2000 agosto I nuovi schiavi che arrivano dal Nordest
2000 agosto? – I nuovi schiavi che arrivano dal Nord-Est
Secondo il calcolo di uno studioso inglese, sono almeno 27 milioni i “nuovi schiavi”, merce umana e
globale che magari produce stoffe, tappeti, gioielli, zucchero o fuochi d’artificio per i mercati ricchi.
Lungo i 202 chilometri della nostra frontiera a Est, ai trafficanti non conviene più far transitare le merci
di contrabbando: meglio infiltrare direttamente gli schiavi, costringendoli a riscattarsi pagando trenta
milioni a testa. L’equivalente del prezzo, battuto all’asta di Christie’s, di sei bottiglie annata 1989 della
vellutata acquavite di Picolit dei Nonino. Se poi non ce la fanno a pagare, si mette mano al cellulare e,
non appena i parenti sono in linea, si organizza una bella gara a testate tra clandestini: le urla in diretta,
terribili come colpi di kung fu, avranno forse il potere di convincere la famiglia a pagare per lo schiavo.
Se ancora non bastasse, rimangono pur sempre un bel rene o un occhio in più per pagarsi il viaggio
della disperazione e, insieme, del sogno; in fondo, gli organi sono un Bancomat in natura. Fallisse
anche questa transazione, lo si può anche fare a pezzi il clandestino e utilizzarlo al meglio con tutti i
suoi pezzi di ricambio, pezzi d’uomo, a sentire gli inquirenti per quanto prudentissimi su quest’ultima
ipotesi di indagine. Ci casca addosso un mondo. Non “casi”, ma ondate di merce umana, se è vero che
in un solo anno i tre clan scoperti dalla Dda di Trieste hanno esportato in Italia cinquemila clandestini
cinesi. 5.000 persone sono tante, 5.000 storie, 5.000 violenze, 5.000 vite in viaggio, come soprattutto
friulani e veneti possono capire, per antica, infelice esperienza: nel biennio 1900/1901, all’alba del
nuovo secolo della scienza, dalla provincia di Udine di allora se ne andarono in 94 mila in giro per il
mondo. Questa è una regione che sa tutto sui dolori collettivi. Il confine orientale è sempre stato mal
tutelato, fino a diventare il passe-partout d’Italia. Non lo diciamo noi, lo dicono i poliziotti che, cifre
alla mano, dimostrano da anni la precarietà dei controlli. Ma adesso il confine si allarga, come un
tutt’uno di terra e di mare, di transiti e di rotte, con Grado e dintorni che rischiano di diventare una
costa pugliese. Gli arresti di cinesi, croati, sloveni e italiani fotografano alla perfezione un fenomeno
globale e locale, senza confini e alla caccia di confini sguarniti, molto flessibile e più dinamico delle
azioni di contrasto e di regolazione. Una multinazionale che recluta personale dove serve e malavita
dove conviene. Il Nord-Est è in prima linea, a cominciare dal Friuli-Venezia Giulia. Lo è da un pezzo, a
dire il vero, ma oggi molto più di ieri, perché qui collidono con maggiore chiarezza che altrove le
domande della società, dell’economia e della sicurezza, nessuna separabile dall’altra. Con la chiarezza
che lo distingue, Andrea Pittini ha fatto una sintesi da manuale: «Servono − ha detto − seimila
extracomunitari e non si discute, ma diciamo no a un’invasione alla cosacca». Chi finge di non capire,
si chiami fuori dal mondo. L’intero assetto economico della regione non può più fare a meno dei
lavoratori stranieri, pena la recessione, dall’industria al turismo, dai posti stabili alla stagionalità,
soprattutto in un’area caratterizzata dal capitalismo diffuso, al quale cominciano a mancare persino i
panettieri. Forse, per una curiosa metafora del destino, gli stranieri cominciano a mancare all’economia
come il pane. 40 mila in 8 anni sono la previsione minima per il dopodomani dello sviluppo. Uno
sviluppo, attenzione, che piano piano contagerà persino gli extracomunitari. A Milano sono già 1.200 le
imprese in mano agli egiziani e 1.200 quelle cinesi, mentre proprio gli artigiani di Udine ricordano agli
smemorati di turno che dal 10 al 30 per cento dei nuovi imprenditori artigiani del Centro-Nord sono
extracomunitari! Noi abbiamo bisogno di questa umanità in viaggio, stretta tra due fuochi. Chi la
sfrutta in partenza, chi la demonizza in arrivo; chi la considera merce, chi una peste della storia nel
totale oblio della propria storia. A volte, riusciamo a confondere anche le leggi della domanda e
dell’offerta, inserendo nelle quote migratorie lo schiavismo sessuale. Ci casca addosso un mondo del
quale non possiamo fare a meno, che ha bisogno del meglio della nostra intelligenza e della nostra
capacità di governo. Senza casa, non c’è politica dell’immigrazione; senza sicurezza, non cresce una
società affettuosa; senza diritti di cittadinanza non ci sono doveri di integrazione. Personalmente, trovo
vergognoso e umiliante che si pensi agli immigrati «per pagare le nostre pensioni!». E questa sarebbe
l’Italia quinta potenza industriale al mondo? Conoscendo il Friuli, c’è da scommettere che troverà la
strada per governare tenacemente questa fase faticosa. I confini senza frontiera di oggi sono il vero
laboratorio: oggi di 5.000 storie disperate, domani probabilmente di una società che sappia salvare
l’anima, il Pil e l’accoglienza.
agosto 2000