1968 giugno 1 Motta di nuovo amico del divoratore di ostriche

1968 giugno 1 (Il Gazzettino)

Duecento testimoni della pace armata con Altig
Motta di nuovo amico del divoratore di ostriche

Nessuno sa urlare al Giro come i bambini – A piedi nudi sul ponte di Bassano – Il pettinino di
Koblet – Schermo come una calamita – A Lavaredo si rischierà l’arresto

(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)
Trieste, 31 maggio
« Oui, très bon, fort…, oui, ce matin a Bassano ». Così, mentre avviene il tutto-in-testa di Guido
Reybroeck (gregario di Merckx), due colleghi dello svizzero « La Suisse » parlavano di vini. E’ il
commento tecnico ad una tappa senza pigrizia, ma « in gruppo ».

Qualche giorno fa il professor Bassani di Milano toglie la maglia a Gianni Motta e gli piazza due
mani lungo la colonna vertebrale. Bassani, ha il copyright della chiroprassi, una terapia con
manipolazione d’urto, violenta. Scopre che Motta ha un paio di vertebre fuori alveo. Pressione di
due pollici: tutto ok. Ma il dolore non passa completamente: « Dev’essere una cartilagine, magari un
frammentino ». Il dolore, come un filo di corrente, scende lungo la coscia, sono in molti a sorridere;
non credono a Motta; fa la manfrina alla Suarez o Bulgarelli che sia. Il corridore biondo, l’anti-
Gimondi, ha la faccia scavata. Due occhi come due lacrime. Io gli credo.

Che è successo ieri, mentre barcollava in salita? Altig: lo marcavo e basta. Motta: è convinto che
lo abbia mandato via io dalla Molteni e si vendica, ma nelle condizioni in cui sono è come picchiare
un bambino. Di Rudy Altig, questo atleta wagneriano ricordo un episodio soltanto. Ristorante
« L’assassino » di Ottavio Gori (lo zio del Bobo, quello dell’Inter in prestito al Lanerossi): allo
stesso tavolo, la sera precedente la partenza della « Sei giorni » di Milano, stanno Altig con amici e
Schnellinger mit Frau. C’è un carrello pieno di roba che passa ogni cinque minuti. Non esagero.
Dopo un quarto d’ora Schnellinger, il terzino di Nereo Rocco, si alza e viene al mio tavolo.
Spalanca le braccia: « Fieni a federe: Rudy ha manciato antipasto di fentidue ostriche, poi io non
dico quante braciole. Se io mancio due ostriche, Rocco mi ha fucilato. Allora io non capisco più
niente di dieta. Non serve niente! ».

Altig se ne andò dopo un paio d’ore. Fumante, appena uscito da una armatura, capelli d’oro fuso
e una faccia di fragola. Motta ha gli occhi dei torrenti bellunesi. Uno sguardo evanescente, indifeso.
Sono distanti l’uno dall’altro venti metri, alla partenza da Bassano. Il ponte degli alpini, fragile,
anchilosato da un’alluvione. Quando gli si cammina sopra vien voglia di togliersi le scarpe e di
continuare a piedi nudi, in punta di dita. C’è Facetti, che ha ricostruito meglio di tutti il « caos ».
Transita Pezzi, li « capo » di Altig. Facetti gli chiede: « E allora? Viene questa pace? Andiamo, non
fate i bambini ». Pezzi: « Non riesco trovar nessuno ».

Siamo tutti lì, duecento persone in trenta metri quadrati. Facetti: « Va bene, ho capito, è la solita
buffonata ». La pace (armata) è fatta in qualche maniera. Sono le undici meno qualche minuto. E’
ora di partire. Esco dal ponte con le scarpe in mano. Mentre salgo in macchina, un collega mi dice:
« Brera ha trovato Gimondi pallido ».

E’ tutta liscia questa tappa. La radio di bordo continua a ripetere di correre, correre, perché la
media è alta. Incontro un pubblico speciale: le scuole elementari. Ogni paese, ogni borgata. File di
grembiuli neri o tutti bianchi con un fiocco in gola. Il tifo, fino a Trieste, sarà oggi per Gimondi e
basta. Son campanilista fino al midollo, persino fazioso. Strade di casa, a qualche chilometro da

casa. Mi sembra tutto migliore. Un campanile, il vigile, la pubblicità. Le facce. A Caerano San
Marco una siepe, proprio in centro, tagliata bassa a circa 60 centimetri da terra. Dietro, i grembiuli
rosa di decine di bambine e bambini dell’asilo: piccolissimi. Non so avranno tre, quattro anni.
Nessuno sa urlare al giro come i ragazzini di un asilo: non parole urlate, ma un suono indecifrabile.
Il Livenza è verde e profondo. Sul ponte che fa un po’ di schiena alla strada, nel 50, passò Ugo
Koblet. Aveva la maglia rosa. In testa al gruppo. Si alzò. Proprio lì in quel punto, e tirò fuori il
pettinino dal marsupio. Nessuno lo disturbò; lisciò i capelli ed era già passato. Dopo Koblet non si è
più visto un atleta come lui, che gli somigliasse somaticamente, fisicamente. « Ricorda Merckx —
dice un collega — per la stessa sicurezza con la quale “fa” la corsa ». Ma un Ugo Koblet, costruito
in laboratorio, non è più passato per le tabelle del Giro.

E’ una tappa piana, con dribbling di nuvole e una radio piena di scariche. Mentre, ad Annone, si
raccoglie odore di vino, qualcuno pensa già al processo alla tappa. « Il nostro giornale rappresenta
milioni eppure non lo chiamano mai al processo ». Anche questa è corsa, con lo schermo come una
calamita: chi non fa ciak è perduto. Per favore un microfono, dategli un microfono.

Non si son mai viste tante ragazze belle come in questa strada, da Bassano a Trieste. Sono
presenti, ma distaccate. Non curiosano: hanno tutte occhi che « guardano ». Bocche con sorriso
frenato. La gioconda. Gente spessa. Dalle voci che si raccolgono al volo, chilometro dietro
chilometro si fa sempre più marcato l’accento giuliano. Trieste è vicina ma soprattutto incantevole.
Una città da abitare. Quando la Opel sbuca da una galleria di pochi metri, lungo il mare, in discesa
verso il castello, chi pensa al giro? Al caso Motta-Altig o al « tipo » di volata?

Reybroeck, « coperto » sulla sinistra da Merckx, ha vinto facile. Zilioli aggredisce tre birre e un
panino. « Sto abbastanza bene, meglio di ieri ». E Lavaredo? « Ricordo l’anno scorso … ». Il panino
gli mozza il fiato. Alza la mano sinistra dal manubrio e fa uno zig-zag dal basso verso l’alto,
chiudendo gli occhi. Ho capito: si sale a limite-professionistico. Anche per le macchine del seguito
c’è un comunicato speciale della giuria. « E’ vietato assolutamente a chicchessia di fermarsi lungo la
salita… chi farà sosta, verrà trattenuto dagli agenti de polizia stradale … ».

Sì, dev’essere dura, a Lavaredo si rischia l’arresto.