1995 novembre 25 Se il Nord divide il Nord

1995 novembre 25 – Se il Nord divide il Nord

Umberto Bossi ha usato questa immagine: «L’anima federalista deve essere il tetto sotto cui cresce
l’indipendentismo». Sono convinto dell’esatto contrario: federalismo e indipendentismo sono
inconciliabili, l’uno esclude l’altro. Non si tratta di «anime» diverse, di due stadi di sviluppo della stessa
rivendicazione anti-centralistica. Rappresentano obiettivi per essenza alternativi. O si persegue l’uno o
l’altro, non esiste un’unica strada che converga prima o poi su entrambi. La vecchia cultura – cieca di
fronte alle riforme e istituzionalmente ottusa – sostiene che l’indipendentismo è un pericolo per la
democrazia. Chi grida al lupo, in questo caso non lo conosce, non sa di che cosa parla. In sé,
l’indipendentismo potrebbe rappresentare addirittura una crescita di democrazia. Nessuno si sarebbe
sognato di dire che il referendum popolare del Quebec attentava alla democrazia: gli esempi sono
innumerevoli. La questione non è questa. In Italia, l’indipendentismo del Nord rappresenta storicamente
un errore, anzi una resa prima ancora di tentare di vincere. Mi spiego. Se trascurassimo per un attimo la
politica da intrattenimento, ci accorgeremmo che viviamo una congiuntura mai così propizia alle riforme.
Per tre buone ragioni: 1) lo Stato non ce la fa più; 2) l’Europa ci chiama con impazienza; 3) il ceto politico
soffre di improvvisazione ma si è affrancato dalla palude del sistema. Soltanto il federalismo dà una
risposta cumulativa. È falso che il federalismo porti via via all’indipendentismo: il federalismo propone
un patto per rifare lo Stato e restare insieme, non per moltiplicare gli Stati smembrando l’Italia. Vero
semmai il contrario. L’indipendentismo potrebbe essere il frutto disperato del fallimento del federalismo,
non il suo sviluppo virtuoso. Se insegue i Boso e i Borghezio, Bossi disperderà il meglio della Lega, cioè
la spinta a svuotare lo Stato nel nome di una grande, diffusa autonomia. Vale a dire la battaglia contro il
potere più forte in Italia, quello della conservazione dello status quo. L’indipendentismo non funziona
nemmeno sul piano tattico. A mio parere già il minacciarlo come lontano fantasma del Nord indebolisce
il federalismo, oggi per la prima volta possibile nella storia italiana. Chi detesta o teme il federalismo,
troverà nella minaccia indipendentista il più comodo degli alibi per difendere l’indifendibile, cioè
«questo» Stato. Per un gioco di estremismi istituzionali, a sua insaputa l’indipendentismo funzionerà da
stampella del centralismo. Per ritorsione, farà riemergere il peggio della cultura burocratica e abortire sul
nascere quell’aria nuova che attraversa anche un certo Sud, il Sud dei sindaci, di tanti giovani, di piccole
imprese che nascono a dispetto delle mafie, dell’assistenzialismo e dei ladri di Stato. Ma nessuno, dentro
la Lega o fuori, ha riflettuto abbastanza su un altro aspetto: l’indipendentismo dividerebbe anche il Nord,
sottoponendolo a uno stress istituzionale probabilmente senza uscita. La strada della secessione farebbe
emergere la parte più settaria e intollerante di una protesta giusta. Il problema del Nord non è il Sud ma
lo Stato della paralisi, della manomorta, del disservizio. Oramai sono gli stessi burocrati a confessare
l’impotenza, lo Stato come nemico pubblico numero uno dell’impresa e del lavoro. In Europa le piccole
e medie aziende sono 16 milioni: da sola l’Italia ne mette in campo il 21 per cento! Un dato fantastico,
di cui andare fieri, per cultura prima che per fatturato, se siamo d’accordo che questo è il mondo del
capitalismo più intrecciato con l’anima di una terra e di un popolo. Ma il nostro Stato non lo sa; la sua
burocrazia, la sua legislazione, il suo istinto centralista oramai gli impediscono di stare al passo. L’altro
giorno, proprio il direttore del ministero del Bilancio ha ammesso che, contro i tre anni richiesti in base
alle procedure Ue, da noi sono necessari dai 6 ai 7 anni per far marciare un progetto finanziato dalla
Comunità europea. Solo uno dei mille esempi. Per renderci indipendenti da questo Stato non c’è che il
federalismo. Sarà rivoluzionario rifare da capo l’unità, non buttarla via con tutto quel che, in sangue e
ideali, costò a intere generazioni.

25 novembre 1995