1970 dicembre 3 Una panchina difficile

1970 dicembre 3 (Il Gazzettino)

Anche con Liedholm e Cadè
Una panchina difficile

DAL NOSTRO INVIATO
Verona, 2 dicembre
Per i nostri lettori, l’esonero di Renato Lucchi, avvenuto questa mattina alle 11, non è notizia
sorprendente. Molte volte avevamo riferito, senza ipocrisie, come i rapporti tra il presidente
Garonzi e il tecnico si stessero deteriorando. Non tanto sul piano personale (secondo cliché
sempliciotto, personaggi molto caratterizzati non potrebbero convivere), quanto sul piano della
popolarità.

Garonzi, azionista solitario, gestore unico del potere, dirigente totalitario, adora la mancanza di
un Consiglio di amministrazione che lo condizioni. Con il pionierismo di tutta la gente che ha
costruito dal nulla, nella fatica di anni, il proprio poderoso posto al sole sociale, Garonzi non
concepisce nemmeno la conduzione della società senza i pieni poteri. Lo stesso personaggio, però,
proprio perchè monarca del football, proprio perchè esclusivista, proprio perchè paternalista (« mi
consiglio con tutti, ma decido e pago da solo »), è anche demagogo. E’ più di tutti sensibile agli
umori della base. Garonzi può sopportare qualsiasi cosa, ma non che gli siano schierati contro, con
fusione compatta, sia Piazza Brà che i popolari dello stadio. E, a difendere Lucchi, oggi, non era
rimasto nessuno, della base.

Indipendentemente dalle giustificazioni di Lucchi e da una diagnosi tecnica non qualunquista,
credo che Garonzi sia sincero soprattutto quando afferma: « Devo togliere un ostacolo tra me e il
pubblico ». Il presidente non pensa soltanto ai fischi cronici, di ogni domenica. Si riferisce anche
alle polemiche quotidiane; anche alla paura degli incassi in discesa. « L’anno scorso — spiega —
chiudemmo la gestione con ventisei milioni di passivo. Quest’anno, se continuiamo così, finiamo
con un centone tondo ».

Verona non possiede una panchina facile. Non lo fu per Liedholm, uno dei migliori tecnici
d’Italia. E Garonzi si pentì pubblicamente di quel contratto stracciato. Non lo fu per Cadè, « lasciato
andare » a Torino. Non lo è stata per Lucchi, personaggio rimasto sempre estraneo a Verona,
nonostante non trascurabili qualità. Da Liedholm a Cadè e Lucchi, pur nelle nette divergenze, esiste
però un filo conduttore: si è sempre posta l’attenzione agli stress che dividono più che al lavoro che
unisce. Perciò, dicevo, panchina difficile e ambiente difficile.

Lucchi, per lavoro e impegno ne esce con le mani pulite, nonostante lacune tecniche e una grave
non-intuizione nei confronti di Liguori. Garonzi d’altra parte, ne sono stato testimone, ha agito con
cautela, responsabilizzando i giocatori. Non ha esonerato Lucchi con cattiveria, con livore,
d’impatto come i faziosi speravano. E’ arrivato, attraverso un parto cosciente, alla scelta che aveva
pensato e minacciato spesso. Ma che soltanto oggi, alle 11, ha saputo ufficializzare, per dare
ragione al « popolo, mio padrone ».

Lo ha spinto anche la paura autentica che Lucchi non riuscisse a sterzare, a ritrovare gioco, ad
uscire dalla zona-retrocessione. Garonzi era partito con il programma estivo di un campionato
supertranquillo, addirittura da sesto-settimo posto. Dice un vecchio proverbio: « Ai voli troppo alti
e repentini sogliono i precipizi essere vicini ». Garonzi, forse, conosce il proverbio e ne ha avuto
paura. Ha pensato ad un uomo nuovo, di casa, Pozzan Ugo.