2000 Va in archivio un modo di vivere e di guardare

2000 – Va in archivio un modo di vivere e di guardare

C’è un nuovo stadio ma non c’è più il vecchio Padova, c’è il vecchio stadio ma vi
gioca soltanto la memoria. Addio vecchio caro stadio Appiani, è l’ora della ruspa e di
consegnare al piano regolatore della città un’area come tante.
Da spettatore e poi da giornalista, all’Appiani sono sempre stato giovane, che
bellezza. Mi accalcavo in curva o in gradinata aspettando dalla mia Inter i gol che
faceva il Padova mentre grumi di tifosi ruzantini, solari come piazza delle Erbe e
schietti come i macellai sotto palazzo della Ragione, urlavano “luamari” ai miei
costosi idoli nerazzurri. La partita era lotta e festa di classe tra siori e poaréti, con
tutte le variazioni della lingua paleoveneta nel gozzo.
In tribuna stampa, si andava stretti come polli in batteria, pubblico anche noi, fin
dentro il boato. Era come scrivere sotto dettatura, ogni umore popolano finiva dritto in
pagina, alla faccia del distacco critico sempre un po’ snob. Quando l’arbitro fischiava
contro il Padova, un habitué del parterre si girava di scatto dalla rete per gridarmi:
“Lago, scrivi!”. Io scrivevo, io per lui.
Non era uno stadio frigido l’Appiani, né per gli spettatori né per i giocatori. Parlava
inglese, giocava anglosassone. Il Padova assomigliava all’Arsenal, con il fiato della
gente a tre metri scarsi dal gioco. Alla fine del campionato, quel fiato poteva valere 4-
5 punti in più in classifica; allora si diceva che il pubblico era “il dodicesimo
giocatore”.
Giuro che, nello scrivere queste poche righe, ho fatto di tutto per non nominare Nereo
Rocco per la millesima volta, ma come si fa? L’Appiani resterà per sempre la sua
biblioteca, bulloni come tomi, libri e stinchi, geometrie e umanità, “ciò mona” e
contropiede di classe.
In archivio con l’Appiani non va uno stadio ma una certa Padova, un certo Veneto,
una stagione perduta, una generazione fatta di tante generazioni. Forse, anche, un
modo di vivere e guardare.
Nei panni del sindaco Giustina Destro, persona sensibile, che ama il contatto
popolare, farei dare il primo colpo di piccone con un giorno di festa, convocando i
tanti, vecchi, grandi campioni del Padova a ricordare e a spiegare ai ragazzini delle
scuole che l’Appiani è cultura. Lo è stato a lungo. Quel giorno, per il popolo
dell’Appiani e per i tanti come me, sarà come seppellire un pezzetto di vita.
piangeremo sorridendo, in contropiede.