1969 ottobre 10 La boxe in Parlamento

1969 ottobre 10 (Il Gazzettino)

La boxe in Parlamento

Un gruppo senatoriale ha proposto in questi giorni di sottoporre la boxe professionistica italiana
ad inchiesta parlamentare. Questa la motivazione: « La colpevole utilizzazione, da parte di
organizzatori e procuratori sportivi senza scrupoli, di atleti ormai fisicamente logorati da una lunga
attività pugilistica; i numerosi quanto inspiegabili silenzi delle autorità sportive in occasione di
clamorosi episodi di inettitudine da parte di arbitri, procuratori, allenatori e organizzatori; la
situazione di abbandono nella quale vengono lasciati i pugili al termine della loro carriera ». Il
progetto di legge pro-inchiesta cita, tra le recenti esemplificazioni, il « no contest » Mazzinghi –
Little; la « farsa » Duran – Schwartz; la « squalifica » Benvenuti – Scott. Tutti match che hanno
ridato ossigeno allo scetticismo, al sospetto, all’insofferenza dell’opinione pubblica e della critica.

La politica che aggancia lo sport per giudicarlo ci lascia in genere perplessi. Forse perché c’è
sempre il rischio di un giudizio occasionale, dato dall’esterno. Le frequenti interrogazioni sulla
partita x o y, su episodi di intolleranza nel football, appaiono per esempio qualche volta
sproporzionate, nei confronti di un fenomeno social – sportivo che vede impegnati ogni domenica in
Italia ottomila società, quattrocentomila tesserati, per quattromila partite e milioni di spettatori. Ma
peccheremmo anche noi di spirito di casta, se rifiutassimo a priori la legittimità dell’interesse
politico allo sport. C’è un « confine alla libertà » (non segnato, ma quotidianamente avvertibile) che
nessuna attività sportiva può superare, innestata com’è nell’habitat sociale. La boxe, appunto,
sembra aver superato questo confine dettato dal costume.

La situazione – Usa insegna: organizzazione come racket; il ring prolungamento della sala –
scommesse; gli abbinamenti logici soltanto nel gioco delle borse; il doping per dettare la quotazione
giusta; il pugile come un cavallo inebetito, mai solo, sempre « moltiplicato » nei sciacalli di
camerino, di contratto, di sottobosco inafferrabile o quasi. Una commissione del governo Usa
conduce indagini stabili, interroga, gratta a fondo (persino l’estraneo Nino Benvenuti fu chiamato a
deporre lungamente). L’inchiesta insomma come espressione del pessimismo della Comunità.

La boxe italiana non è ancora a questo punto. Ma gli episodi « strani » crescono,
l’insoddisfazione istintiva del pubblico pure. Per i pugili dai guantoni puliti, per gli organizzatori dal
contratto onesto, per tutta la gente che si nutre del ring senza vampirismo, la proposta di inchiesta
può diventare una verifica qualificante, attesa. Guardiamoci negli occhi con sincerità, sportivi e no,
per la boxe o contro la boxe: non c’è oggi combattimento professionistico che non sollevi dubbi
inquietanti, interrogativi mai sciolti. Diamo al mondo del pugilato italiano « l’onere della prova », il
compito di cancellarli tutti questi dubbi, in un’indagine con poteri reali, non soltanto, questo il
punto, superficialmente informativi. Non ritroveremo il paradiso perduto, se è andato perduto, ma
sarà una strada sensata per cercare la verità. Per restituirci almeno un pizzico di credibilità.