1970 luglio 24 E’ sicuro: Mandelli se ne va

1970 luglio 24 (Il Gazzettino)

E’ sicuro: Mandelli se ne va

Mandelli abbandona il calcio: mercoledì prossimo, al Consiglio federale, ne darà comunicazione
ufficiale. Fino a ieri la notizia appariva possibilista e contradditoria. Lo stesso Franchi, intervistato
dal quotidiano sportivo torinese, ha dichiarato: « Temo che Mandelli se ne vada. Mi auguro,
naturalmente, di sbagliare ». Franchi invece non sbaglia. La decisione è garantita al 100 per 100 e
sarà irrevocabile.

Ho parlato al telefono con Mandelli: « Dirò tutto mercoledì prossimo ». Ed ha aggiunto: « Dopo
quanto è successo, dovrei avere a disposizione per il calcio il doppio del tempo che ho avuto finora.
Invece mi ritroverò con… metà tempo ». Mandelli si riferisce all’incarico di vice presidente degli
industriali del Piemonte: nuova responsabilità che gli negherebbe spazio per l’hobby azzurro. Non si
tratta di comodo alibi. Ma le recenti polemiche, condite di lacrimevoli cacce alle streghe hanno
sicuramente lasciato il segno.

Mandelli non è tipo tenero: ha sempre risposto con silenziosa durezza agli interessati assalti
portati alla diligenza della Nazionale. Ha potuto rispondere proprio con la forza del « dilettante »,
del personaggio non condizionato alle esigenze della pagnotta. Eppure il linciaggio post Messico,
condotto con bile autentica da certa parte della critica, deve aver scavato profondamente nella
psicologia di Mandelli. Un dirigente che crede nel dialogo, nella dialettica, nella conduzione
collettiva, nel valore sociologico del football, non può non reagire scetticamente alla demagogia
infantile: quella che trova lo « sporco » sotto ogni panchina; quella che strumentalizza un errore
(tattico) per distruggere un telaio (di uomini).

Edmondo Fabbri, che porta ancora ampie ferite azzurre ha dichiarato: « Io un consigliere come
Mandelli non lo avrei mai rifiutato ». Ammissione significativa proprio ora che Mandelli se ne va e
non « conta » più nulla. Fabbri ha aggiunto: « C’è una organizzazione collaudata, che in quattro
anni ha dato grossissimi risultati. Cambiarla per quale motivo?! ». I risultati sono la Coppa Europa
’68 e il secondo posto in Messico: due risultati sui quali nessun italiano, mai, avrebbe scommesso
una lira, né due anni fa, né due mesi fa. In questo quadro, Mandelli ha occupato un posto tanto più
influente quanto più discreto. Gli errori, inevitabilmente commessi, hanno sempre offerto il
beneficio della discussione, del ripensamento, in un settore passionale e dogmatico come quello
della Nazionale.

Ramsey, buttato fuori al secondo round, riceve il « ringraziamento » del Primo Ministro e gli
applausi del pubblico inglese; Mandelli assottiglia la pattuglia dei « dilettanti » del calcio italiano,
costretto quasi a « vergognarsi » del secondo posto. L’immaturità delle sovrastrutture del football
nostrano appare radicale. Qualche giorno fa, ad un dibattito organizzato a Piove di Sacco (dibattito
al quale partecipai con Alfredo Toniolo, della Gazzetta del Popolo), Toniolo disse: « il difetto di
Mandelli è di non riuscire simpatico, di non possedere comunicativa ». Per qualche sorriso in meno
e per qualche silenzio in più, un dirigente preparato rinuncia. Che malinconia.