1989 febbraio 5 Ben ci sta

1989 febbraio 5 – Ben ci sta
Lo scorso novembre la casa editrice Marsilio ha pubblicato «Le pensioni degli italiani», un libro che in
237 pagine fotografa perfettamente la furente paralisi che contraddistingue la politica italiana: dieci
anni di promesse e di veti che a tutt’oggi azzerano ogni tentativo di salvare il sistema previdenziale
pubblico. Nel settore che per definizione garantisce o compromette le attese di una vita di lavoro,
nessuno è ancora in grado di sapere chi, come e quando sarà tutelato in avvenire. L’Italia è più che mai
il Paese delle riforme annunciate, la Repubblica dei decreti a tempo, il paradiso degli emendamenti. La
regola è l’incertezza, nelle pensioni e altrove. Quando poi, dopo decenni di mediazioni, le cose
miracolosamente cambiano, allora ci si accorge che sono stati trascurati mezzi e strutture. Di fronte alla
necessità di allargare la base imponibile del fisco, sono ad esempio gli stessi funzionari responsabili
dell’amministrazione finanziaria a dimostrare di non essere in grado di effettuare controlli. Produciamo
più norme che strumenti operativi in un Paese che stupisce gli osservatori stranieri con l’intraprendenza
della gente, lo Stato si segnala per l’astrattezza. Il nuovo codice di procedura penale rivoluziona il
processo in Italia, cambia radicalmente il rapporto fra cittadino e magistratura, costringe giudici e legali
a ristudiare daccapo il diritto: si dà però il caso che la riforma abbia quasi dimenticato le strutture. La
giustizia lavora in condizioni di perenne emergenza e, attenzione, fa poca differenza fra nord, centro e
sud: l’altro ieri la camera penale veneziana ha dato l’ultimatum a Comune e Ministero; senza la rapida
indicazione di una nuova, unica sede per la pretura e la procura circondariale, gli avvocati – già in
agitazione – scenderanno in sciopero bloccando i processi. Chiedono che il nuovo palazzo di giustizia
sorga nei pressi di piazzale Roma anche per renderlo logisticamente più compatibile con il Veneto. La
pressione dei problemi concreti affonda nel muro di gomma dei ritardi e delle non-decisioni. Era stato
facile profeta Sergio Pininfarina, quando a metà gennaio, durante l’ultima giunta della Confindustria,
aveva denunciato: «La nostra preoccupazione è di trovarci di fronte a un governo che per i prossimi
mesi eviterà di decidere e che accentuerà la tendenza a patteggiare, a rinviare i problemi e a trovare
soluzioni di compromesso». Nonostante il pessimismo, sta andando persino peggio. In questi giorni,
abbiamo saputo che l’inflazione italiana si avvia alla svelta a diventare più del doppio di quella media
dei Paesi del sistema monetario europeo; che la bilancia commerciale del 1988 ha chiuso con 13 mila
miliardi di deficit; che le ferrovie, uno dei fiori all’occhiello della… spesa pubblica, perdono circa due
miliardi all’ora; che, per quante ne avesse viste e lette, la Corte dei Conti non s’era mai tanto indignata
come per gli sprechi e i furti della sanità; che l’irpef, l’iva, il condono, gli oneri deducibili, le rendite
finanziarie e altre voci del fisco sono oramai un’opinione, come teme la Borsa. Del resto, quando per il
presidente del consiglio del rinnovamento «istituzionale» la questione più pressante riguarda la
segreteria dc e quando per il segretario del psi, in pratica suo unico interlocutore, questo governo
abbonda di «pesi morti», il minimo che si possa temere è il ritorno in grande stile dell’instabilità. Chi è
senza congresso, scagli la prima pietra. Le urgenze possono attendere: in fondo, i sondaggi ci avvertono
che siamo felici. Ben ci sta.
5 febbraio 1989