1984 agosto 04 La nazionale di calcio battuta dal Costarica

1984 agosto 04 – Senza pudore
La nazionale di calcio battuta dal Costarica
Mauro Numa lo conosco benissimo, da tempo gli si poteva indovinare l’oro negli occhi, penetranti,
ottimisti, neri di luce. Quando, pochi giorni prima dell’Olimpiade, la Rai ha presentato l’ipercittà di
Los Angeles mandando la telecamera a zonzo dal finestrino di una Fiat, al volante hanno messo lui,
Numa, con accanto Dorina Vaccaroni. Questo giovane di Mestre ha disinvoltura, tanto che non so se la
pedana sia la sua vita o se la vita gli funga da seconda pedana.
E’ calmo fino all’ultima stoccata perché sta in armonia con le cose: c’è chi vince bruciando stress come
cherosene e chi riesce a domare anche l’energia interiore. «Quando vinco mi sento un Dio», mi disse
tanti anni fa David Wottle, mattocchio americano che diede la polvere a tutti sugli 800 e lo riconoscevi
a un miglio di distanza perché non si sarebbe tolto il berrettone nemmeno davanti a Dio.
Mauro Numa, Daniele Masala, gente che attraverso lo sport migliora anche la società, un sasso buono
buttato nel mare delle emozioni collettive. Una sera a cena ad Asolo, Masala mi confessò: «il mio sport
è come un segreto, a volte mi stupisco che qualcuno si ricordi di me». Non appena ha sentito in mano
l’oro del pentathlon, la sua dedica è stata: «a mia moglie», così il segreto può benissimo continuare.
A me il calcio piace tantissimo, ne scrivo da più di vent’anni, ancor oggi mi piacerebbe ritrovare
Odillo, Pino, Manlio, Bob, Giancarlo e rigiocare goliardiche che piuttosto di lasciarti andare in gol ti
pianto il gomito sulla carotide. Ma ogni volta che mi sono incontrato, soprattutto alle Olimpiadi, con
tipi dello spessore di Numa e dei Masala, ho anche sospettato che il troppo denaro, i troppi titoli, le
troppe carezze abbiano troppo spesso privato il calcio di gente altrettanto giusta.
Come si fa a perdere Los Angeles una partita con il Costarica? Sì, perché anche questo è accaduto, che
l’Italia campione del mondo si sia fatta battere uno a zero da un Paese di tre milioni di abitanti, di
trecento calciatori in tutto contro i nostri due milioni, di atleti part-time con il gol di un tale Rivers che
è matricola universitaria mentre il «capitale» a disposizione di Enzo Bearzot raggiunge i 60 miliardi.
L’Italia non è eliminata, quindi non si tratta di Corea, il bis del 1966, ma mai qualificazione sembrò un
insulto tanto vistoso al comune senso del pudore. I casi sono due: o hanno voluto perdere o non sono
riusciti a vincere e nemmeno a pareggiare. Qualunque sia la verità, non ha immagine, non ha senso, fa
cader le braccia. Mai a un’Olimpiade il Costarica aveva vinto una partita: abbiamo fatto storia, quella
degli altri.
Ha commentato Bearzot: «Nel secondo tempo bisognava sfondare il muro del Costarica». E’ un vero
peccato assistere allo smarrimento d’ironia in un tecnico bravo, in una persona per bene. Questa Italia
non doveva andare a Los Angeles, perché eliminata, e soltanto ripescata dopo il boicottaggio dell’Est.
Questo tecnico avrebbe dovuto al massimo fare il turista perché non va all’Olimpiade, non deve
andarci, l’allenatore professionista del Paese più professionista che ha vinto il titolo mondiale del
campionato più professionista.
Chissà, il pugno in faccia dei part-time di Costarica finirà forse con il far reagire la Nazionale. Ma
oramai è un po’ tardi; persino ciò che pare oro può essere soltanto similoro.
agosto 1984