1990 febbraio 4 I giovani e questo Stato

1990 febbraio 4 – I giovani e questo Stato

Se lo denuncia il Capo dello Stato, ci può essere ancora qualcuno che nega
l’evidenza? La politica è martoriata dal potere, il parlamento è un luogo a non
procedere, le riforme si annunciano non si fanno. Chissà, forse questo Paese è
troppo impegnato a far crescere il prodotto interno lordo per curarsi anche della
qualità della democrazia.
É una fortuna allora che se preoccupino i giovani, gli studenti d’ogni ordine e
grado, persino quando scelgono metodi sbagliati o si fanno cinicamente usare.
Tutta la scuola, dalle elementari fino all’università, rappresenta l’unico futuro
possibile, l’investimento più coerente delle risorse: esiste oggi una sola ragione
per la quale i giovani dovrebbero dirsi soddisfatti?
Giustizia, sanità, scuola. Qui lo Stato non trova mai i soldi, gli strumenti, il
personale, come se non fossero in gioco i segmenti portanti di una società
moderna, che aspiri a costruire il consenso sulle aspettative dei cittadini invece
che sulla spartizione del controllo.
Fateci caso, ma non è un caso. Sono in crisi tutte le funzioni nevralgiche,
compreso il settore dell’informazione. Così, il Paese reale è molto più avanti del
Paese istituzionale e consente il miracolo di una capacità economica addirittura
sensazionale se si tiene conto dello scarsissimo sostegno dei servizi pubblici.
Il bello è che la cultura dominante istiga più che può alla competizione, alla
sfida, a scenari globali, a pensare nuovo, a non sprecare un solo attimo
nell’inseguimento del futuro. La nostra vita è tutta un grande spot dove le auto
volano, le carriere arrembano, l’immagine emargina chi non ha l’energia di un
superman. Facciamo di tutto per costruire giovani da formula uno ma poi non li
aiutiamo né a diventare bravi piloti (attraverso uno Stato efficiente) né
tantomeno a prendere le distanze (attraverso una Scuola autorevole) dalla
nevrosi di massa fondata su quel consumo.
Proprio l’Università dovrebbe invece diventare il posto dove tentare questa
titanica mediazione tra ciò che i tempi ci ordinano e ciò che ai valori del tempo
dobbiamo opporre. Il luogo dell’innovazione e della persistenza, solo equilibrio
possibile tra l’uomo e il suo altro. Ha detto Cossiga che d’ora in poi rifiuterà la
«scena» e sceglierà «la strada, tra la gente». Anche un presidente distaccato
come lui ha capito che questo Palazzo è oramai un sepolcro imbiancato: bisogna
uscirne per capire e cambiare.