1989 gennaio 6 Tocca ai giovani fare politica
1989 gennaio 6 – Tocca ai giovani fare politica
Il nuovo incalza il mondo, il vecchio inquina la crescita civile dell’Italia. Senza «sacri furori» ma senza
lasciarsi  tentare  dallo  scomposto  pragmatismo  che  domina  oggi  la  scena,  il  Presidente  del  Senato
Giovanni Spadolini – seconda carica dello Stato – ha delineato in una conversazione con i giornalisti
del Gazzettino speranze e rischi di un anno tutto da inventare. Pur sapendo quanto grandi siano le forze
che gli si oppongono, di Gorbaciov ci si può «assolutamente» fidare. Anzi, tra Gorbaciov e Bush («più
europeo  del  californiano  Reagan…»),  la  pace  imboccherà  strade  potenzialmente  rivoluzionarie.  A
cominciare  da  una  «carta  mondiale  dell’anti-terrorismo»  e  dalla  garanzia  «consolare»  degli  Usa  e
dell’Urss,  altrimenti  del  tutto  vana,  sugli  immaginari  confini  tra  lo  Stato  di  Israele  e  il  futuro  Stato
palestinese.  Al  crepuscolo  del  confronto  tra  i  blocchi,  l’avventura  della  pace  presuppone  purtuttavia
l’imprimatur  a  due.  Tutto  l’Est  europeo  è  in  movimento  e  aspira  a  diventare  almeno  una  grande
Finlandia, indipendente all’interno della sfera di influenza di Mosca. Ma qualcosa di dirompente e di
misteriosamente  biblico  sta  accadendo  soprattutto  in  Israele  che  per  la  prima  volta  –  le  parole  di
Spadolini sono pietre – «ha visto una popolazione trasformarsi in popolo». E come insegnarono proprio
gli  ebrei  dell’Exodus,  non  ci  sarà  forza  al  mondo  capace  di  fermare  questa  mutazione  nazionale  dei
palestinesi.  Conveniamo  con  Spadolini.  Un  mondo  ancora  diviso  offre  gigantesche  opportunità,  che
rendono  patetici  tanto  il  catastrofismo  quanto  l’ottimismo  di  maniera.  Si  richiede  invece,  a  partire
dall’Europa,  una  partecipazione  senza  precedenti,  perché  l’esercizio  della  pace  è  il  più  disumano,
quello che più radicalmente si oppone all’istinto di morte dell’uomo, e dunque il più duro a morire. Più
preoccupata  l’analisi  che  il  Presidente  del  Senato  riserva  all’Italia,  dove  il  traino  dell’economia  e
l’iniziativa istituzionale per dare velocità, al rapporto fra Stato e cittadini s’imbattono in freni e agguati
sempre più insidiosi. Altro che farneticazioni dei nuovi pifferi della cultura del post-moderno: la scuola
secondaria è ferma alla legge Gentile del 1923; l’università ha fatto un maquillage soltanto sindacale
(«a  volte  si  ha  l’impressione  –  ironizza  Spadolini  –  che  ci  siano  più  professori  che  studenti…»);  la
sanità deve ripartire «ab imis» che è una maniera dotta di dire «da zero»; sui servizi essenziali il ritardo
di  normativa  appare  «vergognoso»;  soltanto  gli  «atti  di  coraggio»  della  magistratura  mitigano  il
dilagare di «sacche di inefficienza e di corruzione»; la stessa resistenza parlamentare all’adozione delle
norme della Cee si spiega con la volontà di difendere «i privilegi dei santuari», sanitari, universitari,
previdenziali e così via. In definitiva, all’Italia servirebbe un’iniezione da cavallo di cultura politica,
esattamente ciò che stiamo smarrendo per la latitanza di maestri, di esempi, quindi dei giovani. E qui,
nel deserto apertosi tra l’irrazionalità del Sessantotto e lo squallore del consumismo, Spadolini non sa
trarre una risposta né comoda né retorica. Di una sola verità il Presidente del Senato, questa Camera dei
Padri, è laicamente certo: senza la restituzione dei partiti, della cultura e della responsabilità civile alle
nuove generazioni, il progresso del nostro Paese si esaurirà nel potere d’acquisto, nel prodotto interno
lordo e nel cambio in dollari. Il che è già molto, ma non basta affatto.
6 gennaio 1989