2000 settembre La conversione del Senatùr

2000 settembre ? – La conversione del senatur
Non sapevo come dirlo ma Berlusconi mi ha offerto l’aggettivo giusto: «dimidiato», che colpevolmente
ignoravo. Anche Bossi a Venezia ha fatto un discorso «dimidiato» dalla testa ai piedi, diviso a metà,
una parte dedicata al dio Po e una parte destinata al dio elettorale. Perciò, come sempre del resto, ha
parlato in libertà più che di libertà, ma questa volta attento a dosare i colpi: da quando sta con Silvio
Berlusconi è in libertà politicamente vigilata. Mai sentito sulla Riva dei Sette Martiri, un Bossi così pio,
edificante, tutto Chiesa e famiglia. Roba da togliere la scena al patriarca Cè e da mandare in
sollucchero i cattolici della domenica. E però bisogna onestamente riconoscere che Bossi fa quello che
tentano di far tutti, da sinistra a destra, cioè di offrire l’altra guancia all’elettorato (presunto) cattolico:
nell’esercizio dell’acchiappavoti, chi è senza peccato scagli la prima pietra. Certo, fa una certa
impressione ascoltare in Bossi tanta preoccupazione filiale per la «famiglia naturale», come meglio non
avrebbe saputo fare nemmeno papa Luciani. Il leader della Lega Nord, ai tempi in cui lavorava da solo,
era solito rivolgersi a Karol Woytjla come al «polacco» e considerava la Chiesa suppergiù una
dependance finanziaria di Marcinkus, il prete-dollaro. Berlusconi lo ha convertito. Però, anche qui,
occorre leggere Bossi con onestà, buttando via gli archivi. Oramai è fatta e il centrosinistra deve
farsene una ragione: la Lega abita ad Arcore, fa parte integrante del centrodestra e contribuirà a
conquistare molti collegi del Nord, punto e a capo. L’esercizio di confrontare il Bossi di oggi con il
Bossi di ieri è una pacchia; per quanto uno scavi, saltano sempre fuori confronti inediti, che faranno
impazzire gli storici del 3000. Tuttavia, è un esercizio onanistico, da topi di biblioteca, che non
interessa più nessuno; oramai tutti sanno, soprattutto i leghisti, che Bossi è volubile, cangiante,
trasformista, una ne pensa e mille ne dice, stop. Non fa testo. Resta la politica, restano i numeri in
campo, restano 7/8 mesi per andare al voto: soltanto questo conta, e l’ultimissimo Bossi ha
saccheggiato l’ultima parola che destra e sinistra gli avevano lasciato sul mercato. Devolution, o
devoluzione, per venire incontro ai puristi padani. La secessione è diventata una brutta parola;
l’indipendenza gliel’hanno fatta togliere persino dalla carta intestata di Montecitorio; il federalismo lo
accomuna suo malgrado al «comunista» Cacciari, ergo non rimane che la devolution. Questa vuoi dire
«referendum» e «popolo», dunque ancora un ruolo per la Lega elettoralmente dimezzata, anzi
dimidiata, ma pur sempre un ruolo servito a Bossi su un piatto d’argento dal Parlamento più distratto
della storia repubblicana. Chiedo scusa ai lettori se mi ripeto da anni, ma il problema non è mai stato
l’on. Bossi, né per il Nord né per il Sud e nemmeno per l’unità d’Italia. Bossi è il prodotto di un Paese
conservatore, istituzionalmente decrepito, che teme le riforme più della peste e considera la
Costituzione un tabù. Qualche anno fa, proprio Bossi confessò che, con l’avvento del federalismo, la
Lega Nord si sarebbe potuta sciogliere: barava spudoratamente, ma non sullo scioglimento, bensì
sull’avvento.
settembre 2000