1970 dicembre 10 I quattro motivi della delusione

1970 dicembre 10 (Il Gazzettino)

I quattro motivi della delusione

Scontata mediocrità dell’Eire, formazione immobilista, assenza del match-winner e complesso
di superiorità

Mister Meagan ha dichiarato ieri, dopo aver letto i giornali: « Chi vince ha sempre ragione e gli
italiani, in fondo, stanno vincendo da un pezzo ». Meagan è più realista di noi tutti. Mi dicono che,
vista in Tivvù, la partita sembrò mediocre fino al midollo. Pure a chi stava a Firenze, è sembrata
tale, cioè povera e languida. Ma si può costruire una « teoria » della Nazionale su un match con
l’Irlandetta? Non mi pare: e della stessa opinione mi è sembrato proprio il pubblico di Firenze (nb:
pubblico ipercritico, di palato eccentrico). Un pubblico che non ha fischiato mai e che, nel momento
di maggiore atarassia della squadra (a metà ripresa) si è limitato a scandire il nome di Anastasi:
« Pietro, Pietro! ».

Molti critici si sono sorpresi molto del « patriottismo » del pubblico. Personalmente, non mi
sono affatto sorpreso, perchè credo che il pubblico di Firenze abbia esattamente capito la partita,
sotto la scorza. In che senso l’ha capita?

1) L’Irlanda da tre anni non vinceva una partita. Recentemente aveva pareggiato 1-1 con la
Svezia a Dublino e perso stretto (1-0) a Stoccolma, ma, in definitiva, era data come squadra di
pellegrini. Anche perchè il Ct irlandese non poteva contare su tre giocatori veri e, in totale, su
almeno sei défaillances. Quindi, la partita era in partenza da vincere: e da vincere nettamente. Tanto
che Fulvio Bernardini disse l’altro giorno a Valcareggi: « Se non vinci con cinque gol di scarto, ti
tolgo il saluto ».

2) Non ho mai capito le posizioni dei conservatori per partito preso e dei progressisti
massimalisti. Credo che vada cercata, partita dietro partita, la formazione « più forte »,
indipendentemente dai dati anagrafici dei giocatori: senatori o boys stanno bene tutti purché, tirate
le numerose somme della Nazionale, riescano ad incarnare scelte logiche. Solo che Valcareggi
adora l’immobilismo, perchè vince, perchè fa risultato. Contro l’Eire, ci poteva stare un Cera a
centrocampo; ci poteva stare, se non Cera, un Biasiolo; ci poteva stare un Anastasi. Lo possiamo
ripetere oggi, parche l’abbiamo detto « prima », prima del risultato.

3) Era la prima partita che si giocava senza Riva. Da un bel po’ insomma, il telaio azzurro era
condizionato ad un certo schema, « su-Riva ». Non solo tatticamente parlando, ma pure sul piano
delle influenze personali. Sono rari, in Europa, gli autentici match-winner, del genere di Eusebio.
Cioè giocatori che, oltre a risolvere le partite, riescano pure, per temperamento ed autorevolezza, a
contagiare i compagni. Gigi Riva, in questo senso, match-winner lo è dalla testa ai piedi. Giocarci
senza, vale una solida perdita di virilità offensiva.

4) L’Italia esce ancora calda dalla Coppa Rimet. Esce da un secondo posto che è valso ai
giocatori undici milioni di premio-Messico pro-capite (anche se, finora, hanno incassato soltanto un
milione a testa). Voglio dire che, nonostante la mediazione di Berna e Vienna, la vecchia guardia
azzurra scende in campo con lo spirito « d’altitudine »: non più respiratoria, ma psicologica. I
« vice-migliori del mondo » soffrono complesso di superiorità. Significative le tesi dello spogliatoio
italiano: la colpa era degli irlandesi che avevano fatto ostruzione e catenaccio; « contro squadre che
non giocano è difficile giocare ». Cioè i soliti ingenui alibi alle proprie lacune, di formazione e di
schemi.

La scontata mediocrità dell’Eire; una formazione immobilista; l’assenza di un agitatore come
Riva; lo spirito di vice-campioni del mondo: tutto ciò ha creato le premesse per una partita strana,
dove soltanto un’Italia di grandi schemi (che invece non ha mai posseduto) avrebbe potuto vincere
con cinque gol di scarto dando autentico spettacolo tattico. Perciò, credo, il pubblico di Firenze non
ha fischiato. S’è realisticamente reso conto che era una partita feriale, con un sacco di lacune
croniche.

Basta poco, nel football, per trasformare letteralmente una partita. Per la stragrande maggiorana
dell’opinione pubblica, basta qualche « tocco » in più di Gianni Rivera a trasformare creta in
cristallo. Allora, metteteci, nella squadra anti-Eire, lo sprint in più di Anastasi nelle gialle sgobbate
di Domenghini; metteteci la verve di Biasiolo nel ruolo burocratizzato da Bertini; o spostate magari
la limpida geometria di Cara alle spalle di Mazzola. Aggiungete poi un Ct che insista di più e
meglio, in fase preparatoria, alle esigenze tattiche della partita: insista cioè sull’esigenza di un gioco
allargato; per dei cross degni di tal nome; per una manovra che non finisca sempre strangolata al
centro. Fate un cocktail rapido di tutta questa mescita e ne potrebbe uscire una partita già
globalmente « diversa ».

Quanto allo « spettacolo », nel significato demagogico che viene in genere attribuito a questo
sostantivo, vietato illudersi. Tutte le squadre italiane. Clubs o Nazionale che siano, vivono (nei
match internazionali) di conati estetici; di rapide azioni contropiedistiche. Raramente incantano,
anche perchè sono proprio i Clubs a (raramente) incantare in campionato. Il Cagliari, campione
d’Italia, va in trasferta a Vicenza, dove Lanerossi respira nel polmone d’acciaio della quasi-
retrocessione: e ritrovi un Cagliari aggredito; in difficoltà per 70 minuti; sparagnino e furbo, in
attesa di Riva. E’ anche questione di mentalità di base. Perciò, non soltanto contro l’Eire, ma spesso
la Nazionale italiana delude.

Del resto, siamo sinceri: sulle pareti dell’Estadio Azteca, a Città del Messico, sta incollata una
lapide che dice: « qui fu giocata la partita Italia-Germania ». Quel giorno straordinario si parlò di
partita del secolo. Ma che partita, sarebbe stata senza i tempi supplementari?! Al novantesimo
minuto, la Germania aveva creato qualcosa come quindici palle-gol contro due e, nonostante
Beckenbauer seminfermo, dominò tutta la ripresa. Fosse finita al novantesimo con la sconfitta della
Germania, quella partita l’avrebbero ricordata tutti: ma come furto estetico. L’Italia, meritò tutto, dal
primo al 120. minuto sul piano agonistico e atletico. Ma in realtà, furono i « tempi supplementari
del secolo » non la partita. Eppure quella è già storia. Pietra miliare. Il football, basta un click,
cambia faccia. E la faccia anti-Eire è rimasta sempre faccia feriale, da dopolavoristica partita a
bocce. Mettiamola in archivio. Aggiornando le lezioni. Senza farcene un’ossessione. Non è il caso.