2000 Ma il campione fatto in casa non piace all’Inter esterofila

2000 – Ma il campione fatto in casa non piace all’Inter esterofila

Bisogna essere dei “pirla” per non puntare su Pirlo. Se Pirlo si chiamasse Pirlinho o
Pirlenko, sarebbe titolare dell’Inter ma, siccome è di Brescia e all’angrafe risulta
Andrea Pirlo, allora può dirigere a bacchetta la nazionale olimpica mentre S. Siro gli
garantisce solo la panchina.
Non ce l’ho affatto con i calciatori stranieri, figurarsi. A Milano, sono anzi cresciuto
con loro, i Suarez, Sani, Jair, Amarildo, Altafini, Schnellinger e quando si dava loro la
croce addosso come presunti tappi dei talenti nostrani li ho sempre difesi: senza i
grandi stranieri, il nostro sarebbe rimasto un calcio da cortile, provincialotto. Non è
questo il punto; solo che si vedono in giro eccessi dell’altro mondo.
Se Figo vale sui duecento miliardi, ha ragione da vendere Alfredo Di Stefano, regista
totale del Real Madrid d’oro, a quotarsi retroattivamente cinquecento. In Italia ci
buttiamo come pecore matte sull’ultima moda, ingolfandoci a tal punto di stranieri che
un buon terzo finisce per tornarsene via senza aver potuto dimostrare il proprio
valore. L’Europa è piena di fenomeni che da noi sembravano bidoni. In compenso è
riuscito solo in queste ore a trovare sistemazione in serie A un certo Roberto Baggio.
Il quale avrà pure i suoi anni, però resta capace di accendere il faro in campo.
Torniamo a Pirlo, che a 21 anni dimostra l’aplomb del campione, anche a 22 ore di
volo dall’Italia e davanti a 95 mila spettatori, in casa del paese che organizza le
Olimpiadi. Lui sa far bene un sacco di cose, prima di tutto smarcarsi, il che significa
farsi trovare dal compagno ogni volta che il pallone gli si incendia tra i piedi. Vede
gioco in profondità e dispone del tocco per servirlo. Segna di precisione non di
potenza, come s’è visto ieri a Melbourne, con il gol scorticato sul palo e una traversa
su punizione di felpa.
È bravo il ragazzo lombardo, e ha stile personale. Con quell’aria un po’ contrita,
sopporta le correttezze quanto un cilicio del mestiere, qualità questa non di scarso
conto in un torneo lungo.
Dicono che in Australia avrà molto peso il vento. Per adesso, spira il calcio nero di
Nigeria e Honduras: non so come spiegarmi, ma anche i loro gol sembrano diversi dai
nostri, più “rotondi” direbbero i sommelier veneti della strada del vino rosso, dalle
traiettorie più festose che maligne. È il calcio etnico, come la musica.