1999 Novembre 7 Grazie Pavone

1999 Novembre 7 – Grazie Pavone

Gli industriali, in particolare i veneti, sono sempre molto attenti a ciò che accade fuori azienda e
dicono la loro, spesso su tante cose, l’ordine pubblico, l’immigrazione, le riforme, il ceto politico, la
legge elettorale, i referendum, la Regione, i sindaci e via elencando a iosa.
Tacciono tuttavia su un avvenimento imponente che li riguarda molto da vicino, anzi da
vicinissimo, come la condanna a 15 anni del colonnello della Guardia di finanza Petrassi.
Silenzio di tomba, eppure lui non era uno qualsiasi, ma il comandante del nucleo di polizia
giudiziaria del Veneto, area ad altissima densità imprenditoriale. In questo territorio ideale, dove
contava di meritare la nomina a più giovane generale del Corpo, Petrassi ha agito da “grassatore,
ingordo, insaziabile, famelico, prevaricatore, infame, esoso, mangiatore a quattro ganasce, tronfio e
arrogante”. La polpa era l’impresa.
I termini citati tra virgolette appartengono alla requisitoria del pubblico ministero Francesco Saverio
Pavone. Le vittime e/o complici coatte erano le forze produttive, per chi facesse lo gnorri.
Un tipo così, concussore miliardario, non era un marziano né un funzionario tutto casa e caserma.
Frequentava tavole eleganti, bei nomi. Lo faceva in borghese, cordialone, con l’aria di chi deve
starci, un po’ per dovere d’ufficio un po’ per galateo sociale. E’ stato dimostrato che pensava ad altro,
a una sfilza di zeri.
Qua e là, proprio mentre sputtanava e tradiva il lavoro dei finanzieri per bene, era solito
moraleggiare sulla corruzione. Deve aver coltivato anche qualche propensione politica, ammesso e
non concesso che la si possa assimilare alla farabuttagine.
Una sera, a chi gli chiedeva con discrezione a che punto fossero le sue accanite indagini sulle
cooperative rosse, rispose: “Iè stàmo facendo un bùcio così!”, stiamo facendo loro un sedere così.
Accompagnò l’aulico chiarimento con il gesto rotondo di pollice e indice delle mani, tanto che a
quel punto mi divenne ancor più chiaro che bisognava stare senza esitazione dalla parte delle Coop.
A qualunque costo.
Senza tanti pm, vivremmo in un bordello. Senza Salvarani, avrebbe dormito la tangentopoli veneta;
senza Casson, la strage di Peteano sarebbe tuttora impunita come impunite risulterebbero le morti di
tanti operai, denunciate da un operaio del Petrolchimico di Marghera. Senza Pavone, e senza il gip
Mastelloni, il Veneto non si sarebbe liberato di questo bubbone tributario, sanzionato equamente –
non duramente – dai giudici Lia Marino, presidente, Alessandra Maurizio e Carlo Sciavicco.
Dico la verità, con delusione. Nei panni degli imprenditori, confindustriali in testa, qualcosa avrei
detto o fatto. Magari, nel ricordo di tante campagne di rottura e di sfida, avrei tappezzato il Veneto
di manifesti con un bel “Grazie Pavone”, santo Dio.
E, dopo decenni di doroteismo mentale e di ipocrisia, sarei tornato alla carica in ogni sede
istituzionale e parlamentare per tagliare la manomorta che genera i Petrassi. Sono il ludibrio della
legislazione, l’intollerabile arbitrio della burocrazia, il record mondiale di tassazione sugli utili
d’impresa a generare mostri tra i controllori.
Non solo. C’è chi si coccola i ladri e li corrompe perché controllino altrove. C’è chi viene concusso
a man salva. Tutti, tanto i dimenticati (a pagamento) quanto i perseguitati ( con mazzetta), rovinano
la libera concorrenza premiando i furbi a spese dei probi.
Voglio ricordare un precedente storico da manuale, che tenne le prime pagine negli anni ’70.
Imprenditore pordenonese, sindaco dc di Prata, Angelo Piccinin un bel giorno si vide piombare in
azienda una squadra di oltre venti finanzieri armati. Lui uomo coraggioso, con quattro figli allora
tra i due e i sei anni, e più coraggiosa di lui la moglie, si rifiutarono di pagare per disinnescare la
verifica.
Lo mandarono sotto processo per reati fiscali, penali, ma la procura di Pordenone lo fece diventare
alla svelta, da imputato, testimone contro i suoi tentati concussori. La memorabile requisitoria del
giudice istruttore Tegli mise a nudo lo stesso verminaio addebitato dal pm Pavone al colonnello
Petrassi.
Per non aver pagato e aver denunciato, Piccinin finì processato in associazione industriali! Fu

salvato dai magistrati.
25 anni dopo, gli imprenditori non hanno ancora imparato. Se uscissero in blocco dall’omertà, con
una grande battaglia culturale e riformista, farebbero il più bell’affare della loro vita. Al confronto,
le 35 ore sono niente, meno di niente.
Ma temo che vecchi e giovani industriali, istruiti dalla Dottrina Romiti, saranno occupati a tempo
pieno dalla flessibilità. Pavone si arrangi.