1992 agosto 10 L’Occidente ci mandi aiuti

1992 agosto 10 – L’Occidente ci mandi aiuti

In quei primi giorni di novembre del 1956 le ultime radio libere di Ungheria si spegnevano una dopo
l’altra con un appello: “L’Occidente manda aiuti? L’Occidente manda aiuti?”. No, l’Occidente non
mandava nulla, non poteva muovere un dito contro l’armata sovietica mandata da Mosca a spegnere
nel sangue la rivoluzione di Budapest. Nessun aiuto, nemmeno umanitario, zero.
Pur fomentando illusioni, l’Occidente non poteva dopo che nel 1948 a Yalta, quieta stazione termale
nel mar nero, i vincitori della seconda guerra mondiale si erano spartiti l’Europa e il mondo in due
aree ben delimitate. Come se lungo la frontiera che dal Mare del Nord a Trieste separava Est e Ovest,
il comunismo avesse appeso un mortale cartello: per favore, non disturbare.
Neppure l’Occidente intendeva a suo modo essere disturbato. Ne diedero prova gli Stati Uniti quando,
nel 1962, fecero invertire la rotta alle navi sovietiche spedite con armi e bagagli a Cuba per costruire
una base missilistica puntata sul territorio americano. Nikita Kruscev ne annunciò in extremis il ritiro
a John F. Kennedy, una domenica d’ottobre, nel quarto anniversario del pontificato di Giovanni
XXIII; la supplica del Papa per la pace, messa clamorosamente in prima pagina dall’ufficialissimo
quotidiano “La Pravda”, aveva contribuito ad offrire all’Urss una via d’uscita diplomatica.
Per mezzo secolo, l’Europa ha vissuto così. Con i blocchi, i muri di Berlino, le cortine di ferro, le
zone d’influenza, la non ingerenza nei fatti degli altri Paesi. Anche con il neutralismo e con i Paesi
non allineati. Persino con la “sovranità limitata” applicata da Leonida Breznev ai paesi sottoposti
all’egemonia di Mosca. Visto dal Cremlino, l’Occidente non poteva che essere “imperialista” come
“fascista” ogni rivoluzione all’Est.
Tutto questo è saltato per aria solo tre anni fa, nel 1989. Chi rammenta più Kruscev, Breznev,
Kennedy, lo stesso Gorbaciov? Le olimpiadi di Barcellona sono servite in questi giorni a mostrarci
con immediatezza un mondo impensabile fine l’altro ieri. La Croazia sul podio come Nazione,
accanto agli Usa. La Lituania restituita al suo destino. Una sola Germania. I Paesi dell’Est con le
bandiere depurate dalla patibolare tradizione bolscevica.
Ma anche quell’inestimabile patrimonio umano e culturale che è l’ex Urss, ancora senza inno e senza
stendardi, immersa come “Comunità di Stati” in un provvisorio limbo della storia, oggi in cammino
verso un’altra storia senza la quale non potrà esserci nemmeno Europa. Il mondo non è più quello e
noi siamo tremendamente vecchi.
Sono vecchi gli strumenti, gli schemi, le idee, le analisi, anche gli eserciti. Per mezzo secolo siamo
stati allevati tutti con il terrore dell’olocausto nucleare; oggi ci mette paura la pace. Non sappiamo
più come si faccia a garantirla. La Bosnia fotografa con orrore questo salto del tempo. Il governo
mondiale o gli Stati; l’intervento militare o la missione umanitaria; la guerra giusta o il diritto-dovere
d’ingerenza per difendere ovunque i diritti umani. La realtà ci coglie in debito di cultura politica e di
legge internazionale.
Stretto fra la vocazione alla pace e il rifiuto dell’indifferenza, anche il Vaticano svela un enorme
imbarazzo. Basti pensare che, intervistato ieri dall’”Avvenire” il ministro degli esteri della Santa
Sede, monsignor Jean Louis Tauran, ha teorizzato che ieri nel Golfo Persico come oggi in Bosnia
“l’importante è valutare attentamente la proporzione tra i mezzi impiegati e l’effetto che si deve
ottenere”. Criterio questo che illumina da solo, nella sua opinabilità, tutta l’impotenza di fronte alle
urgenze di un mondo irriconoscibile.
L’Occidente manda aiuti?” Soltanto la coscienza radicale del nuovo potrà sciogliere nella storia di
oggi e di domani quello che è stato l’enigma della nostra già remota epoca. Come e perché si debba
morire per la Bosnia non l’ha saputo ancora spiegare nessuno.