1969 novembre 7 Evitare a Riva la fine di Pelè

1969 novembre 7 (Il Gazzettino)

Evitare a Riva la fine di Pelè

Pelè è l’uomo dei mille gol, « o rey ». In Svezia, nel ’58, il mondo scoprì che il puma può giocare a
football: gli stessi riflessi, le furbe souplesse, le agili zampate, mortali come i gol. Quattro anni
dopo, in Cile, Pelè stava in panchina: bruciato dagli ematomi, uno sull’altro, dall’usura, dall’obbligo
dì essere sempre e comunque « vedette »: un campo di calcio come Broadway, e repliche che
durano anni. Il Brasile fu ancora mondiale, praticamente senza « o rey », con Amarildo partner
ambizioso esploso a protagonista. Ma il Brasile fu mondiale con fatica (in un anno di valori
mediocri) con un arbitro, match contro la Spagna, messo poi a riposo per gravi sospetti
pubblicamente denunciati dalla stampa: fu precisata perfino la cifra in dollari.

A Londra, nel ’66, Pelè entrò in campo contro la Bulgaria, prima partita del girone C. Segnò
dopo quindici minuti. Il suo marcatore si chiamava Zhecev: il bulgaro brutalizzò Pelè, gli zompò
addosso con violenza canagliesca. L’arbitro tedesco Tschenscher non protesse « o rey » e Pelè finì
in infermeria, indisponibile per il match decisivo contro l’Ungheria. Brasile subito eliminato. Pelè
dichiarò: « Basta mondiali! Non mi lasciano giocare. Entrano in campo per rompermi le ossa, con
premeditazione ».

La nazionale italiana non può ignorare gli esempi. La nazionale deve impedire che Riva faccia la
fine di Pelè. In che modo se Riva, il lombardo, segna quindici gol in tredici partite e non si
mimetizza mai? Costruendo la nazionale « su Riva », ma non « soltanto » su Riva. Mi diceva l’altra
sera a Roma Manlio Scopigno: « Riva ha bisogno di essere operato alle tonsille. E’ già da un pezzo
che rinviamo l’intervento, ma le febbriciattole si ripetono. Ora non possiamo più aspettare: c’è lo
scudetto da difendere. Nella settimana della … Germania Est, lo farò operare, succeda quel che
succeda. » Tocchiamo ferro, speriamo che il nazionalismo riesca a bloccare il bisturi sennò ve
l’immaginate il sistema nervoso dei nostri ragazzuoli in campo a Napoli senza il « piede sinistro di
Dio », immagine biblica coniata molti anni fa da un giornale di Tel Aviv per Mario Corso, ma oggi
trasferibile di peso su Luigi Riva?

Pelè, interno di punta, volle come spalla al centro Coutinho, grassoccio e lento, capace come
nessuno di funzionare da muro, pelota basca, e restituire il passaggio a Pelè. Il Brasile aveva
centravanti più forti, ma Pelè impose il suo uomo di fiducia. Riva è il centravanti che raccoglie
preferibilmente a sinistra crossa i servizi da destra: solo in questo senso, e nella specializzazione nel
colpire (di sinistro) ricorda il suo ruolo originale, l’ala sinistra. Riva difende la palla con muscoli
eccezionali e potenza che gli nasce dentro, nella mentalità, nella grinta: Riva cade raramente, non
simula mai. Lo facesse, otterrebbe un sacco di rigori. Non è il Pelè della situazione, tecnicamente
parlando. Ma ha lo stesso bisogno di un trattamento preferenziale. Pelè voleva Coutinho, il
paracarro; Riva deve ottenere una variante di potenza, un giocatore con il quale poter dividere
calcioni e rudezze, che, inevitabilmente, si faranno sempre più incisive nei suoi confronti. (A
proposito per gli arbitri italiani seri diventa sempre più obbligatorio proteggere gli attaccanti e Riva,
come patrimonio azzurro, in maniera particolare).

Chi è questo giocatore da allegare a Riva? Un altro lombardo, Prati. Dicono che la coesistenza è
impossibile e non si riesce capire perchè! Ma chi lo dice? Ma che significa? Possibile che Carraro e
Rocco siano dei cretini? Sì, perchè da due anni il Milan vuole Riva. Quest’estate è arrivato a offrire
ottocento milioni in contanti per averlo: e cioè per fame coppia con Prati. Sissignori, coppia Prati-
Riva al Milan con Rivera a infilare corridoi e cross a raffica. Dunque, con Rocco sarebbe stata la

coppia del secolo. Con la nazionale diventa doppione. D’altra parte, non c’è da meravigliarsi.
L’Italia è il paese che ha portato Riva ai mondiali di Londra in viaggio premio, preferendogli
Barison, Pascutti, Perani. Allora, quando attaccavi Fabbri per quella follia pura, i « soloni » del
calcio azzurro, tecnici e critica governativa ti accusavano di seminare zizzania e di turbare
l’ambiente. Cosa da non credere. Se non regaliamo alla nazionale una variante atletica, tecnici e
critica governativa ti accusavano di seminare zizzania e di turbare l’ambiente. Cosa da non credere.
Se non regaliamo alla nazionale una variante atletica, se non togliamo dalle caviglie di Riva
qualche botta, rischieremo alla lunga di trasformarlo in un « martire », come Pelè. E il giorno che
resterà in panchina, con le ossa rotte, l’Italia sarà irrimediabilmente orfana, peggio, molto peggio del
Brasile. Il match con il Galles ha suggerito cose abbastanza chiare:

1) Provare Cera nel ruolo di mediano
2) Bloccare con più ordine, e meno cecità tattica, la difesa
3) Considerare Domenghini giocatore tattico, per partite tattiche, non stabilmente
4) Prendere atto che Mazzola è un interno in diretta concorrenza, già dimostrata in coppa

Europa, con Rivera.

Riva e De Sisti sono gli unici due attaccanti indiscutibili. Restano, per tre ruoli, Rivera,
Mazzola, Domenghini, Anastasi e Prati. Un centrocampo-regia equilibrato potrebbe essere De Sisti-
Mazzola (più Cera); Prati-Riva al centro, su un binario unico. E Anastasi o Rivera come terza punta.
Trattandosi di Anastasi, se in condizione fisica, naturalmente, il centravanti della Juve dovrebbe
adattarsi a fare tourbillons, e lo sa fare, partendo più da lontano di quanto ora non faccia. Oppure
Rivera, magari all’ala destra (come decise un giorno il c.t.. Herrera Helenio): non dimentichiamo
che Riva, tre gol all’Olimpico, li segnò sempre smarcandosi, mai dribblando di persona un
difensore, per accogliere a sinistra un cross di Rivera dall’ala destra, poi un passaggio da destra di
Puia, poi un cross dall’ala destra di Facchetti. A Rivera si potrebbe anche dare, come sostiene
Gianni Brera, il numero nove, rifinitore centrale con ampia libertà di azione e senza obblighi tattici.
Il « Domingo » si tiene in panchina e sarà sempre pronto.

Ma occorre più indipendenza dai vecchi schemi per valutare la vera « forma » dei selezionati. E
occorre uscire anche dallo spirito di clan. I Ferrante, Chiarugi, Capello, Corso, Biasiolo o Bui, baby
o seniores che siano, vanno inseriti sul serio nel giro azzurro. Perchè lo specchio del calcio
nazionale è molto più largo di quanto la stanza dei bottoni voglia far intendere da Coverciano.
Meglio pensarci quando si vince.