1995 novembre 13 Sì, giustizia lenta ma con sentenza
1995 novembre 13 Sì, giustizia lenta ma con sentenza
Una  delle  figure  più  rispettate  del  nostro  tempo  è  senza  dubbio  Simon  Wiesenthal,  cacciatore  di
criminali nazisti nel nome della giustizia che non deve mai andare in prescrizione quando fa violenza
all’umanità, alla vita, alla persona. Il perdono è un bene della coscienza, non lo spirito del diritto.
E  Wiesenthal  sapeva  anche  distinguere  nonostante  l’appiattimento  che  il  tempo,  inesorabilmente,
imprime sui fatti via via allontanati dal loro contesto. “Durante la guerra – ha ricordato ad esempio –
non ho mai sentito parlare di casi in cui degli ebrei fossero stati maltrattati dai soldati italiani”.
Lo spirito di verità. Lo spirito del diritto possibile, che è un dovere tutelare.
Noi italiani stiamo non per nulla tentando di processare il nazista Priebke a più di mezzo secolo dalle
Fosse Ardeatine. Chi potrebbe obbiettare su questa richiesta? E i magistrati continuano a indagare su
Piazza  Fontana  esattamente  come  se  fosse  ieri,  anche  se  è  già  trascorso  un  quarto  di  secolo  dalla
bomba nera.
Portiamo  oggi  sul  banco  degli  imputati  Giulio  Andreotti  per  l’assassinio  del  giornalista  Pecorelli,
avvenuto ben 16 anni fa. Potremmo continuare con l’interminabile elenco di inchieste mai chiuse, di
Ustiche senza colpevoli, di misteri archiviati, di processi retroattivi.
La nostra macchina giudiziaria è così lenta e lo Stato così disinteressato ad essa che spesso la verità
storica  finisce  col  precedere  la  verità  processuale!  L’esatto  contrario  di  ciò  che  accade  nei  Paesi
normali, dove rapida è la sentenza dei tribunali, lenta semmai quella della storia.
Questa  giustizia  non  ci  piace,  ma  non  deve  rappresentare  un  alibi,  quasi  un  omissis  nel  nome  del
tempo. Se la lentezza della giustizia appare scandalosa, l’assenza di giustizia risulterebbe delittuosa,
un delitto nel delitto.
Il caso-Sofri non può fare eccezione. Ha scritto Giorgio Bocca che dopo tanti anni la giustizia diventa
“insapore”:  è  un  prezzo  che  si  può  pagare  al  bisogno  di  fissare  in  una  sentenza  le  responsabilità
personali.
Qualcuno  aggiunge  che  Sofri  è  oramai  “cambiato”,  non  è  più  quello.  Ne  siamo  sicuri,  ma  anche
l’ottantenne Priebke potrebbe non essere più lo stesso delle Fosse Ardeatine.
La  bilancia  della  giustizia  italiana  si  squilibria  già  per  troppi  pesi.  Finirebbe  schiacciata  se  si
arrendesse ai suoi mali.