2000 Talento e vento: forse non belli, ma certo efficaci

2000 – Talento e vento: forse non belli, ma certo efficaci

Troppa grazia, Sant’Antonio. Nel giro di 48 ore abbiamo visto in tv il contrario della
spazzatura, anzi due cose bellissime: prima Gigi Proietti, il teatro fatto persona, poi la
nazionale di Zoff, il friulano di poche parole che parla con i fatti. Sempre teatro è.
Contro la Romania è facile fare brutta figura e difficile giocar bene, ma non perché
siano più forti di noi. Piuttosto perché menano per sistema il can per l’aia, fanno
matassa a metà campo, confondono i ruoli, sono i migliori braccianti del calcio in
circolazione. Sembrano una squadra di trattori con al centro un orologio Cartier che
dà il tempo: Giorgio Hagi, il piede di seta dei Carpazi, che però sa anche essere un
insopportabile carognone, degnissimo di espulsione come ieri sera, dopo un’ora di
partita.
L’Italia non ama questa squadre, come si è visto per almeno mezz’ora buona. I rumeni
lavorano ai fianchi, colpiscono al corpo, non sanno che cosa sia l’invenzione. Se poi
trovano la zolla fradicia, rendono ancor meglio.
Noi no, noi siamo nervosi, tirati sempre a lucido, nevroticamente pronti ad affondare
il fioretto. Io, lo confesso, amo questa squadra; da vecchio reduce di cinque
campionati del mondo, mi sarebbe tanto piaciuta seguirla come ai vecchi tempi, da
inviato. Mi piace perché gioca come una fionda. Le basta un ventaglio di Fiore o un
lancio dello stagionato Albertini per mettere tutte le gerarchie in pochi minuti al loro
posto. Totti ha segnato con lo stile di Del Piero. Del Piero avrebbe segnato con la
stessa freddezza di Totti. Il loro brevetto è una classe di fondo.
I nostri non sapranno cantare l’inno nazionale come gli inglesi o i tedeschi, ma ho
osservato alcuni loro gesti molto umani, molto rivelatori. L’urlaccio di Cannavaro, per
esempio, o il segno della croce di Albertini, oppure le reciproche pacche sulle spalle.
Tutta una gestualità preliminare per liberarsi dei soliti, strani, folletti interiori, che a
volte ci deprimono e a volte ci esaltano.
Noi siamo in fondo talento e vento. Lenti non siamo capaci di giocare. Abbiamo
bisogno di accelerazioni, sempre, sia nel tocco che in contropiede. Un’arte questa
forse fragile, ma tutta italiana, riconoscibile come la pizza. Il catenaccio lo hanno
fatto gli altri, non noi. Se Toldone di Padova sapesse anche uscire, Hagi non avrebbe
toccato nemmeno il palo.
Inzaghi, pover’anima, non segnava su azione da quindici partite: un’eternità per uno
che lavora soltanto per quello. Questa volta non ha sbagliato. Ha colpito come fanno i
grandi centravanti: a sangue freddo, gelidamente, con lo sguardo alto, preciso, come
da manuale. Le cose perfette alla fine sembrano sempre facili.
Contro una squadra più machiavellica della nostra, l’Italia ha vinto con la
moltiplicazione dei pani: su quattro palle gol, due gol. Una realizzazione del
cinquanta per cento nel primo tempo, una percentuale quasi brasiliana. Quando
acceleravamo, loro sembravano dei treni merci, onesti ferrovieri del pallone. E il bello
è che noi ci permettiamo anche il lusso di avere tale Alessandro Del Piero in
panchina.
Signori, siamo in semifinale, con una difesa tosta e un attacco d’ingegno. Non siamo
sempre belli, ma sempre efficaci. Non ditemi che abbiamo rischiato troppo, anche in
dieci contro undici. È andata e questo basta: a me, l’indimenticabile paròn Rocco
diceva: “Vinzer xe sempre el mal più picio”.