2000 Il picolit del calcio

2000 – Il picolit del calcio – L’Udinese è il picolit del calcio

Bravi, bravissimi, evviva la provincia, però. Però, con tutta la simpatia e
l’ammirazione che per esempio merita questa Atalanta, dico chiaro e tondo che
metterla sullo stesso piano dell’Udinese è come paragonare i fuochi d’artificio con le
stelle fisse!
Scherzi a parte, l’argomento è molto serio. Le cosiddette “provinciali” sono sempre
state capaci di grandi exploit, anche di vincere gli scudetti, basti pensare al Cagliari, al
Verona, alla Sampdoria, alias Sampierdarena. Ma “questa” Udinese rappresenta
tutt’altra storia, con una differenza di gran conto: l’Atalanta 2000 è l’oggi, questa
Udinese è oggi, ieri, l’altro ieri, quattro anni consecutivi da manuale del Bel Paese del
football. Qui vi voglio.
Amo l’Udinese come un vecchio, dai tempi di Bettini, Menegotti, Lindskog, pensa te.
Avevo in camera la foto in bianco e nero di Arne Selmosson, assieme ai Nyers e ai
Lorenzi della mia Inter infantile. Poi, da giornalista, ho passato una vita a raccontare il
Friuli in maglia a strisce verticali e mi rimbomba ancora nelle orecchie, come un Te
Deum da stadio, l’Alè Udin delle partite. Ma è un suono che porto nel cuore, non nel
cervello, e so ragionare al riparo dal tifo. Almeno credo.
L’esperienza mi dice che senza società una squadra va lo stesso in campo, ma non va
lontano. Qui la società c’è, eccome, basti pensare alla situazione del bilancio: sarà
perché ho sempre visto nel calcio bilanci in profondo rosso cronico; sarà perché ho
sempre sentito la provincia piangere il morto finanziario, sta di fatto che l’Udinese mi
fa impressione, a volte stento a credere.
Con il bilancio mi sbilancio: bisogna davvero essere bravi per chiudere la contabilità
al 30 giugno del 2000 con cento miliardi lordi di attivo, pari a 52 netti! Ha ragione da
vendere Pierpaolo Marino, l’avellinese meglio trapiantato del Nordest, quando ricorda
a noi che sappiamo poco di entrate e uscite che questo è un vero record europeo, che
meriterebbe da solo una coppa grande come una casa. Il riferimento al mitico
Manchester, secondo con 36 miliardi netti, parla da solo.
Oggi il calcio è meno paternalistico e più organizzato. Sono passati non decenni, ma
anni-luce dai Bruseschi, Brunello, Sanson, lo stesso Mazza di Zico, “O Zico o
Austria” si gridava in piazza XX Settembre.
Il business non perdona. Se getti via schèi come coriandoli, alla lunga paghi, perché
non tutti sono Moratti. Il mercato vissuto come un Superenalotto o il successo affidato
agli “uomini della provvidenza” fa parte della retorica del Far West del pallone.
Non è più così, è sempre meno così, e lo sta a dimostrare proprio l’Udinese, il cui
segreto numero uno consiste, per dirla in politichese, nella stabilità di governo: 15
anni con la famiglia Pozzo. Quasi un regime, che via via ha costruito qualcosa di ben
piantato. L’Udinese è il bell’utensile di Giampaolo Pozzo.
Uno che ha da sempre la passione dell’Atalanta, Vittorio Feltri, ha detto: “Con la
cessione di uno straniero, l’Udinese ne compra dodici!”. Paradossi a parte, gli
stranieri dell’Udinese sono tutti nazionali e, quanto agli italiani, sono almeno cinque,
sei i giocatori buoni per la maglia azzurra. Voglio dire che il mercato dell’Udinese
lavora su un plafond di qualità.
Giuliana Pozzo, la presidentessa, mi ha detto un giorno una cosa molto bella e molto
vera: “Il nostro orgoglio non è strombazzato, ma alla friulana”. Eh, ci sarà una
ragione perché il picolit abita a Dolegna del Collio e non in un qualsiasi altro posto.
Attorno all’Udinese, c’è un certo habitat, e, come è noto a noi tutti, di Friuli ce n’è
uno, senza la minima …………………

Mi dicono per esempio che Stefano Fiore è esattamente quello che appare in tv e in
campo. Una persona seria, un uomo educato, un professionista che cerca di evitare
certi sbracamenti del calcio. Ecco, non mi stupisce affatto che proprio un tipo così sia
diventato la bandiera del pubblico, a furor di popolo. Ogni pubblico si sceglie i
simboli che merita, il che credo valga anche per il tecnico Gigi De Canio, nemmeno
lui improvvisato in zona Cesarini, ma seguìto, osservato, guardato da tempo, quando
ancora sulla panchina di Udine sedeva il mio compaesano Guidolin.
Ovunque si posi l’occhio, su questa Udinese si vede la mano, un lavoro che viene da
lontano. Sta facendo un ottimo campionato, da prendere sempre con le pinze, e presto
andrà in borsa come le “grandi”, perché grande lo è già. Questa la verità.
………………….. vi in coppa Uefa se non lo si è. Una partita europea dallo stadio Friuli
non vale un miliardo sul mercato televisivo se non a patto di aver fatto da tempo passi
da gigante. La Rai non regala niente a nessuno, fa soltanto i conti con l’ascolto
popolare. (Anche se, concordo in pieno con Ido Cibischino, l’Udinese meriterebbe la
diretta anche da Salonicco. In tal caso, le lire andrebbero soltanto al Paok, ma il
piacere sarebbe tutto nostro, e degli italiani di buon palato).
Fra l’altro, il bacino dell’Udinese non garantisce incassi industriali. Formidabile, come
osserva il direttore generale Marino, è lo zoccolo duro dei 15 mila abbonati che, in
proporzione, valgono i 50 mila abbonati dell’Inter a San Siro. Ma, poi, la media dei
paganti al Friuli resta di 3-4 mila a partita, non moltissimi.
Ho scritto tanti anni fa che, per merito dei friulani, l’Udinese è migliore del calcio che
rappresenta, e non ho mai cambiato idea. Alè grande Udin, anche quando non ………….