1999 Alle elezioni regionali dica qualcosa di Veneto

1999 – Alle elezioni regionali dica qualcosa di Veneto

Confesso che a me il Congresso della Lea Nord ha messo malinconia. Sono malinconici
l’unanimismo a scatola chiusa, il plebiscito a getto continuo, l’ “heil” senza riserve, il culto del capo
già denunciato dall’ onorevole Bampo, l’ “incoronazione” finale, come l’ha bollata ieri Formentini.
Malinconici il divieto di parola al solo oppositore, le purghe, il corpo a corpo tra militanti, i colpi, la
sindrome da “pus” che infetterebbe il Carroccio, una violenza fisica e verbale che ha sconfortato un
mediatore come Pagliarini quanto un celodurista come Borghezio (“ Mi scuso a nome di tutti”, ha
dovuto dire rivolto alla segretaria di Comino visto che nessun altro lo avrebbe fatto).
Mai stato un movimento in guanti bianchi, la Lega ha sempre preferito i modi ruspanti e “popolani”
per dirla con Bossi, su questo non ci piove. Più paesana che cittadina, più trattore che limousine, più
lavoro autonomo che dipendente, più ceto medio che ceto dirigente, la Lega ebbe fin dai primi anni
Novanta la funzione catartica di dare sbocco di massa alla protesta e alla pretesa di legalità.
Quando andò al governo come ministro degli Interni, ricordo che l’onorevole Maroni promise: “
Certamente noi non ruberemo”. Il clima era quello e la Lega, tra giacobinismo e anti-partitismo, lo
sintetizzava con “Roma ladrona”.
Usava la clava, non il fioretto, però portava a galla materiali molto seri, compreso un modo di fare
politica molto popolare e molto volontaristico, lontano anni luce da apparati e arruolamenti per
tessera. Nel declino di vecchi “festival” e “feste”, la Lega seppelliva l’ideologia a vantaggio del
territorio, dando voce a una cultura subalterna ed emarginata, fondata sul dialetto, sul folklore, sulla
tradizione, sul rifiuto del processo piattamente globale.
Reagiva ai burocrati, alle mezze maniche di ministero, ai falsi invalidi, al partito della spesa
pubblica, ai servizi da sud Sahara, al capitalismo dei salotti buoni, ma tentava di raccogliere anche
scampoli di identità perdute. Quello che lo storico Silvio Lanaro chiamerebbe, forse,
“l’ineliminabile ancoraggio alla territorialità”.
Il secessionismo ha rovinato la Lega, e il danno peggiore non è nemmeno quello elettorale. Lo si
misura adesso come un virus, anche sul piano del costume. Il secessionismo incattivisce, semina
intolleranza persino oltre le intenzioni, rende il Nord non un problema da grande Paese europeo ma
un ictus da accerchiamento.
Oggi la Lega dimezzata nel voto raccoglie a scoppio ritardato i guasti della scelta del 1996: “Ciao
Italia, la Padania se ne va”. Dove, si è malinconicamente visto domenica al congresso di Varese.
Di solito chi rompe paga, ma con Umberto Bossi la regola non vale. La Lega Nord doveva semmai
mettere in discussione l’indiscusso leader, al contrario è stato Bossi a processare senza appello la
sua Lega, per acclamazione! Oplà, a furor di popolo il Congresso della sconfitta si è trasformato in
Congresso del plebiscito.
Il resto è “complotto”.
Bossi non è nemmeno in forma, glielo si legge in faccia. Urla di più perché convince di meno. La
lista degli epurati e dei traditori si allunga paurosamente, tanto che lo stesso stato maggiore lumbard
si conta oramai sulle dita di una sola mano. Quanto ai Veneti, il Congresso è stato straordinario
soltanto per la loro totale futilità.
Credo che Bossi sia sincero quando si appella al “cuore” piuttosto che alla “mente” dei suoi, solo
che la sua piazza non è più la stessa. In soli tre anni, si è rimpicciolita della metà.
Dopo la mazzata del 13 giugno, Bossi ha timidamente ammesso un solo sbaglio: l’aver fatto il para-
serbo di Milosevic, incredibile ma vero. Per tutto il resto, non ha fatto una piega convinto com’è che
milioni di moderati, a cominciare dal Veneto, lo abbiamo ripulito perché “moderatini”, voto di
mezza tacca, gente politicamente senza attributi.
Bossi è il solo leader che non si chiede mai perché ha perso, ma per colpa di chi. Aveva già i pieni
poteri, ora ha i poteri supremi e totalitari di decidere in solitudine se allearsi con Berlusconi, che
detesta ma i cui elettori sono simili ai suoi, o con D’Alema, che gli piace ma la cui base sindacale è
l’opposto della sua. Più che Lega Nord, è Lega Bossi.
Fra dieci mesi il Veneto deciderà da chi farsi governare per cinque anni. Con quale Lega, lo dirà

Umberto Bossi a meno che i leghisti del Veneto non abbiano in testa qualcosa di veneto da tentare
di proporgli.
Un bel rebus. Per ora, il solo programma annunciato da Bossi è: “ Fuori dai coglioni”. Nessuno dica
poi che non è stato chiaro con i deviazionisti di turno.