2000 aprile 26 Nemmeno un veneto nel governo Amato

2000 aprile 26 – Nemmeno un veneto nel governo Amato
Se dura, il governo Amato durerà al massimo un annetto, mica una legislatura. È un governo tampone,
tra il voto regionale dell’altra domenica e il voto politico del 2001, che nasce da una mazzata elettorale
ma che proprio per questa ragione si mostra carico di presagi e di segnali, a cominciare dalla scelta dei
due ministri «tecnici», il professor Veronesi alla Sanità e il professor De Mauro alla Pubblica
istruzione. Il segnale è chiaro come un sos: due non politici di vasto prestigio personale sostituiscono
due ministri ultrapolitici, la Bindi e Berlinguer, non particolarmente popolari per usare un eufemismo.
Insomma, il centrosinistra ha preso i primi provvedimenti urgenti in termini di immagine e di consenso.
Indipendentemente da ci che la Bindi e Berlinguer hanno fatto o non fatto, l’oncologo Veronesi e il
linguista De Mauro mettono i partiti in coda rispetto alle competenze professionali. Seguendo questo
criterio, nel governo Amato ci sarebbe stato a pennello anche un ministro veneto. Qualcuno potrebbe
accusarci di provincialismo, ma sbaglia di grosso. Il Veneto, questo il punto da ficcarsi per sempre in
testa, non è provincia, periferia, area marginale, territorio di frontiera, ma centro, anzi epicentro
nordestino della questione settentrionale: cioè della prima questione nazionale visto che equivale in
parole povere al seguente quesito: vogliamo modernizzare il nostro Paese oppure ce lo teniamo così
come sta? Noi non abbiamo una nozione miracolistica o ridicolmente etnica dei veneti, e sappiamo
benissimo che anche un veneto, come chiunque del resto, può rivelarsi un ministro di serie B. Quando
sosteniamo che un esponente di quest’area avrebbe arricchito il governo Amato, ci riferiamo
ovviamente a qualcosa di infinitamente diverso: un buon ministro veneto avrebbe aiutato a capire
meglio il lessico del Nord. In fondo, avrebbe potuto svolgere un lavoro simile a quello del linguista De
Mauro, anche se la lingua del Nord non si occupa di Dante ma di imprese a centinaia di migliaia, di
lavoro, di autonomia, di infrastrutture, di servizi, di semplificazione, di Europa sull’uscio di casa. Una
lingua che la sinistra italiana continua a balbettare e, spesso, a non afferrare al volo, come ha
dimostrato in misura addirittura scandalosa durante la recentissima campagna elettorale. I nomi ci
sarebbero stati, le materie anche. Prendiamo ad esempio il ministero dell’Industria: ci sarebbe stato
soltanto l’imbarazzo della scelta, da Nicola Tognana a Mario Carraro, se un governo intendesse portarsi
a Roma le esperienze e le attese del Veneto laboratorio del Nord. A Carraro, tanto per dire, pensò un
giorno lo stesso Prodi e, quanto a Tognana, se vale per la Confindustria può valere anche per
l’esecutivo di Amato. Si potrebbe continuare, con nomi e ministeri, dai Trasporti al Lavoro, secondo un
criterio né clientelare né partitico né tantomano provinciale. Uno come Massimo Cacciari, che la
sinistra considera la sua testa migliore in tema di federalismo, si sarebbe potuto rivelare utile agli Affari
regionali o alle Riforme. Come non detto, la sberla del 16 aprile non ha insegnato nulla. Il
centrosinistra non vede il Veneto e, se non vede il Veneto, non vede il Nord: scommetto che un
secondo governo Berlusconi non farebbe mai un errore come questo.
26 aprile 2000