. Silvio Berlusconi vuole vincere, a
cominciare dal Veneto. E sa, sondaggi alla mano, che l’arma di Massimo Cacciari è l’appeal, temibile

perché arma paradossalmente berlusconiana. Voteremo senza programmi. Come sostiene Altan,
l’italiano è un popolo straordinario, ma non normale.
marzo 2000