1984 agosto 23 Il vantaggio è tutto nostro

1990 aprile 05 – Il vantaggio è tutto nostro
I comunisti hanno ribadito ieri che l’invio dei cacciamine italiani nel Mar Rosso è una decisione
«ambigua», «un rischio grave per l’immagine dell’Italia», «il dispiegarsi della nuova dottrina
egemonica degli Usa in Medio Oriente». Contemporaneamente, l’agenzia sovietica Tass definiva
«pretesto» la ricerca delle mine, mentre il vero scopo era di «allargare» la presenza militare della Nato
in quella area.
Per i comunisti e i sovietici è Reagan il grande timoniere delle unità di Craxi. Visto da destra, il
neutralismo è sempre filosovietico. Visto da sinistra, l’intervento è sempre filoamericano. «E’ in gioco
– scrive ad esempio “L’Espresso” – la capacità dell’Italia di esprimere e far valere una linea di politica
estera senza inclinazioni alla subalternità».
Siccome «dietro» deve poi esserci assolutamente qualcosa, il Movimento Sociale attacca «l’ambiguità
vergognosa e inquietante» della politica estera di Andreotti. E «dietro» la partenza dei cacciamine
«Panorama» individua il peso dell’industria bellica, degli ammiragli, in generale la lobby della marina
militare italiana.
Il metodo all’italiana non cambia mai, nemmeno sui pochi problemi di fondo che andrebbero analizzati
riducendo al minimo lo spirito di parte. Non importa se una scelta è giusta; la prima e ultima
preoccupazione è di guardarla in controluce alla ricerca di ombre coincidenti.
Diamo pure per scontato che l’invio dei nostri cacciamine nel Mar Rosso sia operazione gradita tanto
agli Usa quanto ai circoli navali: basta questo allineamento di interessi a trasformare un’iniziativa
giusta in un’avventura sbagliata? Il criterio va rovesciato ponendoci altre domande, ma pragmatiche, di
larga visuale, capaci di non ridurre gesti internazionali a piccole risse da cortile dove fare opposizione
non è un modo di vigilare a tempo pieno sul governo ma piuttosto una vocazione a non far comunque
governare. La domanda da fare è se sia giusto o no, punto e a capo.
E’ giusto rispondere positivamente alla legittima richiesta di un Paese amico quale l’Egitto, che ha
preferito andare sul sicuro con alcuni Paesi amici invece impantanarsi per sempre nella paralisi
dell’Onu?
E’ giusto considerare la libertà di navigazione non un bene né egiziano né italiano ma un diritto
internazionale primario?
E’ giusto che l’Italia contribuisca alla normalizzazione del canale di Suez attraverso il quale transitano
22 mila navi all’anno con carico di merci che per il 15% provengono da porti italiani o vi sono
destinate?
E’ giusto non limitare la vigilanza all’uscio di casa e, usando la parabola di Spadolini, cercare di
spegnere il fuoco prima che lambisca irrimediabilmente il nostro Paese, così legato, così vicino, così
omogeneo a quell’area?
E’ giusto salpare per un’operazione di solidarietà che tuteli non un bene di frontiera bensì una vitale
terra di nessuno e quindi di tutti?
E’ giusto togliere mine che altri hanno posto, quindi essere con la nostra marina dentro un’idea
difensiva, la stessa che ispirò la partecipazione umanitaria in Libano?

Se tutto ciò è giusto, come lo è infatti, non ci sono interessi paralleli che possano deteriorare la
missione dei cacciamine italiani in uno scacchiere che Khomeini e Gheddafi hanno reso più nevralgico
che nel passato. L’autonomia o la subalternità di una politica estera dipendono dal suo ruolo e dai suoi
obbiettivi, non dal gioco degli allineamenti e degli interessi trasversali.
Anche bere la Coca Cola fa il gioco di Reagan, ma è un male? La domanda che conta oggi è sempre la
stessa, a cominciare dai caccia mine.

agosto 1984