1995 novembre 24 Fragile o minacciata?

1995 novembre 24 – Fragile o minacciata?

Si moltiplicano gli appelli all’”unità”. Nelle ultime 24 ore del Capo dello Stato e del Papa.

Nel lanciare il suo, Scalfaro esercita semplicemente un dovere, sta li per questo. Come garante della
Costituzione, deve lavorare per l’unità: se non lo facesse o addirittura la minacciasse di persona,
andrebbe processato per alto tradimento.

La Chiesa cattolica ha un ruolo del tutto diverso. Il Vaticano è uno Stato straniero, non un’istituzione
italiana; l’osservatore romano un giornale non la Bibbia; il Pontefice la più alta autorità spirituale
dell’Occidente, non il leader di un partito politico nazionale.

Ma ragioni lapalissiane fanno dell’Italia una parrocchia molto speciale per la Chiesa geneticamente
unitaria.

Dopo aver assistito alla dispersione politica del voto cattolico -dalla Dc alle 6/7 formazioni di oggi-
è più che naturale che il Papa parroco tema i “particolarismi” e ogni diaspora anche territoriale.

Al di là degli appelli di Scalfaro e del Papa, conta capire perché l’”unità” d’Italia preoccupa tanto e
tanti, quasi rappresentasse la prima questione sul tappeto. Qui i casi sono due: o s’invoca l’unità
perché intrisecamente fragile o la si pretende perché nei fatti minacciata.

Per miopia tutta italiana, le forze politiche sanno benissimo che l’unità è in sé fragile ma trovano più
comodo comportarsi come se fosse minacciata. Sapendo lo Stato a pezzi dovrebbero dedicarsi con
ogni energia a riformarlo in profondità; considerandolo soltanto minacciato, possono invece
continuare a conservarlo debole: l’”unità” vista come Patria di facciata, copertura di ogni
immobilismo. Se Annibale è alle porte, si può sempre rinviare.

In realtà, l’unità d’Italia è fragile da sempre e lo è diventata molto di più da quando le ragioni
dell’economia hanno sbaragliato i cementi, le aggregazioni, le ultime parole d’ordine dell’ideologia.
Soltanto l’economia, non altro, né razzismo né secessionismo, mette a nudo la dis-unità di un Paese
che fa convincere il deficit di senso dello Stato, la mole del debito pubblico con l’irresponsabilità dei
pubblici poteri. Voglio citare un solo giudizio, ma il più competente. Il commissario europeo Mario
Monti, ex rettore della Bocconi, ha spiegato che le regioni del Nord “potrebbero essere portate a
reagire a torto o a ragione” quando scoprissero che nell’Unione monetaria europea entrerà anche la
Corsica ma non la Lombardia e il Piemonte – o il Nordest aggiungo io – per l’arretratezza,
l’inefficenza, la corruzione, il centralismo di uno Stato oramai costretto a drenare il 35% delle tasse
soltanto per pagare gli interessi sul debito.

Indicare ogni rischio, senza peli sulla lingua e senza ipocrisia, serve la causa dell’unità del nostro
Paese non la disunità, già palese nei fatti a tutti gli osservatori in buona fede. L’”Unità” giustamente
invocata da Scalfaro e dal Papa, non può essere un guscio vuoto, un valore a fondo perduto.

Qualcuno oserà sospettare che Monti sia un secessionista perché, da economista, sa che nessuna
economia moderna può progredire con una baracca di Stato sulle spalle e aree che si divaricano
sempre di più tra loro?

Tutto è ormai possibile in un Paese che vede il presidente dei deputati del Ppi, Beniamino Andreatta,
noto riformista in servizio permanente da più legislature, sostenere ad esempio che “la marcia dei
sindaci a Roma è stata solo un gesto di protagonismo di uomini con la pancia fasciata di tricolore”. E
che “il vero e sano federalismo trae ispirazione solo dalle intuizioni di Don Luigi Sturzo”.

Da sempre convinto di essere l’unico intelligente in circolazione, l’on. Andreatta nutre per coerenza
la convinzione che gli italiani siano deficienti oltre che smemorati. Nessuno infatti si è mai accorto
del “vero e sano” federalismo introdotto in Italia dalla Dc degli Andreatta in 40 anni di potere
pressocché assoluto. Povero don Sturzo, se solo sapesse…

Siamo circondati dalle parole, dalla politica spettacolo, dallo spettacolo che si diverte con la politica,
dai guitti del riformismo senza riforme. Non bastasse, proprio l’indipendentismo di Bossi è il nemico
mortale del federalismo, la sua negazione.

Ne riparliamo domani.