2000 dicembre Bossi, la crociata anti-Islam

2000 dicembre ? – Bossi, la crociata anti-Islam
Il Bossi che non vuole le moschee e che fa il crociato contro l’Islam può sorprendere soltanto i distratti.
Ieri difendeva la Padania dal Sud e dall’Italia; oggi protegge l’Italia dall’«invasione islamica»: ad ogni
elezione il suo Bossi. Fino a un paio d’anni fa, il nemico era più generico: gli extra-comunitari.
«Arrivano a milioni, fermiamoli, fuori dalle palle!», dicevano i manifesti della Lega Nord
tardosecessionista. Oggi il bersaglio si è fatto più mirato, anche perché il popolo delle partite Iva deve
aver avvertito Bossi che senza manodopera e/o tecnici stranieri non si fanno più schèi in azienda.
Dunque, sì a quote confindustriali di immigrati ma no ai minareti, no al baratto tra Pil e identità, questa
la nuova linea del Po. Attenzione, non c’è proprio niente di cui sorridere; anzi, è un affare molto serio e
molto politico, che l’onorevole Bossi fiuta meglio di un segugio. Bossi non inventa i problemi, che
però sa frullare al momento giusto rendendo al massimo se si tratta di preoccupazioni diffuse, meglio
se di paure, ancor meglio se di fobie. In bocca a Bossi la modernità diventa ancestrale, il complesso
elementare. È contro il globale, per la piccola patria. È contro il transgenico, per la natura del mito. È
contro l’America per l’Europa ma è contro l’Euro per la Padania «sesta al mondo con il suo Pil». Nello
stesso schema il mondialismo è comunista e massone, amen. L’Islam d’importazione rappresenta il suo
ultimo contro, soprattutto da qui al voto del 2001, a compimento di una fase cattolica, apostolica e
romana, quasi pia, di Bossi. Ancora nel 1998 i «Quaderni della Padania» scrivevano: «L’Italia è
diventata un grande Stato della Chiesa». Per dire Papa, Bossi diceva «il polacco». Chiaro come il sole
che questo Bossi diventava di colpo impresentabile dopo il patto con l’onorevole Berlusconi, tutto
all’insegna del moderatismo cattolico come fabbrica del consenso. Con quei rapporti di forza, tra una
Lega Nord dimezzata elettoralmente e Forza Italia primo partito nazionale, non c’era proprio partita;
Berlusconi ha convertito Bossi, ma Bossi non ha perso tempo e oggi sfida l’intero Polo sul suo stesso
terreno. Religioso o quasi, si direbbe, come la messa di Lodi. «Il polacco» è tornato ad essere
rispettosamente il Papa, se non il «Santo Padre» sulle pagine del quotidiano «La Padania». La famiglia
è il baluardo della società, quanto l’omosessualità il suo scandalo, mentre le radici cristiane hanno
ripreso vigore sulle radici celtiche. Tutto un vocabolario va in archivio, per aggiornarsi su nuove parole
d’ordine, musulmani compresi. Il 2001 non sarà come il 1994. Allora la Lega si alleò con il Polo da
posizioni di assoluta forza; oggi avendo esaurito la spinta propulsiva. Bossi lo sa meglio di chiunque e
dunque i sette mesi di campagna elettorale lo vedranno impegnato a smarcarsi dagli alleati del Polo.
Insieme ma smarcato, nel tentativo di spiegare bene all’elettore del Nord perché valga ancora la pena di
votare per lui e non direttamente per Berlusconi. Ai tempi della Lega dura, pura e solitaria,
l’operazione era facile facile; adesso, assi più complicata. Curiosamente, Bossi cavalca la paura degli
italiani appena ha smesso di mettere paura in proprio. Soltanto gente in malafede o tonta può trascurare
l’abbandono anche semantico della «secessione», l’asportazione del termine «indipendenza» dai gruppi
parlamentari leghisti, fino alla riabilitazione del tricolore. Soltanto tre anni fa, dal palco di Venezia,
Bossi aveva invitato una signora a togliere la bandiera dal balcone per metterla nel «cesso»; ora gli sta
bene per «difendere l’identità dei popoli». Troppa grazia, ma non ci sono alternative: o non si prende
mai Bossi alla lettera o si prende per buono l’ultimo. (Regola che, del resto, vige per tutti nel teatrino).
Orfano di radicalità padana, arruolato dai moderati vincenti, Bossi punta molto sul pericolo islamico
per radicalizzare il kit leghista. Oltretutto, sa bene di dare voce a un retropensiero tutt’altro che
minoritario, anzi a un’inquietudine sempre più visibile, anche nella gerarchia ecclesiastica. Sintomatico
che l’organo della Lega Nord abbia pressoché adottato il cardinale Biffi nelle sue pagine e che, proprio
nell’edizione di ieri, abbia vistosamente marcato un discorso del 1990 dell’arcivescovo di Milano,
Martini, quando dice: «Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti

i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica
per esigere spazi e prerogative giuridiche specifiche». Ha dovuto abbandonare tanti fronti, Bossi, a
cominciare dal conflitto d’interessi, e ha preso a prestito la devolution di Tony Blair per mettere in
imbarazzo i blairisti nostrani. Gli stessi referendum consultivi delle Regioni del nord segnalano, a
guardar bene, la fine del suo fondamentalismo istituzionale. Dopo i multipotenti Fiat, Benetton e
McDonald’s, il senatur aveva fame di bersagli. Usa quelli freschi di giornata, che oggi gli consigliano
la crociata: i lampi del fondamentalismo islamico gli danno una mano. Le vie di Umberto Bossi sono
davvero infinite.
dicembre 2000