1999 gennaio 2 Benvenuta Iman

1999 gennaio 2 – Benvenuta Iman, veneta del Duemila

Mentre l’euro occupava i computer di tutto il mondo, le mamme attuavano la loro silenziosa rivoluzione
nel cuore del Veneto. Con i «primi nati» dell’anno nuovo nasce tra di noi un altro mondo, il nostro inedito
crogiolo etnico, un melting pot che reinventerà via via anche il nostro modo di essere italiani. A Treviso,
Rachel dello Zaire e Iman del Marocco sono nate a distanza di poche ore da Alessandro Trentin, che più
veneto non si pu . A Padova, mentre l’ultimo bimbo del 1998 è stato magrebino, Diego Mansour, la prima
bimba del 1999 è Marina Sajn, slava. Le cronache fissano la vita, non sbagliano mai, danno corpo e
anima alle statistiche, ci spingono a pensare più di dieci prediche e di cento articoli di fondo. Ha detto un
sacerdote: «Nessuno può fermare i poveri che cercano i Paesi ricchi». Vale soprattutto quando i Paesi
ricchi smettono di fare figli. Ed è questa una legge della demografia moderna: ovunque, senza eccezione,
in Asia come in Africa, in Europa come in Sudamerica, i popoli crescono quando sperano, non quando
si realizzano: la speranza di benessere aiuta le nascite, il suo raggiungimento le blocca. Da anni, poi,
l’Italia è prima nella classifica mondiale della bassa natalità: 1,2 figli per donna è il nostro drastico indice.
Le conseguenze le conosciamo, basta guardarci in faccia passeggiando nelle nostre città: sopra i
sessantacinque anni gente a volontà, sotto i diciotto sempre più contati. L’Europa mette insieme la
moneta e pensa alla disoccupazione, ma il suo ultimo destino passa attraverso il biberon. La sua
popolazione diminuirà ineluttabilmente e saranno proprio Rachel e Iman di Treviso, Mansour e Sajn di
Padova, assieme al sette per cento di nascite extracomunitarie ormai riscontrabile a Montebelluna, tanto
per esemplificare, che in qualche modo faranno tornare i conti, della demografia e dell’economia, del
ricambio generazionale e di un «arcipelago» culturale europeo, direbbe Massimo Cacciari, radicalmente
nuovo, tutto sbilanciato oltre gli schemi fissi del passato, remoto e recente. Piomba tra di noi un’idea di
cittadinanza che punta sulla persona più che sulla nazionalità, spingendoci a reinventare la nozione stessa
di identità. Ho sentito ieri in tv un italoamericano chiedersi: «In Italia mi sento americano, in America
italiano. Chi siamo noi?». Di fronte a noi abbiamo tutti più interrogativi che risposte, più dubbi che
certezze, il che suggerisce anche la scoperta di un’identità veneta morbida, ospitale, capace di guardare
dentro e oltre se stessa, tenendo insieme il meglio del ricordo storico: noi siamo stati ieri, per generazioni,
le Iman, le Rachel, i Monsour e le Sajn di oggi, emigrati ai quattro angoli del mondo cercando lo stesso
mondo nuovo. Raccontando la sua città, Jorge Borges ha scritto un verso struggente: «Ormai le strade di
Buenos Aires sono le viscere dell’anima mia». Sulle strade delle nostre città e della nostra anima, c’è
spazio per camminare senza paura. Sapendo organizzare il nuovo. Buon anno Iman.

2 gennaio 1999