1972 settembre 5 Oro-bis di Borzov, Mennea è terzo

1972 settembre 5 – Oro-bis di Borzov, Mennea è terzo

In completo azzurrino da cowb oy, Pietro Mennea ha fatto colazione stamattina alle 11. Ha
passeggiato un po’ con un amico ed è salito in camera, pisolando per un’ora. Quando è ridisceso, per
andare all’appuntamento con i duecento metri, un tecnico nostrano ha sussurrato: “ Oggi fa i 20” sui
duecento li fece lo statunitense bianco Sime, sedici anni fa, ma in rettilineo, che è la zona buona di
Mennea, visto che in curva non ci sa ancora fare al maximum, forse perchè corre ad anche basse,
con passo largo, furente, propenso alla “ sbandata ” da forza centrifuga.
Sui duecento, il primato mondiale, incommensurabile, appartiene invece ad un negro, Tommy
Smith, che fece 19”8 nella scarsa resistenza d’aria di Città del Messico, quattro anni fa. Un record
di quelli che sembrano destinati a durare, anche se di “ eterno ”, in atletica restano per ora soltanto
gli 8,90 metri ( provate a pensarci un attimo, 8 metri e 90) di Beamon nel salto in lungo.
Aveva sofferto in semifinale uno stiramento all’inguine, ma con la vocazione alla sofferenza tipica
degli “ Zio Tom ” di tutti i tempi, Tommy Smith sbalordì i cronometri, correndo gli ultimi 50-60
metri a un ritmo che gli procurò un solo sostantivo: jet, dalla pelle scura.
Il filo del ricordo galleggia ora a Monaco, e sono quasi le 15 mentre lo speaker annuncia la prima
semifinale dei duecento. C’è sole, vento che varia spesso sul rettilineo. Temperatura ideale, anche se
stamattina Raimondo D’ Inzeo ha osservato: “ La pressione qui a Monaco mi pare molto ballerina: il
mio secondo cavallo ha sofferto perfino uno scompenso cardiaco ”.
Ci sono più assi nella prima che nella seconda semifinale. Le corsie sono assegnate per sorteggio:
Borzov in ottava, Smith in terza, Burton in sesta, Quarrie in quinta, Matousek in settima.
Il vento tira a favore, di 0,4 metri al secondo. Quarrie “ salta ” subito, clamorosamente, e la
Giamaica perde così il suo Berruti. Occhiali stretti alla nuca, Burton esce dalla curva fresco come
una rosa. Gli ultimi 50 metri sono di Borzov che, sul traguardo, frena sui talloni con il corpo
all’indietro, mentre Burton ( secondo in 20”8) lo guarda e, quasi sul fotofinish, gli parla, come per
dirgli “ piano, piano, Valery, c’è anche la finale!”. Borzov lo guarda stupito, non risponde e ritorna
al suo box, con 20”7.
La seconda semifinale ha valori più agibili, per Mennea, si intende, in settima corsia, con vento
contrario, di 3 metri circa al secondo.
La prima corsia tocca a Larry Black, il negro che il 2 giugno scorso a Billings corse due volte in 20”
netti e, un paio di volte che fu battuto, ebbe l’alibi reale di leggeri stiramenti.
Come ieri nel suo quarto di finale, Mennea parte soffice, sta intruppato in curva e, come Borzov,
attacca soltanto in rettilineo, come se la curva fosse il suo elastico, per lanciarlo. Black è primo in
20”4, Pietruzzo sul fianco con 20”5, e lo sguardo laterale a controllare gli altri. Non ha faticato
moltissimo e un sorrisino gli scappa, sotto la tribuna, dove sono presenti moltissimi italiani, gli
stessi che scandiscono la serie dei 1500 vinti da Paola Pigni.
Sono le 15.24 quando abbiamo i nomi degli otto finalisti. Due tedeschi orientali ( Schenke e Zenk),
un tedesco ovest ( Jellinghaus), un sovietico ( Borzov), un italiano ( Mennea): questa è l’Europa,
cinque su otto. La bandiera-Usa sta al petto di tre negri ( Black, Smith e Burton).
Mennea di Barletta ottiene la seconda corsia, stritolato tra Black e Smith, in prima terza. Borzov ha
la quinta. “ Quando corri – dicono gli americani – non conta il tempo che fai, ma chi batti ”. Ora,
alle 17.40, Mennea corre soltanto per vincere dopo due giorni di scatti al risparmio, con l’unica
intenzione di essere qui oggi, nell’aristocrazia mondiale dei 200.
I tre negri Usa hanno fisici strapotenti: Burton è alto un metro e 88; Black e Smith un metro e 86. Il
peso oscilla dagli 80 chili agli 86. In confronto a loro, Mennea è un “ piuma ”.
Adesso sono in pista, ancora in tuta, mentre attendono il segnale per mettersi ai blocchi di partenza.
Mennea aspetta questo momento dopo un mese di ritiro, forse troppo, tale da ossessionare.
Purtoppo gli leggo un’ emozione tremenda. Ha l’aria afflitta, respira spesso a fondo, come per
buttare fuori la paura. Si spoglia talmente presto che, un giudice gli fa segno di stare calmo, che non
c’è fretta.
Lui fa dietrofront su e giù per la pista. I negri hanno sguardi di felini pronti ad aggredire.

Borzov passa la lingua sulle labbra, ma mi pare il più sereno: la sua grande forza è di avere già
vinto i 100, di essere già nell’albo d’oro, di essersi scaricato e di dormire da due notti in pace.
Avesse corso anche Mennea i 100, forse ora la sua faccia avrebbe più colore.
Il vento sente il momento e sparisce: l’anemometro segna 0,0. Via le tute e ai blocchi, per uno sprint
che giudico di bellezza superiore ai 100, perchè consente un gioco, una variazione di temi, perfino
una tattica e non è soltanto lampo, “ blitz ”.
“ Alla partenza, – dice Jesse Owens – i polmoni, sono li per scoppiare; allora sparisce tutto dalla
mente, proprio tutto ”. Lo starter dà la partenza. I più fulminei sono Smith e Borzov. Mennea è
lento, molto lento, lui stesso confessa che soltanto il tempo gli darà più “ sparo ”.
Ma il momento peggiore, quasi crisi, di Mennea è ora la curva, dalla quale esce sesto, forse settimo!
Mordo le mani per il dispetto, ma mi ritrovo due secondi dopo in piedi, qui a pochi metri dalla linea
del traguardo, perchè sul rettilineo Mennea si è sbloccato, ha perso il nodo in gola, ha accelerato,
spingendo d’anche, rabbioso, mentre Borzov e Black si giocano l’oro nello spazio di un decimo di
secondo.
Equilibrato, di esemplare fluidità stilistica, Valery Borzov ha vinto ancora, in 20” ( esattamente
19,99) che sono il nuovo record europeo, migiorato di due decimi. Ha vinto ancora lui, prodotto
ottimale dell’istituto di educazione fisica di Kiev, dove si è costruito come sprinter degli anni
settanta, dopo essersi dedicato al salto i lungo. La sua vittoria sui 200 testimonia anche che, tre
giorni fa nei 100, nemmeno Hart l’avrebbe forse battuto.
Dopo Borzov, Larry Black in 20”2 ( quindi, tutto sommato, “ distante ”): il ventunenne colored di
Miami, non può nascondere una delusa sensazione di impotenza. Terzo, con la medaglia di bronzo,
Mennea, in 20”3.
Gli italiani lo applaudono come avesse vinto, ma lui abbassa il capo; gli urliamo “ bravo ” e scuote
la testa, con una smorfia che ne accentua il profilo “ alla Totò ”.
A Milano, mesi fa, era riuscito a correre più in fretta e adesso, il bronzo non gli basta più. Imbuca il
sottopassaggio con una grande voglia di lacrime. Soltanto quando rientra sul podio, per la
premiazione, ritrova stima per una medaglia che ha sapore pieno.
Schierati durante l’inno sovietico, un negro americano, un biondo ucraino e un viso pallido italico
sono il meglio di una specialità che nasce con l’uomo, camminare e correre. Lo applaudiamo anche
noi senza delusione, consapevoli di avere un grande campione, classe 1952, buon ragazzo di
Barletta, Piero Mennea, medaglia di bronzo a Monaco, terzo, non dimentichiamolo, davanti a due
pantere Usa e a tre atleti tedeschi.