1993 luglio 10 Quegli applausi interessati
1993 luglio 10 – Quegli applausi interessati
Naturalmente, applausi scroscianti dal loggione degli inquisiti, chiamate di “bravissimo” dalla
platea del regime. Il monito di Scalfaro ai giudici piace da morire agli imputati, sia giudiziari che
politici.
Non che il garantismo del Capo dello Stato sia cervellotico. Tutt’altro. Ma proprio perché ovvio e
generico, dà oggi una mano al vecchio sistema. Ci provò Amato con il colpo di spugna; si fa usare il
Quirinale evocando in controluce la tesi persecutoria tanto cara agli sciacalli del pubblico denaro.
Scalfaro precisa di aver meditato le sue parole per mesi e ritiene che la gente attenda “un punto
fermo” dalla magistratura.
Noi ci permettiamo di suggerire al Presidente della Repubblica che, da mesi, gli italiani osservano
altri punti fermi. Quanto segue:
l’immunità parlamentare sottrae alla dovuta carcerazione almeno cento tra deputati e senatori. I
quali, non a caso, le stanno tentando tutte per prolungare la legislatura almeno fino a un’amnistia o
a un qualche salvacondotto penale.
In carcere sono finiti portaborse, facchini di partito, collettori di tangenti, squali di segreteria,
industriali dell’appalto o della commessa, grandi manager della lottizzazione pubblica come
Cagliari (Eni) e Nobili (Iri), da tempo dimenticati in qualche cella, mai loro onnipotenti padrini
politici non si sono fatti nemmeno un’ora di fermo.
I veri mandanti del regime delle tangenti sono tutti a piede libero, supertutelati.
Questo ceto politico ha ritardato o accelerato gli interventi, dalle strade ai farmaci, in base al criterio
del finanziamento illegale, per sé e/0 per il partito. Oggi pretende un’accelerazione processuale mai
sfiorata dall’imputato comune. E la invoca fingendo di credere che la magistratura possieda anche
quei mezzi e quelle struttura che da sempre questo stesso ceto politico le ha negato fino alla
frustrazione.
I cittadini osservano altre cose. Ad esempio che la restituzione del maltolto e il risarcimento dei
danni, principi basilari di giustizia, saranno minimi se non addirittura nulla. Alcune proposte di
“soluzione politica” di Tangentopoli rischiano addirittura di vanificarli anche giuridicamente
attraverso il patteggiamento.
Non solo. L’esclusione dei condannati dai pubblici uffici, cioè dalla vita politica e amministrativa,
sarà un provvedimento salutare ma non risarcitorio così come comunemente si crede. Per la
semplicissima ragione che, a fare pulizia, provvederebbero in ogni caso gli elettori. Ce li
immaginiamo i De Michelis, Bernini, Creuso, ricandidarsi a chiedere voti in una qualsivoglia lista?
Facciamo l’esempio della Procura di Milano: quasi 900 inquisiti, oltre 300 arrestati, già 250 tra
rinvii a giudizio e sentenze. Un miracolo di efficienza e organizzazione, oltre che di legalità
restaurata. Ha ragione il procuratore Borrelli quando dichiara di non sentirsi toccato dal monito di
Scalfaro, pur consapevole che gli errori sono sempre in agguato in qualsiasi inchiesta.
Varrà anche la pena di ricordare, a proposito di carcerazione, contro quali muri di omertà hanno
dovuto lavorare i magistrati di mezza Italia. L’omertà finanziaria dei Romiti e De Benedetti, quella
staliniana del Casadei o venale dei Ferlin. O l’omertà infame di un De Lorenzo, per il quale strepitò
mesi addietro quel fior fiore di Parlamento in seguito a un semplice sequestro di documentazione
presso gli uffici dell’ex-ministro.
Quanto all’avviso di garanzia, così com’è l’ha legiferato il Parlamento di Scalfaro, non la Procura di
Di Pietro. Le confusioni sono sempre fuorvianti.
Il Capo dello Stato ha avuto –in questi tempi torbidi e insieme fantastici – il grande merito di tenere
il Quirinale al riparo dall’agonia di un regime senza onore.
C’è da augurarsi che non cada ora nel tranello garantista, pensando che gli italiani abbiano esaurito
la protesta. L’onda dell’indignazione è ancora lunga, molto lunga e potrebbe diventare maremoto se
il Paese si convincesse che all’impunità istituzionale di ieri succederà l’assoluzione politica di
domani.