1994 luglio 18 Il contropiede del senatùr

1994 luglio 18 – Il contropiede del senatùr

I nostri tempi politici viaggiano con la velocità della luce: chi sbaglia paga. Lo hanno sperimentato
Segni e Occhetto.
Berlusconi si è cacciato in un guaio grosso come un macigno e si ritrova solo. Ha poco da pretendere
scuse o dimissioni: nessuno gli concederà né le prime né le seconde.
Per quanto macchiavellici, gli italiani sono disposti a perdonare l’ingenuità di una persona per bene
come Maroni. Non la malizia di un decreto sulla giustizia che, per affrontare questioni vere e serie a
tutela della persona, premia i filibustieri.
Bossi ha giocato in contropiede. Non è caduto nel giochetto delle provocazioni a catena, ha ceduto a
Berlusconi la patata bollente di una crisi di governo nel segno degli uomini e degli interessi di
Tangentopoli.
Se vuole restare in sella, Berlusconi non ha scelta: il suo decreto è morto e sepolto, pur appena entrato
in vigore. Bossi e Fini gli hanno già detto che cosa deve fare: o un disegno di legge da discutere in
Parlamento o radicali modifiche al decreto.
Senza Bossi e Fini non esiste né maggioranza né governo. Quindi, lanciare ultimatum è come sparare
baci perugina.
Scelga il cavaliere se cominciare a governare per l’economia o se insistere su questioni che mettono
a disagio l’opinione pubblica. Finora, ha fatto il decisionista soltanto con la Rai (concorrente della
Fininvest) e sulla carcerazione (molto temuta da alcuni grandi elettori).
Come si conviene in ogni sana democrazia, il voto va e viene. Se lo chiedi per cambiare, devi farlo.
Sennò…