2000 giugno Peccato per quei campioni di Zoff dai cognomi banalmente italiani

2000 – Peccato per quei campioni di Zoff dai cognomi banalmente italiani

Senza stranieri, bisognerebbe rifare la storia patria del calcio. Ma infinitamente in
peggio se è vero che perfino la nazionale più nazionalista, quella sull’attenti con il
saluto romano al duce, vinceva a man bassa negli anni Trenta mettendo in squadra
giocatori naturalizzati, oriundi, per metà italiani e per metà argentini o uruguayani
come Orsi, Monti, Guaita, Andreolo, Cesarini, la legione straniera consacrata senza
ubbie al tricolore. Non parliamo poi dei club, che con un paio d’assi d’importazione
rovesciavano finalmente le gerarchie dei poteri forti. Senza Julinho e Montuori, mai la
Fiorentina avrebbe vinto lo scudetto a metà degli anni Cinquanta come il Bologna,
senza Haller e Nielsen, a metà dei Sessanta. Gol apolidi per il Made in Italy. La classe
contagia soprattutto gli ultimi della classe. Avendo alla regia Suarez, l’Inter riuscì a
far vincere la miglior coppa europea addirittura a Tagnin, acquistato per 5 milioni, a
prezzo di liquidazione.
Il campione (straniero) non ruba mai il posto al campione (italiano). Balle, alibi,
frescacce; se entrambi campioni autentici, semmai si esaltano l’un l’altro come
capitava ad esempio tra Dino Sani e Rivera nel Milan. Oppure tra Zico e il resto
dell’Udinese. A volte, erano le vecchie provinciali a beneficiare gli stranieri. Il Padova
guarì il piede di Hamrin, il Vicenza rimise a nuovo il vecchio Vinicio, il Cagliari alzò
la reputazione di Nené, che non era un’eroina pucciniana ma un brasiliano di falcata.
Ai campioni si chiede talento, senza passaporto, e non sono mai stati gli stranieri il
nostro eccesso, nemmeno con la Corea, minimo storico della nazionale di tutti i
tempi. Allora furono bloccate le importazioni per qualche anno, travisando le colpe
azzurre, che invece erano tutte di un grande mezzo allenatore e di troppi grandi mezzi
giocatori, come li chiamava sir Gianni Brera. Nel nostro campionato, non sono troppi
i campioni stranieri. Troppi sono gli stranieri non campioni.
L’asso genera sempre un’aura. Zidane ha affinato Inzaghi, Thuram migliorato
Cannavaro, Batistuta svezzato Toldo. Parola d’onore che non esagero: Nesta poteva
fare il centrale nel Brasile di Pelé, Maldini il laterale nella Germania di Beckenbauer,
Del Piero il socio di Cruyff nell’Ajax come Totti di Beckham nel Manchester. E
Vieri, ci scommetto, la torre nel Portogallo di Eusebio. Ignoro cosa combinerà il
“gruppo” di Zoff. So, questo sì, che ha parecchi campioni che sembrano stranieri:
peccato per i loro cognomi, banalmente italiani…