1985 Settembre 21 Un Paese senza più illusioni

1985 settembre 21 – Un Paese senza più illusioni

Ho vissuto a Città del Messico un mese e mezzo. Era il 1970, raccontavo da inviato i campionati del
mondo di calcio, quando la nostra Nazionale aveva quale capodelegazione Walter Mandelli, oggi
presidente di Finmeccanica, e quando l‘Italia praticò per un attimo il bipartitismo perfetto, tra Rivera
e Mazzola, Coppi e Bartali del pallone nostrano. Gianni Brera cominciò un articolo in latino con i
versi di Orazio; Antonio Ghirelli non aveva ancora scoperto Craxi ed era con Gino Palumbo “anema
‘e core” dalla parte dell’abatino Rivera.
Nessun giornalista ha più dimenticato quel mondiale ma, soprattutto, Città del Messico, un’immensa
galassia nella quale per un miracolo d’ospitalità ciascuno riusciva a ritagliare il proprio villaggio. Da
un paio d’anni appena era uscita da repressioni che avevano fatto dettare a Oriana Fallaci pagine belle
e sanguinose. Il calcio era sentito come colore, fiesta liberatoria; attorno alla “zona rosa” dei buoni
ristoranti e dei ricchi negozi camminavano i sogni di un Paese governato con pugno di ferro dal
“Partito rivoluzionario Istituzionale” e che si apprestava a vivere la grande illusione dei giacimenti di
petrolio.
Era di casa il terremoto. In una vetrina del centro si poteva vedere la grande foto di un Hilton apertosi
in due come un melone per una scossa di alcuni anni prima. La città si era stesa in orizzontale, i suoi
viali interminabili, come certe strade californiane o di Buenos Aires. Con un “peso” si saliva sui taxi
comuni, a percorso fisso, dai quali Città del Messico sembrava un condominio senza inizio e senza
fine. Quell’Hilton rotto nel cielo aveva consigliato di costruire il meno possibile in verticale e,
semmai, con precauzione antisismica. Dai piani altissimi de “Maria Isabel” la mia inquietudine era
un segreto da esorcizzare, come le tante paure delle quali l’uomo ha per impotenza una memoria
insincera.
Il terremoto è ritornato a Città del Messico con il più terribile dei colpi, in una megalopoli che in
questi anni ha finito con il concentrare circa 20 degli 80 milioni di messicani. Tanto che, a voler
contabilizzare la morte con il cinismo dei grandi numeri, cinque o settemila vittime appaiono persino
sproporzionate per difetto, quasi che la scossa si fosse scelta un itinerario devastante per le cose più
ancora che per gli uomini. Una bomba al neutrone esplosa dalla natura.
Il dolore così ineluttabile e così violento del terremoto ha colpito un Messico senza più nemmeno le
illusioni degli anni Settanta. Inflazione al 117%, disoccupazione al 19%, un debito con l’estero di 50
miliardi di dollari. Proprio ieri, in sinistra anche se involontaria concomitanza, il Fondo Monetario
Internazionale ha sospeso la concessione di 450 milioni di dollari “per la mancata attuazione di
riforme economiche precedentemente concordate”.
Se c’è un destino degli uomini, forse c’è anche quello dei popoli.